Operazione Paesan Blues

Paesan Blues è frutto della collaborazione tra lo SCO, Squadra Mobile di Palermo e l'FBI, ed era indirizzata a colpire l'associazione mafiosa, riciclaggio, estorsioni, tentato omicidio, traffico di droga messi in atto dagli indagati.

Tra i destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare spicca il nome del presunto capo della famiglia di Santa Maria di Gesù, Gioacchino Ino Corso, che avrebbe condiviso il comando col fratello Giampaolo.

Le famiglie americane colpite sarebbero quelle dei Gambino e dei Colombo.

Dai risultati dell'indagine sembra che gli scappati, perdenti nella guerra di mafia che ha portato al comando di cosa nostra i corleonesi, siano tornati ai posti di comando.

Una telefonata intercettata dagli investigatori tra Roberto Settineri, 41 anni, che è stato arrestato negli USA, e Giuseppe Moscarello, indicato come vicino alla famiglia di Pagliarelli e noto per essere il proprietario dei ristoranti palermitani Gattopardo e Strascino, offre uno spaccato dei nuovi assetti di cosa nostra. Settieri è considerato infatti uno delle nuove leve della cosa nostra palermitana e nella telefonata dice "se fossi qui vedresti un pezzo di storia" riferendosi al vertice mafioso a cui stava partecipando a Miami. Si era trasferito da alcuni anni in USA, tornando a Palermo un paio di volte all'anno, ufficialmente per curare una attività di distribuzione di vini italiani. Secondo l'FBI era in contatto con elementi dei Gambino: Gaetano e Thomas Napoli, Frankie the hat Di Stefano, e Joseph Joe Joe Corozzo, consigliere dei Gambino.

Insieme a Settineri, l'Fbi ha arrestato Antonio Tricami, considerato il suo braccio destro, Enrique Ross e Daniel Dromerhauser. Giuseppe Frusteri, 35 anni, è stato arrestato per detenzione di armi.

Gli arresti compiuti a Palermo: Leonardo Algeri, Giovanni Burgarello, Andrea chihuahua Casamento, Gaetano e Massimiliano Castelluccio, Gianpaolo e Gioacchino mastino Corso, Gaetano Di Giulio, Giuseppe Di Maio, Umberto Di Cara, Claudio Faldetta, Pietro Gandolfo, Francesco rottweiler Guercio, Giuseppe zio Lo Bocchiaro, Giovanni Lo Verde, Salvatore turco Luisi, Massimo Mancino, Massimiliano Modiglione, Pietro Pilo e Girolamo Rao.

Il nome di Gioacchino Corso, che era in passato stato accusato di aver favorito la latitanza di Pietro Aglieri, indicato come il figlioccio di Provenzano, fa pensare che il ritorno dei scappati in posizioni di comando nella cosa nostra palermitana sia in qualche modo orchestrato dal vecchio zu Binno.

Nella cerchia stretta dei referenti di Corso ci sarebbero stati Giuseppe Lo Bocchiaro, condannato per l'omicidio di Pietro Marchese, e Pietro Pilo, uomo di fiducia di Cosimo Vernengo, che sarebbe stato responsabile della cassa.

Tra gli arrestati in America, Gaetano Napoli e i figli Gaetano Jr. e Thomas, sarebbero considerati ai vertici dei Gambino.

Qui un video sui risultati dell'operazione, fornito da adnkronos, e qui uno da repubblica.

Altre fonti: ansa, ansa, repubblica

Gotha: economia mafiosa e giustizia penale

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra è noto col nome di Gotha, e si è concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sull'economia mafiosa e la giustizia penale.

L'oro del boss

Cosa nostra ha interessi anche nel mercato clandestino dei gioielli, sotto la regia del poliedrico Antonino Rotolo, che ha come referente nel campo Raffaele Sasso. Il Sasso, nipote del mafioso Settimo Mineo, non risulta affiliato a cosa nostra ma gode della approvazione del Rotolo, che confida a Bonura: "era un ragazzo al di fuori di tutto... questo ragazzo io me lo sono messo vicino" e gli ha intestato una gioielleria in corso Calatafimi a Palermo. Nel negozio lavora Antonietta Sansone, moglie del Rotolo. Sasso mette il nome e la sua esperienza nel ramo, ma i soldi vengono da e arrivano a Rotolo.

