Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Giovanni Brusca.
Brusca ha confermato che si pensava di uccidere Giovanni Falcone dalla fine del 1990. Dopo la sentenza di appello del maxi-processo Salvatore Totò Riina gli aveva detto che bisognava stare tranquilli in attesa della Cassazione, lo avrebbe mandato in più occasioni da Ignazio Salvo "per contattare i canali Lima, Andreotti, Carnevale" ma il Salvo "rispondeva picche (...) che non erano più i tempi di una volta". Sarebbero queste risposte a far nascere in Riina l'idea di eliminare il Salvo.
In una riunione del '92 Brusca dichiara che si discusse "di un progetto di
eliminare (...) Lima prima e Falcone (...) Si parla di personaggi politici, non politici, amici o ex amici, persone che si erano messe a disposizione e che avevano tradito (...) perché noi dovevamo stroncare l'attività politica o la corrente politica di Andreotti in Sicilia, in quanto lui non si era interessato per il maxi processo"
Dopo la strage di Capaci Brusca si sarebbe dovuto occupare di uccidere Calogero Mannino ma, andato a consultare Biondino e Riina sulle modalità dell'agguato, gli dissero che "erano sotto lavoro", si presume alludessero alla strage di Via D'Amelio. Dice: "non mi è stato mai richiesto: -che ne pensi, se vuoi uccidere il dottor Borsellino o meno- o cose varie, non mi è stato chiesto, quindi io non è che potevo dire un parere, sì o no. Uno: perché non mi è stato chiesto; due: se mi veniva chiesto io avrei detto sì"
Riina gli parlò in una di quelle riunioni del papello, il messaggio a personaggi istituzionali che conteneva le condizioni di cosa nostra allo Stato. Gli interlocutori gli erano sembrati inizialmente disponibili, ma poi avevano interrotto le trattative considerando le condizioni troppo gravose.
Nel corso di due riunioni che si tennero a casa di Guddo, in seguito alla sentenza del maxi-processo in Cassazione si sarebbe discusso dell'eliminazione di Ignazio Salvo, per la quale Brusca si mise a disposizione, e poi dei suoi aspetti esecutivi. Il piano fu rimandato ma nel frattempo si sarebbe passati a studiare l'omicidio di Salvo Lima; l'attentato a Giovanni Falcone; un possibile omicidio del questore Arnaldo La Barbera, secondo loro troppo attivo contro la mafia; di Carlo Vizzini e Calogero Mannino, che sarebbero stati responsabili di non aver favorito cosa nostra dopo averne preso i voti; e di Paolo Borsellino.
Dopo l'omicidio Lima, Salvatore Biondino avrebbe chiesto a Brusca di fare qualche attentato a sezioni della Democrazia Cristiana e Brusca si offrì di farlo a Monreale.
Si passò poi, sempre a casa di Guddo, a preparare la strage di Capaci. Brusca avrebbe fatto notare a Riina che quell'attentato avrebbe impedito a Giulio Andreotti di diventare Presidente della Repubblica e i due si sarebbero compiaciuti del fatto che la morte di Falcone sarebbe servita anche per dare un'ulteriore "lezione" ad Andreotti e alla sua corrente per aver disinvoltamente voltato le spalle a cosa nostra.
Dopo la strage di Capaci, Brusca dice di aver ripreso a preparare un attentato a Mannino ma venne interrotto da Biondino. Si dedicò perciò a occuparsi di Ignazio Salvo "non ho premura di farlo, me lo faccio quando mi viene più comodo".
In una delle riunioni a casa di Guddo, Brusca avrebbe chiesto a Riina come procedevano i tentativi di contatti con le istituzioni: "con sorpresa mi fa: Dice mi vogliono portare a Bossi… mi vogliono portare a Bossi tanti avvocati. E mi dice: ma questo è un pazzo, cioè poco affidabile cioè non ci ho (...) fiducia". In un altro incontro gli avrebbe detto: "Si sono fatti sotto, gli ho fatto un papello così"
Non é chiaro in quale periodo sarebbero state fatte queste dichiarazioni, probabilmente poco prima della strage di via d'Amelio, come dice Brusca in una sua dichiarazione del '99: "io non ero sicuro se era avvenuto prima la strage Borsellino o dopo; sono riuscito a potere mettere dei paletti con certezza a causa delle accuse che mi faceva il Mario Santo Di Matteo, e quindi io, siccome poi in quel periodo mi sono trasferito nel trapanese per commettere anche reati lì, ho potuto stabilire che era (...) dopo la strage di Capaci e prima di quella del dott. Borsellino. Sarà stato una settimana prima, saranno stati dieci giorni, quindici giorni, però, nell'arco di questo tempo, prima sicuramente della strage del dottor Borsellino"
Anche Brusca parla, come aveva fatto anche Salvatore Cancemi, di una trattativa basata sulla restituzione da parte di cosa nostra di opere trafugate in cambio di un trattamento di favore per alcuni mafiosi detenuti, tra i quali Giuseppe Pippo Calò. A far partire questa operazione sarebbe stato un tal Bellini, legato ad Antonino Gioè. La cosa comunque si concluse con un nulla di fatto.
