Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra è noto col nome di Gotha, e si è concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulla fiscalità mafiosa.
Il libro mastro
Nel gennaio 2005 una serie di arresti colpiscono complici di Bernardo Provenzano a Bagheria. Nell'abitazione del Giuseppe Di Fiore, un associato alla locale famiglia mafiosa, viene trovato, fra l'altro, una sorta di libro mastro che riporta le entrate e le uscite della famiglia.
Nella foto qua a fianco vediamo parte delle entrate contabilizzate, identificate dagli investigatori come cifre pagate da ditte e commercianti ai mafiosi. E' una traccia di una attività che, seguendo le stesse caratteristiche, si ritrova nei discorsi di Antonino Rotolo, Francesco Bonura e Vincenzo Marcianò, quando discutono sulla gestione del pizzo nelle zone di Porta Nuova, Borgo vecchio, Passo di Rigano, Acquasanta, Noce, Brancaccio, Pagliarelli.
Il pizzo viene considerato l'attività prevalente, mai abbandonata, da cosa nostra. A volte si è tralasciato, per un motivo o per l'altro, l'impegno in lucrosi mercati come quello della droga, ma mai hanno rinunciato a offrire "protezione" in cambio di una tassa mafiosa.
Inquieto vivere
L'estorsione mafiosa è un fenomeno così radicato che spesso non è nemmeno necessario minacciare la vittima. A volte gli imprenditori addirittura anticipano la richiesta, si presentano loro per pagare, non richiesti, il pizzo, quale semplice risultato della minaccia ambientale costituita dall’esistenza di Cosa Nostra sul territorio.
Una vicenda considerata emblematica è quella di Angelo Di Cristina, venditore al dettaglio di abbigliamento a Bagheria. Nel 2002 viene avvicinato da Carmelo Bartolone, un affiliato alla famiglia di Bagheria che è titolare di una florida azienda. Bartolone lamenta inesistenti problemi economici e chiede al Di Cristina un aiuto di 4000 euro. Il Di Cristina chiede tempo ma si dimostra ben disposto a pagare. Due mesi dopo si incontrano di nuovo, in maniera casuale. Il Bartolone gli ricorda l'impegno, e Di Cristina, nel giro di due giorni, gli consegna la somma.
Di Cristina spiega che non ha ricevuto minacce, sapeva bene che quei soldi non erano un prestito, ma non li avrebbe più rivisti, nonostante il Bartolone non avesse certo problemi economici. Aveva deciso di pagare per il quieto vivere.
L'estorsione è diventata quasi una rappresentazione. Si veda ad esempio la figura della scarica. Costui è generalmente una persona nota nel vicinato per essere vicino ai mafiosi a cui gli esercenti fanno riferimento quando ricevono una sollecitazione a rivolgersi alla persona giusta. Non c'è minaccia diretta, non c'è richiesta esplicita di pagamento, solo un invito a contattare la scarica. Questi si atteggia a intermediario, millantando di poter ottenere anche una riduzione sulle pretese mafiose, agendo addirittura come se fosse amico della vittima.
Competenze e deleghe
In cambio dei soldi che la mafia incassa deve, o almeno dovrebbe, garantire una protezione nei confronti degli imprenditori verso le pretese di altre cosche. E' nell'interesse di ogni singola cosca dimostrarsi affidabile, al fine di non fornire motivi per un possibile rifiuto al pagamento. Per questo motivo, quando possibile, la reazione a sgarri da parte elementi mafiosi è esemplare.
Antonino Giuffrè, fino all'aprile del 2002 a capo del mandamento di Caccamo, racconta il caso dei fratelli Enzo e Leonardo Lo Cascio, di Lercara Freddi. I due avevano cercato di farsi pagare il pizzo da una impresa locale, che già si era "messa a posto" con i corleonesi, arrivando a compiere un attentato incendiario. Totò Riina aveva convocato Giuffrè e gli aveva detto: "noi siamo sicuri che gli autori di questo danneggiamento sono i fratelli Lo Cascio ... se tu sei d'accordo devono morire ... ora renditi conto pure tu e, dopo di ciò, quando sei sicuro, agisci per la loro eliminazione".