Questa diversificazione degli interessi mafiosi non è un caso isolato, è al contrario una precisa direttiva di Bernardo Provenzano che indica la strategia della sommersione agli affiliati. Nicola Mandalà ad esempio promuove la costruzione di uno shopping center da 200 milioni di euro a Villabate. Una società di Roma si doveva far carico della esecuzione del progetto, coinvolgendo marchi come Auchan e Warner, la famiglia di Villabate si occuperanno della effettiva gestine del centro commerciale.

Lo schermo dei prestanome

Antonino Rotolo, e tutta la sua famiglia, non dichiarano redditi. Ufficialmente tutto passa tramite una rete di prestanome. Il Rotolo passa a Rosario Inzerillo di milioni di euro conferiti a Francesco Pecora e sottolinea "attenzione, no soldi suoi, soldi miei". E, come dice a Carmelo Cancemi, sempre parlando del Pecora: "oltre a fargli prendere tutti i lavori
gli ho dato pure un miliardo in mano ... però un miliardo in mano quando un miliardo erano dieci miliardi di ora
".

Altri prestanome del Rotolo sono stati identificati in Giuseppe Perrone, nel ragioniere Salvatore Fiumefreddo, e Vincenzo Marchese, a cui Rotolo aveva tranquillamente affidato mezzo milione di euro da investire in borsa.

Rotolo spiega al Cancemi che anche i fratelli Angelo Rosario e Pietro Parisi sono semplici prestanome.

Carmelo e Giovanni Cancemi sono invece affiliati alla mafia, a cui il Rotolo si appoggia sia per questioni economiche sia per questioni interne alla gestione di cosa nostra, come la comunicazione con altri mafiosi latitanti, l'occultamento di armi, la logistica relativa a riunioni tra affiliati.

Francesco Bonura si sente di dover avvisare il Rotolo che corre il rischio di avvantaggiare in modo eccessivo i Cancemi: "dovunque c'è Cancemi, dovunque c'è Cancemi, dico, state attenti perché lo bruciate secondo me".

Fonte: SOS Impresa

Arresto di Sebastiano Lo Giudice

Dopo Salvatore Caruso e Orazio Privitera, tocca ora a Sebastiano Lo Giudice, 33 anni, ritenuto ai vertici dei Carateddi. Entrambi questi arresti sono una coda dell'operazione Revange, scattata nell'ottobre scorso.

Il Lo Giudice sarebbe stato arrestato nel corso di un vertice mafioso, e l'operazione ha portato all'arresto anche di cinque suoi fiancheggiatori.

I Carateddi sono legati ai Cappello, considerati correntemente vincenti a Catania, in contrapposizione ai Santapaola-Ercolano-Laudani.

Fonti: ansa, unità

Gotha: La tassazione mafiosa

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra è noto col nome di Gotha, e si è concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulla fiscalità mafiosa.

Il libro mastro

Nel gennaio 2005 una serie di arresti colpiscono complici di Bernardo Provenzano a Bagheria. Nell'abitazione del Giuseppe Di Fiore, un associato alla locale famiglia mafiosa, viene trovato, fra l'altro, una sorta di libro mastro che riporta le entrate e le uscite della famiglia.

Nella foto qua a fianco vediamo parte delle entrate contabilizzate, identificate dagli investigatori come cifre pagate da ditte e commercianti ai mafiosi. E' una traccia di una attività che, seguendo le stesse caratteristiche, si ritrova nei discorsi di Antonino Rotolo, Francesco Bonura e Vincenzo Marcianò, quando discutono sulla gestione del pizzo nelle zone di Porta Nuova, Borgo vecchio, Passo di Rigano, Acquasanta, Noce, Brancaccio, Pagliarelli.

Il pizzo viene considerato l'attività prevalente, mai abbandonata, da cosa nostra. A volte si è tralasciato, per un motivo o per l'altro, l'impegno in lucrosi mercati come quello della droga, ma mai hanno rinunciato a offrire "protezione" in cambio di una tassa mafiosa.

