Iscaro-Saburo: Angelo e Vincenzo Fania

Dalla sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo 2009 presso la corte di assise di Foggia.

Gli omicidi di Angelo e Vincenzo Fania.

L'ipotesi accusatoria contestata a Gennaro Giovanditto é stata quella di aver ucciso con premeditazione, con metodi mafiosi e in concorso con sconosciuti, Angelo e Vincenzo Fania in data 13 ottobre 1999. Secondo l'accusa il duplice omicidio fa parte di un disegno volto ad assicurare il controllo del territorio da parte del Giovanditto e dei montanari.

Intercettazioni ambientali confermerebbero che il Giovanditto avesse una attività organizzata facente capo al gruppo Li Bergolis di contrabbando di sigarette. Questo conferma che gli omicidi non sono stati solo dovuti all'astio del Giovanditto nei confronti dei Fania, ma anche a quanto indicato dall'accusa.

Il fatto e le indagini.

Il cadavere di Vincenzo Fania veniva scoperto dopo le 20. Il corpo giaceva a terra all'interno di uno dei due plessi che costituivano la masseria dei Fania. La morte era stata causata da tre colpi di lupara, uno dei quali esploso alla tempia. Sembra probabile che la scena del delitto fosse stata sistemata per simulare che la vittima fosse stata colta di sopresa mentre si stava cambiando.

Solo all'alba veniva ritrovato il corpo di Angelo Fania, figlio di Vincenzo, a circa mezzo chilometro di distanza, poco distante da una macchina con le chiavi ancora nel quadro. Si ipotizzava che avesse cercato la fuga senza successo. Anche lui era stato ucciso con tre colpi di lupara, l'ultimo dei quali alla testa.

Le modalità di esecuzione sono tali da evidenziare come l'operazione sia stata preparata con cura.

Sin dalle prime indagini si evidenzia come i Fania fossero estranei al giro mafioso. Si viene a sapere che tre giovani sono stati visti sul posto quel giorno in un fuoristrada, ma inizialmente non si riesce a scoprire di più.

Si notava come la zona fosse favorevole per operazioni di contrabbando e come in passato queste fossero effettivamente avvenute. Si scopre inoltre che il Giovanditto avesse in affitto il secondo plesso della masseria, e avesse quindi un controllo diretto del posto. Si ipotizza immediatamente un coinvolgimento del Giovanditto nel fatto, e si cerca di accertare il suo alibi per il periodo in cui si stima potesse essere successo il fatto, tra le 15 e le 18 e 30.

La presenza del Giovanditto sul luogo del crimine.

Secondo Domenico Fania, il fratello Vincenzo era una persona pacifica e non aveva mai avuto problemi. A proposito del Giovanditto confermava che il fratello aveva dato i pascoli in affitto alla sua famiglia. Riferisce poi che, due giorni dopo il fatto, un vicino lo fermava vicino al mulino e poi gli diceva di aver visto il Giovanditto che, il giorno prima dell'omicidio e in compagnia di un altro, andava in macchina verso la masseria del fratello. Il giorno dell'omicidio aveva visto di nuovo il Giovanditto, questa volta su un fuoristrada e in compagnia di altre tre persone.

Nazario Fania, figlio di Vincenzo, ha chiarito l'importanza strategica della masseria i cui terreni si affacciano sul mare ed é ben collegata alla locale superstrada. La perquisizione del 1999 operata dai carabinieri nella loro campagna aveva colpito i Fania che pensavano di intervenire sulla viabilità all'interno dei loro terreni per rendere impraticabile il passaggio ai trafficanti.
Altre sue dichiarazioni e intercettazioni ambientali portano ad affermare che il Giovanditto fosse affiliato ai Li Bergolis e facesse contrabbando con modalità mafiose via mare appoggiandosi alla zona della masseria dei Fania.
De relato il teste afferma che qualche giorno prima del fatto ci sarebbe stato un duro litigio tra il fratello Angelo e il Giovanditto.
Il tutto porta a pensare che Vincenzo, e soprattutto Angelo, si fossero decisi a contrastare l'uso improprio della loro masseria da parte del Giovanditto, e questo sia stato all'origine del duplice omicidio.

Gennaro Giovanditto dichiarava di essere stato in compagnia di amici nel periodo indicato ma, come ha osservato il PM: "le numerose e significative contraddizioni emerse dalle dichiarazioni [...] costituiscono al contrario ulteriori elementi indiziari a carico dell'imputato che aveva evidentemente spinto l'amica a dare una versione diversa al fine di precostituirsi un alibi del delitto commesso". In ogni caso il Giovanditto stesso dà una versione ancora diversa rispetto a quella delle testi.

Altre indagini.