Il cadavere di Enzo Lo Cascio fu ritrovato in una discarica palermitana pochi giorni più tardi. Più tardi toccò a Leonardo Lo Cascio, eliminato con dieci colpi di
pistola a Lercara Freddi.
Sono ammesse deroghe nella intermediazione del pagamento, a patto che siano compiute nell'interesse delle parti. Ad esempio Francesco Bonura, ai vertici della famiglia di Uditore, nel mandamento Passo di Rigano, tratta personalmente una richiesta di pizzo con gli imprenditori Gioacchino Guccione e Vito Buscemi che operano nella zona sotto il controllo della famiglia Arenella-Acquasanta. Ma il Bonura è parente di Buscemi e conoscente da lunga data del Guccione. Vincenzo Di Maio, reggente della famiglia di competenza, si fida di lui e accetta la mediazione.
Calogero Mannino, della famiglia di Passo di Rigano, tratta con l'imprenditore Giuseppe Sammaritano per una estorsione che sarebbe sotto la competenza di Carini. Questi avevano chiesto al Sammaritano una tangente di centomila euro per avallare il suo acquisto di un terreno nel loro territorio. Il Sammaritano non accetta, e allora si contatta il Mannino, che già conosceva il Sammaritano, per ottenere una mediazione. I due si accordano per una cifra più bassa. Il Sammaritano paga Mannino, che gira la somma ai fratelli Giovan Battista e Vincenzo Pipitone, ai vertici della famiglia di Carini.
Succede anche che la competenza territoriale sia difficile, o impossibile, da determinarsi. Nel caso del Gruppo Migliore, supermercati, punti vendita, agenzie di scommesse sparse su tutto il territorio siciliano, è stato lo stesso Giuseppe Migliore, a capo del gruppo, a incaricare un suo dipendente, Francesco Stassi che sapeva essere vicino ad ambienti mafiosi, di occuparsi della trattativa sul pizzo. Questi aveva concordato con Antonino Rotolo e Antonino Cinà pagamenti semestrali complessivi di 10.000 euro. Sarebbe stato poi il Rotolo a suddividere l'incasso tra le diverse famiglie di competenza, a seconda della rilevanza relativa.
Una piccola impresa inizia dei lavori di ristrutturazione nella zona di Borgo Nuovo, zona di competenza della famiglia di Uditore, di Boccadifalco-Passo di Rigano. Calogero Mannino e Francesco Bonura chiedono al titolare il pizzo, ma questi fa notare di essere già stato contattato da Giovanni Nicoletti, famiglia Cruillas, della Noce. Mannino se la prende con l'imprenditore, che non ha seguito la procedura corretta: "già che il suo dovere era di cercare a qualcuno prima di mettere mano e dire io devo andare a fare questo lavoro" e, in accordo con il Bonura, chiedono una mediazione ad Antonino Rotolo.
Nei casi più complicati non basta l'autorevolezza di un Rotolo, occorre riferirsi a Bernardo Provenzano, come accade nel caso di Salvatore Romeo, di cui si parla in un pizzino. Tale Mario, compaesano di Provenzano e nipote di un altro compaesano, chiede trentamila euro al titolare del mangimificio Romeo. Questi dice di non aver mai pagato nulla, e si appoggia a Pietro, amico di Provenzano e Rotolo e compaesano del secondo. Mario ne fa una questione di principio e dunque Pietro chiede consiglio a Rotolo, che non può far altro che riportare l'ingarbugliata situazione a Provenzano.