Brusca ha anche fatto luce sugli accordi tra i corleonesi e cosa nostra catanese, in particolare Eugenio Gallea e Santo Mazzei. Si parlò del sequestro di Giuseppe Cambria, finanziatore dei Salvo; di attentati contro Pietro Grasso, Salvo Andò, e Claudio Martelli. I due socialisti erano considerati traditori da cosa nostra, in quanto si sarebbero aspettati da loro benefici che poi non erano arrivati: "c'era l'onorevole Andò che nei suoi comizi (...) gridava per garantismo, cioè per una serie di fatti generali, ma ne usufruiva cosa nostra! E noi gli davamo questa interpretazione". Martelli era accusato di essersi alleato con Giovanni Falcone "per rifarsi una verginità".
Secondo Brusca, "il fine comune era di portare lo Stato a trattare con cosa nostra (...) e nello stesso tempo loro per i fatti suoi io non so per quale motivo, si volevano togliere qualche spina o qualche cosa dalla scarpa".
Brusca afferma che Antonino Cinà sarebbe stato il consigliere politico di Salvatore Riina, ma afferma di non sapere niente di certo sui contatti politici di cosa nostra. Come pure ha affermato di non poter dire nulla in base alla sua diretta esperienza sui rapporti che cosa nostra avrebbe intrattenuto con Dell'Utri e Berlusconi. Dice di non saper nulla degli interessi dei fratelli Graviano nel nord Italia. Avrebbe chiesto, tra la fine del '93 e l'inizio del '94, a Vittorio Mangano se fosse vero quanto si leggeva dei suoi rapporti con Berlusconi, ricevendone conferma.
I rapporti tra Brusca e Mangano erano molto buoni a causa di un soggiorno comune in carcere, in seguito a ciò il Brusca aveva aiutato il Mangano ad assumere la reggenza della famiglia di Porta Nuova, dopo la defezione di Salvatore Cancemi. Brusca avrebbe quindi chiesto a Mangano di farsi da intermediario presso Berlusconi per la trattativa che mirava ad ottenere, tra l'altro, l'abrogazione del regime detentivo speciale per i mafiosi e la loro ammissione ai benefici della legge Gozzini.
Dice il Brusca: "chiedo a Vittorio Mangano se era vero o non era vero (...) e quello mi conferma tutto paro paro: sì, vero è. Allora dico: sei in condizioni di ripristinare, cioè di riprendere un'altra volta i contatti con Berlusconi? Dice sì, dico: fammi vedere. Va a Milano, torna e mi porta la risposta che è a disposizione, cioè c'è il contatto di potere riprendere con Silvio Berlusconi, però non gli domando tramite chi". "Io glieli ho mandati a dire un po' tutti assieme, però nel tempo, se non con la minaccia, se non avrei continuato le stragi... se loro non avrebbero fatto niente. Dice no, no, no e mi manda a dire, tramite Vittorio Mangano, cioè di stare calmo piano piano che ora si va vedendo. Ma poi subito tutto finì lì perché Vittorio Mangano poi viene arrestato, io non avevo più contatti, il governo Berlusconi subito dopo è caduto, quindi i contatti miei sono finiti qua".
Brusca avrebbe informato di questa sua iniziativa solo Leoluca Bagarella che si occupava del movimento "Sicilia Libera" e che contava sul contributo dei fratelli Graviano, che invece si defilarono. Brusca lo avrebbe capito quando Ienna, imprenditore vicino ai Graviano, mise a disposizione il suo hotel San Paolo Palace per l'inaugurazione di un club Forza Italia, senza che Bagarella ne venisse informato.
Nel '99, Brusca dichiarò di aver ricordato che nel corso degli anni 82-83 Ignazio Pullarà, reggente della famiglia di Santa Maria di Gesù dopo l'arresto del fratello Giovan Battista, gli disse che a Berlusconi e a Canale 5 "gli faceva uscire i picciuli", essendo subentrato in un rapporto instaurato da Stefano Bontade.
Brusca ha recisamente negato che si fosse parlato di Berlusconi e Dell'Utri nelle riunioni a cui lui partecipò prima della strage di Capaci, anzi, di non aver mai partecipato ad attività che coinvolgessero i due: "non è stato mai per dire Berlusconi ha mandato questo, Dell'Utri ha mandato questo, o c’è questo canale, alla mia presenza non c'è mai stato perché (...) non ha niente a che fare con i problemi della città, quindi sicuramente i discorsi sono stati fatti però io non ne so nulla..."
Secondo i giudici della Corte di Assise di Firenze: "Brusca dice il vero quando afferma che la richiesta di trattare, formulata da un organismo istituzionale a lui sconosciuto (oggi si sa che erano gli uomini del ROS), indusse Riina a pensare (e a comunicare ai suoi accoliti) che quelli si erano fatti sotto. Lo indusse cioè a ritenere che le stragi di Capaci e di via D'Amelio, da poco avvenute, avevano completamente disarmato gli uomini dello Stato; li avevano convinti dell'invincibilità di cosa nostra; li avevano indotti a rinunciare all'idea del muro contro muro e a fare sostanziali concessioni all'organizzazione criminale cui apparteneva"
Fonte: società civile
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