In seguito alle dichiarazioni di Fabio Manno, reggente della famiglia di Borgo Vecchio che fa capo al mandamento di Porta Nuova, arrestato nel corso dell'operazione Perseo e ora collaboratore di giustizia, si é operato al sequestro di dieci milioni di dollari falsi, armi e una divisa da carabiniere.
Provviste per una prevista guerra di mafia che avrebbe dovuto decidere i nuovi assetti di cosa nostra palermitana, e che erano divise tra un garage di proprietà dello stesso Manno e una casa di proprietà della zia del Manno e sorella di Gerlando 'u paccarè Alberti, anche lui nuovamente arrestato in seguito all'operazione Perseo.
Le scorte erano state approntate da Gaetano Lo Presti, capo del mandamento di Porta Nuova e referente principale del cartello che si opponeva alla designazione di Benedetto Capizzi, boss di Villagrazia, al vertice della commissione. Lo Presti sosteneva di avere l'appoggio di Giuseppe Salvatore Riina, figlio di Totò Riina, ma si sarebbe scontrato con Nino Spera che l'avrebbe smentito citando la madre del giovane Riina secondo la quale lui non si sarebbe dovuto impicciare di quelle cose. Il Lo Presti si suicidò in carcere subito dopo l'arresto, sempre nell'ambito dell'operazione Perseo.
L'idea di stampare i dollari falsi sarebbe da attribuire a Salvatore Manno, nipote di Fabio, che, avuto l'ok all'operazione dall'Alberti, avrebbe stabilito la stamperia clandestina a Pagliarelli. Come ringraziamento sarebbero stati pagati, in dollari contraffatti, mezzo milione alla famiglia di Pagliarelli per l'ospitalità e un altro mezzo milione all'Alberti.
L'uniforme dei Carabinieri sarebbe dovuta servire al Manno per il suo progetto di uccidere Gaetano Lo Presti, con il quale si era aperto un contenzioso. In un primo tempo l'Alberti avrebbe dato l'ok al Manno, ma poi l'avrebbe convinto a desistere.
Fonti: ansa, sole24ore
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