Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Salvatore Cancemi.
Salvatore Cancemi ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo essere stato reggente del mandamento di Porta Nuova e quindi parte della Commissione Provinciale. Si é consegnato spontaneamente nel luglio '93 ai Carabinieri secondo alcuni, come Giovanni Brusca, il Cancemi si sarebbe reso conto di essere stato condannato a morte da cosa nostra per aver favorito i propri parenti, e avrebbe deciso di collaborare per sottrarsi alla sua imminente esecuzione. Le sue dichiarazioni sono state ritenute attendibili dalle Corti di Assise di Caltanissetta, anche se si é notata una sua certa difficoltà nel collaborare, negando a volte l'evidenza. Per spiegare il suo comportamento s'é descritto "come una vite arrugginita che ci vuole del tempo per svitarla"
Cancemi ha dichiarato che Ganci gli avrebbe confidato, giorni prima della strage di Capaci, che Riina aveva incontrato persone molto importanti, e avevano raggiunto la decisione di "mettere una bomba a Falcone. Queste persone importanti hanno promesso allo zù Totò che devono rifare il processo nel quale lui è stato condannato all’ergastolo"
Si riportano poi sue dichiarazioni, secondo le quali sarebbe stato convocato da Salvatore Totò Riina tra il 1990 e il 1991 a casa di Girolamo Guddo per un incontro con lui, con Raffaele Ganci e con Salvatore Biondino. Riina gli avrebbe ordinato di dire a Vittorio Mangano di farsi da parte rispetto a Berlusconi, dato che Riina, considerando il rapporto con Berlusconi "un bene per tutta cosa nostra", voleva gestirlo direttamente; se Mangano avesse fatto obiezioni, Cancemi avrebbe dovuto ricordargli uno sgarbo fatto a Riina, il regalo di un'arma al suo avversario Stefano Bontade.
Cancemi era reggente di Porta Nuova e come tale era referente di Mangano, per questo motivo Mangano gli avrebbe detto in precendenza di aver lavorato tra il 1973 e il 1974 nelle proprietà di Arcore dove avrebbero soggiornato anche latitanti come Nino Grado, Francesco Mafara e Salvatore Contorno.
Inoltre, secondo Cancemi, Riina "precisò che, secondo degli accordi stabiliti con Dell'Utri, che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l'anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne", e sarebbe certo che il rapporto tra Riina e Dell'Utri risalisse quantomeno al 1989.
I rapporti di cosa nostra con Dell'Utri e Berlusconi sarebbero stati gestiti in una prima fase da Stefano Bontate, Pietro Lo Iacono e Girolamo Teresi della famiglia della Guadagna, da cui il Mangano era entrato in contatto con i due. In modo poco chiaro il Cancemi ha anche detto di aver saputo da Mangano che anche Giovanni e Ignazio Pullarà avevano avuto rapporti con Berlusconi e Dell'Utri.
Dopo la strage di Capaci, nel corso di festeggiamenti a casa di Girolamo Guddo, Riina si sarebbe assunto tutta la responsabilità del fatto e avrebbe preannunciato l'eliminazione di Borsellino, e avrebbe inoltre affermato: "io mi sto giocando i denti, possiamo dormire tranquilli, ho Dell’Utri e Berlusconi nelle mani e questo è un bene per tutta cosa nostra".
In quel periodo Riina sarebbe stato al lavoro su di una lista di persone da uccidere, perché avevano delle "colpe" con cosa nostra; tra gli obiettivi sarebbero rientrati Pier Luigi Vigna, procuratore antimafia, il questore Arnaldo La Barbera, e il socialista Claudio Martelli.
Che la politica stragista di cosa nostra impostata da Riina destasse delle perplessità in esponenti mafiosi, viene evidenziato da questo commento attribuito dal Cancemi a Raffaele Ganci, dopo che Riina aveva espresso la sua volontà di eliminare Borsellino: "questo ci vuole rovinare tutti"
Si fa notare come le affermazioni di Cancemi siano a volte poco chiare, al punto da far nascere il sospetto che possa aver introdotto nei fatti da lui narrati elementi non facilmente verificabili allo scopo di far sopravvalutare la sua importanza. Si richiede quindi di valutare le sue dichiarazioni con la massima prudenza, e di utilizzarle solo in presenza di riscontri esterni.
Fonte: società civile
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