Si é indagato sul traffico telefonico del cellulare del Giovanditto. Si é rilevato un significativo flusso di contatti con tre altri numeri proprio il giorno del duplice omicidio con un anomalo picco di traffico tra le 16 e le 18:18, in corrispondenza dell'ora del delitto.

Uno dei numeri contattati conducevano a Giuseppe Li Bergolis, che negava di conoscere il Giovanditto, ma confermava di aver comprato il telefono compreso di utenza da Giuseppe Lauriola. Dichiarava di aver poi smarrito l'apparecchio senza poi preoccuparsi di denunciarne la scomparsa o bloccare il numero.

Secondo il PM il senso di questo traffico é che "Giovanditto si nascondeva tra la vegetazione antistante l'aia della casa rurale comunicando telefonicamente con gli altri componenti del gruppo per stabilire e coordinare i rispettivi movimenti al fine della migliore riuscita dell'azione criminale".

Le intercettazioni.

Viene riportata una intercettazione dall'utenza del Giovanditto attribuita alla moglie che parlava a persona non identificata. La conversazione è ritenuta importante per valutare la pessima fama del Giovanditto, e per sostenere quanto sia poco credibile un alibi facente riferimento alle dichiarazioni della signora.

Donna: Ha detto fatti una nuova vita, lascialo perdere che è troppo delinquente quello. [...]
Donna: No, io ti ho detto deve nascere l'uomo della mia vita [...]
Uomo: Sono io! Hai capito! Ti voglio e ti vorrò [...] quando vuoi ma il male che ti ha fatto lui non te lo farò mai, hai capito! [...]
Donna: No, io ci credevo [...] però ora l'ho visto con gli occhi miei [...] quello è un animale, me la devo chiudere [...]
Donna: E' un animale proprio!
Uomo: Io fino a che non parlavo con te.. [...] Fino a che non parlavo con te e
controllavo e tutto, non pensavo che era così, a volte mi fa proprio schifo!
Donna: Fa schifo! [...] Che animale madonna, chi lo immaginava che mi doveva portare fino qua [...]
Uomo: Al funerale sei andata?
Donna: No però l'ho visto di andare
Uomo: Ma lui è andato?
Donna: Lui sì
Uomo: Con quella faccia è andato pure! [...]
Uomo: Per come cammina il paese [...] subito uccidono.. [...]
Donna: Ma lui lo sai da quando [...] l'ha scampata, è stato il padre che ha dovuto
pagare [...] 10 milioni una volta che ha fatto proprio un danno grosso, capito, lo dovevano proprio uccidere, il padre ha pagato dieci milioni per farsi perdonare [...]
Donna: Di lui non me ne frega proprio niente [...]
Uomo: E perciò! Senti a me! Hai capito? Se c'è qualche problema con lui noi ce ne andiamo, di lui non ce ne frega niente.


Da una intercettazione ambientale emergerebbe chiaramente il contesto operativo del Giovanditto che, all'interno del gruppo dei Li Bergolis, si dedicava in quel periodo al contrabbando di sigarette con uso di gommoni.

Il coinvolgimento del Giovanditto nel duplice omicidio emerge da un'altra intercettazione ambientale tra due uomini identificati come il Giovanditto e Giuseppe De Cato. Si fa notare l'arroganza del Giovanditto che considera la masseria cosa sua e il riferimento ad un tiretto che é stato colpito da un colpo di fucile.

Uomo: Lo devi far sapere proprio a lui?
Gennaro : Sì, è cretino.
Uomo: No, Nazario è bravo. E' un poco furioso, è.
[...]
Uomo: Ti vai a ficcare là?
Gennaro: Io mi vado a coricare nella casetta di quello. Ora mi vado a coricare. E per quale motivo non mi devo andare a coricare? Che... perché, sono stato io?
Uomo: (ride)
Gennaro: (canticchia) Devo mettere pure la roba nel tiretto là. Quello lo devo fare tutto un appartamento. Questo merda! [...]


Inoltre il Giovanditto dice al suo interlocutore:

Nazario il fatto della jeep non ho capito perché voleva negare. Ha detto: "A te chi te l'ha detto?". Hai visto? Si sa il fatto della jeep. Me l'ha detto il Maresciallo

Confermando la versione del Fania in cui l'imputato parla della Jeep senza che lui ne avesse fatto prima menzione.

In un'altra intercettazione sono stati identificati Gennaro Giovanditto e Leonardo Clemente che parlano chiaramente dell'arma del delitto.

