Matteo Messina Denaro

Nato il 26 aprile 1962 a Castelvetrano (TP) è ricercato dal 1993, per associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro; dal 1994 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali.

Matteo Messina Denaro é nell'elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità facenti parte del "Programma Speciale di Ricerca" selezionati dal Gruppo Integrato Interforze.

Figura per certi tratti in netto contrasto con lo stereotipo del mafioso vecchio stile, pare infatti che gli piaccia apparire e farsi notare, e avrebbe avuto relazioni con svariate donne. Il soprannome con cui é noto, Diabolik, la dice lunga sul suo immaginario.

Invece per altri versi lo si potrebbe catalogare come un mafioso tipico: figlio d'arte, il padre Francesco "don Ciccio" Messina Denaro era capo del mandamento di Castelvetrano che, prima di passare alla latitanza, ufficialmente risultava campiere degli D'Alì Staiti. Uso sin da giovane alle armi da fuoco, avrebbe compiuto una cinquantina di omicidi, e il suo primo sarebbe stato commesso a soli 18 anni. Ha ereditato il comando del mandamento di Castelvetrano alla morte del padre, nel 1998, e ha assunto il controllo dell'intera provincia di Trapani all'arresto di Vincenzo Virga. Le sue attività variano dal traffico di droga e armi, alla macellazione clandestina, alla gestione di cave di sabbia.

E' considerato esponente dell'ala stragista di cosa nostra, si ritiene abbia partecipato alle riunioni del direttorio convocato dopo l'arresto di Totò Riina che decisero l'ondata di attentati che colpirono l'Italia nel '93. Avrebbe partecipato di persona alle operazioni, preparando l'attentato dimostrativo (o fallito) nei confronti di Maurizio Costanzo.

Secondo Antonino Giuffrè, dall'arresto di Riina, sarebbe Messina Denaro il custode di un archivio mafioso che conterrebbe materiale sui più discutibili avvenimenti degli ultimi decenni.

Dopo l'arresto di Bernardo Provenzano si stimava che Messina Denaro fosse l'unico che potesse competere con i Lo Piccolo per il vertice di cosa nostra. E quindi, da quando questi sono stati arrestati, si ritiene che, se esiste un capo, questo sia lui.

Nei pizzini ritrovati nel covo di Provenzano sono stati utili per definire alcuni elementi anche nei confronti di Matteo Messina Denaro, che pare usasse Alessio come pseudonimo per queste comunicazioni. Si cita ad esempio una lettera mandatagli da Totò Riina, nonostante l'articolo 41 bis, che mostra quanto forte fosse, e probabilmente tuttora sia, il legame tra i due. Si dice di frizioni tra i vari capi mandamento di cosa nostra. Si parla anche di dissidi tra il Messina Denaro e i Ciancimino, in particolare Massimo, figlio del fu sindaco di Palermo Vito Ciancimino, interessante anche come testimonianza di quello che probabilmente é considerato uno stile adeguato per le comunicazioni tra mafiosi: "Io di ciò non dissi mai niente a lei perché capivo che si poteva solo mortificare della cosa e quindi ho preferito far morire il discorso. Ora glielo sto dicendo perché è lei stesso a chiedermelo; caso contrario non avrei detto nulla, in fondo ognuno di noi risponde del proprio nome e della sua dignità, questo figlio del suo paesano morto sa di aver rubato soldi non suoi e di sicuro si è divertito a Roma visto che abita là, quello che non sa è che quei soldi erano destinati a famiglie di detenuti che hanno bisogno... Ripeto se lei non mi chiedeva non le avrei detto nulla, a volte certe cose è meglio non saperle così si evitano delusioni e dispiaceri ed erano questi che io all'epoca ho voluto evitare a lei. Ma comunque ritengo il discorso chiuso, se la vede lui con la sua coscienza"

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