Messa a posto
Grande Migliore apre un ipermercato a Canicattì. Francesco Stassi parla con Antonino Rotolo per definire la tassa di protezione. Niente soldi, questa volta: "ci servono ventidue posti ... non dobbiamo domandare altro". E' un fatto comune, e da tempo. Già nella sentenza del maxi processo si cita come i fratelli Pippo e Antonino Calderone, sin dai primi anni cinquanta, imponevano alle imprese edilizie dei fratelli Costanzo di Catania una tangente mensile e l'assunzione di centinaia di dipendenti nei cantieri.
Altre volte la messa a posto diventa l'imposizione di subappalti, forniture, partecipazione a consorzi con altre imprese.
Nei primi mesi del 2004, l'amministratore della ditta COCI srl era sul cantiere di Bellacera quando viene contattato da Giuseppe Di Fiore che gli spiega che deve mettersi a posto. Cerca di tirare per le lunghe ma alla fine cede e paga dodicimila euro. Ma questo non accontenta il Di Fiore, che si presenta con Nicolò Testa che viene imposto come referente per la fornitura di sabbia e per il noleggio di due escavatori. Ma tra i terreni soggetti alle opere in corso di realizzazione, ce n'è anche uno di pertinenza della signora Lo Bue, legata al Giuseppe Di Fiore. Costei se ne lamenta col Di Fiore che interviene più volte in cantiere (da solo prima, poi con Carmelo Bartolone e quindi anche con Onofrio Morreale) per far deviare i lavori.
Protezione attiva
Tommaso Buscetta ebbe a dichiarare: "attorno alle famiglie e agli uomini d'onore vi è una massa incredibile di persone che, pur non essendo mafiose, collaborano coi mafiosi, talora inconsapevolmente. Tutto ciò dipende da quel clima perdurante di 'contiguità' rispetto alle organizzazioni mafiose, che rende le stesse tanto potenti ... Circa il tenore dei rapporti faccio presente che gli stessi non possono essere ricondotti alla situazione di assoggettamento. Si tratta di situazioni in cui coloro che cooperano si attendono anche vantaggi."
Uno conferma a questa situazione è giunta dalla sentenza della corte di cassazione che nel 2008 ha confermato condanna per concorso esterno in associazione mafiosa di Filippo Salamone, amministratore della Impresem, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini, della Calcestruzzi SpA.
Si conferma l'esistenza di accordi occulti per la spartizione degli appalti, coordinati anche da mafiosi.
Angelo Siino, detto il ministro dei lavori pubblici di Salvatore Riina e di Giovanni Brusca, spiega come maturano queste intese. Con Riina a capo di cosa nostra, l'organizzazione cambia struttura, da una confederazione di famiglie fondamentalmente autonome, si passa ad una concentrazione dei poteri decisionali nei vertici delle commissione.
Se prima cosa nostra si limitava a estorcere il pizzo a chi vinceva gli appalti, lasciano che gli imprenditori se la vedessero tra di loro per la gestione degli appalti - si fa notare che era comunque presente un cartello illegale che permetteva la generazione di profitti illeciti - ora cosa nostra vuole gestire gli accordi tra imprenditori, politici, liberi professionisti. E' Angelo Siino che fa da referente accreditato da Riina in questo mondo. E' lui che coordina il metodo di turnazione
pilotata delle aggiudicazioni del lavori, favorendo, nel caso, aziende vicine o controllate da cosa nostra. Filippo Salamone è la controparte nominata dal mondo imprenditoriale che si occupa della gestione degli appalti superiori ai cinque miliardi di lire, appoggiato da Giovanni Bini e spalleggiato da Antonino Buscemi, imprenditore mafioso della famiglia di Passo di Rigano.
Solitamente la gestione di questi affari avviene a livello burocratico ma, se è il caso, non si disdegnano modi più prettamente mafiosi, fino ad arrivare all'eliminazione fisica, come avviene nel caso dell'imprenditore Ranieri, che viene eliminato per non essersi piegato a rinunciare alla partecipazione ad una gara il cui risultato doveva essere quello già deciso.
Fonte: SOS Impresa
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