Gennaro: Eh. Ha detto così che non ci devono andare neanche loro che raccolgono le olive. Hai capito? Forse gli sbirri... che cazzo devono voler fare? Qualche perquisizione attorno, attorno, attorno? O devono trovare il fucile?!
Leonardo: Là lo tieni?
Gennaro: Intorno a là, lo tengo nella macèr (macerie) [...]
Leonardo: All'anima di Cristo in Croce! Non si può levare di notte?
Gennaro: Aeh! La notte ti vai a mettere 'mpizz là? Tu sei malato! Allora non hai capito che là stanno fissi, da là? [...]
Leonardo: Tu devi andare... all'imbrunire devi stare... al calare del sole, quando è fatto scuro, devi fare il servizio! Alla puttana di Cristo, Genna'?! Mettono le macchinette e cose, all'anima della Madonna troia!
Gennaro: Meh, con le macchinette! Una volta che hanno trovato il fucile che cazzo ne so di chi è? Della buon'anima? Di chi è? [...]
Leonardo: E tu che ne sai se ci sta qualche impronta, in faccia là?
Gennaro: Seh! Da allora dovevano rimanere le impronte? Con l'acquarecc, piove. È andata l'acqua sopra i sacchetti e cose!
Leonardo: All'anima di Cristo! Tu che ne sai se in un percussore, in un coso... non si scherza.
Gennaro: Sì, ma non è il fucile vrett, eh. E' pulito!
Leonardo: Ah, è pulito è?
Gennaro: E che cazzo, l'automatico non doveva rimanere cose a terra? Che cazzo,
quello l'ho unto e l'ho rimasto... prima che facevo il servizio. Là... eh! Senti che
testa, senti!
Leonardo: Meno male


Il fatto che il Giovanditto parli senza remore dell'arma del delitto, mentre il Clementse si mostra preoccupato in relazione al timore del suo ritrovamento, lascia intendere come come vi fosse un interesse al delitto che va oltre il mero interesse
personale del Giovanditto.

Un'altra intercettazione ambientale, in cui sono identificati il Giovanditto e Ferrandino Nicandro, porta ulteriori elementi a carico dell'imputato che mostra di temere che le indagini possano condurre a lui. Tale timore viene ancor meglio espresso in una seguente intercettazione ambientare, in cui sono identificati il Giovanditto e tale non meglio specificata Concetta. "Basta che non trovano qualche cosa... qualche cosa da là. Se trovano qualche cosa mi devono inguaiare".

Una intercettazione ambientale in cui sono identificati Carmine Tarantino e Antonio Pucciacchio Daniele, i due parlano di diversi omicidi commessi nel territorio di Sannicandro Garganico fra cui quello dei due Fania, attribuito al Giovanditto e al suo gruppo.

Carmine: il bastardo, lo tenevamo in mezzo a noi
Antonio: chi è?
Carmine: il figlio di scalfone
Antonio: lui è? [...]
Antonio: ha chiamato i montanari?
Carmine: Ha chiamato i montanari
Antonio: chi ha chiamato, ai Lombardi?
Carmine: e non so a chi cazzo ... sono loro, sono quelli che hanno fatto il servizio a ...
Antonio: a ... alla superstrada
[...]
Antonio: no dico ma ... questi qua, diciamo, che hanno fatto alla buon'anima di tuo nipote, diciamo, chi erano, i Lombardi? [...]
Carmine: quelli che fuggivano, che se la facevano dentro il Monte D'Elio
[...]
Carmine: sono cinque persone, quelle che so io
Antonio: cinque che si sono fatti ... compreso quello sul Monte D'Elio
Carmine: e u'Monte d'Elio
Antonio: uhmm
Carmine: quelli tre sull'autostrada e due sette, e uno è otto
Antonio: là se stavano, là, se stava Libergolis, stavano pure loro. Perché quelli stanno accosì con Libergolis. Sono parenti, sono cugini
Carmine: sì
Antonio: Con quel Calgarulo questi Lombardi stanno stretti, questo Matteo, questo Angiulin e quello ma i tre più pericolosi sono quell'Angelo, quel Matteo e quello piccolino.


Conclusioni.

Si affermata la responsabilità del Giovanditto nel duplice omicidio.
Si evidenzia che il delitto si inserisce nel quadro programmatico del gruppo Li Bergolis, in quanto rappresenta una riaffermazione del potere del clan e il controllo sul territorio.
C'é un'aggravante per il metodo mafioso con cui si é realizzato il duplice delitto: agguato, uso di potenti armi, il colpo alla testa. Si è voluta riaffermare la capacità di intimidazione per dare un monito barbaro per tutti coloro che, come i Fania, si contrapponessero ai voleri del clan.
Altra aggravante é quella della crudeltà, dato il modo barbaro con cui i due sono stati uccisi.
Inoltre l'omicidio deve dirsi aggravato dalla premeditazione.

Fonte: Studio Legale Vaira

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