Gotha: come funziona cosa nostra

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.

Costituzione formale e costituzione materiale

La commissione provinciale di cosa nostra é l'organismo che regola i rapporti interne ed esterni all'organizzazione mafiosa. É stata istituita per tenere sotto controllo la conflittualità endemica dei suoi membri e per evitare una gestione monocratica e oligarchica. La commissione ha anche il potere di sospendere un capo famiglia o mandamento per sostituirlo con un reggente.

Già nel 1917 Santi Romano, ne "L'ordinamento giuridico" aveva riconosciuto una struttura del genere: "vivono spesso, nell'ombra, associazioni la cui organizzazione si direbbe quasi analoga a quella dello Stato: hanno autorità legislative ed esecutive, tribunali che dirimono controversie e puniscono, agenti che eseguono inesorabilmente le punizioni, statuti elaborati e precisi, come leggi statuali. Esse dunque realizzano un proprio ordine, come lo Stato e le istituzioni statualmente lecite".

Cosa nostra è ancora oggi un organismo sociale complesso, che ha assunto spesso la forma di una organizzazione piramidale e verticistica, diversamente dalla camorra napoletana e dalla 'ndrangheta calabrese basate su una struttura
orizzontale.

Giovanni Falcone spiegava: "più una organizzazione è centralizzata e clandestina più è temibile, perché dispone dei mezzi per controllare efficacemente il mercato e mantenere l'ordine sul suo territorio, con un intervallo di tempo brevissimo tra processo decisionale ed entrata in azione".

Gli stessi appartenenti a cosa nostra la considerano di volta in volta come una sorta di "anti-Stato" che si contrappone allo Stato legale, o come una specie di "intra-Stato" o "Stato nello Stato", in funzione delle circostanze, della volontà di esercitare il controllo sul territorio e anche dalla capacità di penetrare nelle istituzioni e nel mondo economico-sociale, di allearsi con esponenti politici e di intercettare flussi di denaro pubblico; in caso contrario si può cercare anche la contrapposizione esplicita, tentando di sovvertire l'ordine costituito.

La struttura organizzativa e giuridica di cosa nostra nei nostri giorni, come risulta dalle carte sequestrate a Salvatore Lo Piccolo, dai pizzini di Bernardo Provenzano, dalle intercettazioni ambientali che implicano Antonino Rotolo, é praticamente identica a quella identificata nella sentenza del primo maxi processo alla mafia, grazie alla collaborazione di Tommaso Buscetta.

I giudici della corte di assise di Palermo ne hanno dato una quadro ancor più preciso nel 2004: "cosa nostra, pur essendo articolata in aggregati minori (famiglie, decine) legati ad un particolare e delimitato territorio, è in realtà un’organizzazione unitaria diffusa in tutta la Sicilia (ma anche fuori da essa) con organismi direttivi centrali e locali, costituiti secondo regole precise che ne governano minutamente la vita e sanzionate da pene di diversa gravità, (dalla sospensione alla morte), irrogate da organi a ciò deputati".

La commissione è al vertice dell'associazione, composta dai capi-mandamento che a loro volta sono coordinatori di due o tre capifamiglia.
Secondo Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi e Antonino Giuffrè, tutti già esponenti di vertice di cosa nostra, la Commissione ha una "supervisione" su ogni iniziativa in seno a cosa nostra con lo scopo di "guidarla al meglio". Determina anche l'orientamento politico dei mafiosi in occasione delle elezioni.

Antonino Giuffrè racconta di una riunione della Commissione a cui partecipò in quanto capomandamento di Caccamo, poco prima delle elezioni politiche del 1987. In quell'occasione Salvatore Totò Riina disse di votare per i candidati del PSI, non appoggiando più alcun candidato democristiano.

La Commissione fa anche da tribunale di cosa nostra, fungendo da organo di garanzia per i singoli associati. Francesco Paolo Anzelmo ha spiegato che questa funzione si é resa necessaria perché in precedenza "il capo mandamento, se uno ci faceva antipatia, a questo punto se lo poteva liquidare senza dare conto e ragione a nessuno".

Salvatore Cucuzza spiega: "la Commissione ha deciso che tutti i casi di uomini d'onore dovevano passare per le loro mani, così da evitare che qualcuno si facesse giustizia da sé, magari non in regola con Cosa Nostra".

É ancora la commissione che decide i cosiddetti omicidi eccellenti ai danni di personalità di rilievo nel mondo delle istituzioni o dell'economia e della finanza.

È stata la commissione provinciale a decidere l'omicidio del giudice Cesare Terranova, e poi di Gaetano Costa nel 1980. Tra i politici sempre nel 1980 Piersanti Mattarella, presidente della Regione, e poi Pio La Torre nel 1982. E il vicequestrore Boris Giuliano, gli ufficiali dei carabinieri Russo e Basile, e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo.

Francesco Onorato, nel confessare di aver fatto parte del gruppo di fuoco che ha ucciso nel marzo del 1992 Salvo Lima, ha spiegato un altro motivo della regola di competenza della commissione per gli omicidi eccellenti. Dato che le reazioni ai fatti potevano di ricadere su tutti i membri dell'organizzazione, occorreva un accordo preventivo, in modo da evitare il rinfacciarsi di responsabilità.

La conclusione della guerra di madia nel 1992 stravolge queste regole. Salvatore Riina assume un ruolo dominante, con il supporto di Bernardo Provenzano. Le decisioni più importanti vengono prese da Riina in concerto con il ristretto gruppo di boss a lui più vicini, dopodichè le si sottopongono all'approvazione formale della commissione.

Il Giuffrè, sempre in base alla sua esperienza di capo del mandamento di Caccamo, afferma che "le decisioni più importanti non venivano nemmeno discusse in seno a tutta l'assemblea della commissione provinciale ma appositamente in quel gruppo ristretto di cui io in precedenza mi sono permesso di ricordare".

Un motivo di questa prassi é anche il rischio di fughe di notizie, Giuffrè cita Riina: "è mai possibile che tutte le volte che noi quando qua discutiamo di qualche cosa, l'indomani gli sbirri sono a conoscenza di tutto?"

In realtà già dalla seconda metà degli anni ottanta "spesso e volentieri non si parlava di fatti di una certa gravità nel contesto pubblico di questa commissione".

Le regole valgono solo per chi non può fare a meno di rispettarle. Il Rotolo, ad esempio, invoca il rispetto delle leggi quando gli torna opportuno, ma programma una serie di omicidi non autorizzati e condiziona la successione al comando di mandamenti a cui non appartiene.

Nell'ultimo periodo s'é creato un diverso approccio. Ci sono due coalizioni trasversali a famiglie e mandamenti. Si tratta di Rotolo contro Lo Piccolo. Come ai tempi della seconda guerra di mafia, dove a confrontarsi erano gli Inzerillo e Bontade da una parte e Riina dall'altra. E come dopo la cattura di Riina, nel 1993, quando il confronto era tra Bernardo Provenzano, con Pietro Aglieri, Carlo Greco, Antonino Giuffrè, Benedetto Spera da una parte, e Leoluca Bagarella, con Giovanni Brusca, dai Vitale di Partinico e dai Graviano di Brancaccio dall'altra.

Fonte: SOS Impresa

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