Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
La ricostruzione dei fatti in oggetto secondo il gip.
Il 18 febbraio 1991 Giovanni Falcone veniva chiamato a dirigere l'Ufficio Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia retto da Claudio Martelli.
Nell'aprile seguente il governo Andreotti adottava un decreto legge per impedire le scarcerazioni per decorrenza dei termini, cosa che era andata a vantaggio di diversi mafiosi.
A fine anno si celebrava il terzo grado di giudizio presso la Prima Sezione della Corte di Cassazione per il maxiprocesso di Palermo ed il 30 gennaio 1992 veniva emessa una sentenza che annullava le assoluzioni dei personaggi di vertice dell’organizzazione, confermando le altre condanne.
Il 12 marzo 1992, nel corso della campagna elettorale per le politiche, veniva ucciso Salvo Lima, esponente della corrente andreottiana in Sicilia.
In quel periodo Elio Ciolini, condannato per depistaggio, forniva informazioni relativamente ad un piano destabilizzante che si stava preparando in Italia e che prefigurava gravi attentati a personaggi delle istituzioni nel periodo di marzo-luglio 1992.
Dopo le elezioni politiche, si dimettevano il 24 aprile il Presidente del Consiglio in carica, Giulio Andreotti, e, il giorno dopo, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
In questa situazione, e dopo un conflitto istituzionale tra il Ministro di Grazia e Giustizia Martelli e il CSM relativo alla nomina di Giovanni Falcone a Procuratore Nazionale Antimafia, il 23 maggio avveniva la strage di Capaci.
Due giorni dopo veniva eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, emergeva la candidatura di Paolo Borsellino a Procuratore Nazionale Antimafia.
Il 6 luglio 1992 trapelava la notizia del trasferimento degli imputati e dei condannati per associazione mafiosa nelle carceri di massima sicurezza di Pianosa e di Fossombrone.
Il 19 luglio 1992 veniva fatta esplodere l’autobomba di via D'Amelio.
Si adottavano a questo punto incisive iniziative legislative e di polizia nei confronti delle organizzazioni mafiose. In particolare si accelerava la conversione in legge del d.l. 8/6/1992 n.306 per il contrasto alla criminalità mafiosa, superando le precendenti opposizioni di alcune forze politiche.
Le stragi di Capaci e di via D'Amelio furono rivendicate dalla Falange Armata. Secondo i giudici della Corte di Assise di Firenze, come riportato nella sentenza a carico di Leoluca Bagarella e altri 25 in data 6 giugno 1998, uomini di cosa nostra organizzarono ed eseguirono gli attentati stragisti del 1993 mimetizzando la loro attività usando quella sigla, del resto attiva anche indipendentemente da loro.
La Corte di Assise di Caltanissetta ha sostenuto nella sentenza del via D’Amelio ter che:
"risulta quanto meno provato che la morte di Paolo Borsellino non era stata voluta solo per finalità di vendetta e di cautela preventiva, bensì anche per esercitare – cumulando i suoi effetti con quelli degli altri delitti eccellenti – una forte pressione sulla compagine governativa che aveva attuato una linea politica di contrasto alla mafia più intensa che nel passato ed indurre coloro che si fossero mostrati disponibili tra i possibili referenti, a farsi avanti per trattare un mutamento di quella linea politica [...] E proprio per agevolare la creazione di nuovi contatti politici occorreva eliminare persone che come Borsellino avrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo di approccio con _cosa nostra_."
Fonte: società civile
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