Inquieto vivere

L'estorsione mafiosa è un fenomeno così radicato che spesso non è nemmeno necessario minacciare la vittima. A volte gli imprenditori addirittura anticipano la richiesta, si presentano loro per pagare, non richiesti, il pizzo, quale semplice risultato della minaccia ambientale costituita dall’esistenza di Cosa Nostra sul territorio.

Una vicenda considerata emblematica è quella di Angelo Di Cristina, venditore al dettaglio di abbigliamento a Bagheria. Nel 2002 viene avvicinato da Carmelo Bartolone, un affiliato alla famiglia di Bagheria che è titolare di una florida azienda. Bartolone lamenta inesistenti problemi economici e chiede al Di Cristina un aiuto di 4000 euro. Il Di Cristina chiede tempo ma si dimostra ben disposto a pagare. Due mesi dopo si incontrano di nuovo, in maniera casuale. Il Bartolone gli ricorda l'impegno, e Di Cristina, nel giro di due giorni, gli consegna la somma.

Di Cristina spiega che non ha ricevuto minacce, sapeva bene che quei soldi non erano un prestito, ma non li avrebbe più rivisti, nonostante il Bartolone non avesse certo problemi economici. Aveva deciso di pagare per il quieto vivere.

L'estorsione è diventata quasi una rappresentazione. Si veda ad esempio la figura della scarica. Costui è generalmente una persona nota nel vicinato per essere vicino ai mafiosi a cui gli esercenti fanno riferimento quando ricevono una sollecitazione a rivolgersi alla persona giusta. Non c'è minaccia diretta, non c'è richiesta esplicita di pagamento, solo un invito a contattare la scarica. Questi si atteggia a intermediario, millantando di poter ottenere anche una riduzione sulle pretese mafiose, agendo addirittura come se fosse amico della vittima.

Competenze e deleghe

In cambio dei soldi che la mafia incassa deve, o almeno dovrebbe, garantire una protezione nei confronti degli imprenditori verso le pretese di altre cosche. E' nell'interesse di ogni singola cosca dimostrarsi affidabile, al fine di non fornire motivi per un possibile rifiuto al pagamento. Per questo motivo, quando possibile, la reazione a sgarri da parte elementi mafiosi è esemplare.

Antonino Giuffrè, fino all'aprile del 2002 a capo del mandamento di Caccamo, racconta il caso dei fratelli Enzo e Leonardo Lo Cascio, di Lercara Freddi. I due avevano cercato di farsi pagare il pizzo da una impresa locale, che già si era "messa a posto" con i corleonesi, arrivando a compiere un attentato incendiario. Totò Riina aveva convocato Giuffrè e gli aveva detto: "noi siamo sicuri che gli autori di questo danneggiamento sono i fratelli Lo Cascio ... se tu sei d'accordo devono morire ... ora renditi conto pure tu e, dopo di ciò, quando sei sicuro, agisci per la loro eliminazione".

Il cadavere di Enzo Lo Cascio fu ritrovato in una discarica palermitana pochi giorni più tardi. Più tardi toccò a Leonardo Lo Cascio, eliminato con dieci colpi di
pistola a Lercara Freddi.

Sono ammesse deroghe nella intermediazione del pagamento, a patto che siano compiute nell'interesse delle parti. Ad esempio Francesco Bonura, ai vertici della famiglia di Uditore, nel mandamento Passo di Rigano, tratta personalmente una richiesta di pizzo con gli imprenditori Gioacchino Guccione e Vito Buscemi che operano nella zona sotto il controllo della famiglia Arenella-Acquasanta. Ma il Bonura è parente di Buscemi e conoscente da lunga data del Guccione. Vincenzo Di Maio, reggente della famiglia di competenza, si fida di lui e accetta la mediazione.

Calogero Mannino, della famiglia di Passo di Rigano, tratta con l'imprenditore Giuseppe Sammaritano per una estorsione che sarebbe sotto la competenza di Carini. Questi avevano chiesto al Sammaritano una tangente di centomila euro per avallare il suo acquisto di un terreno nel loro territorio. Il Sammaritano non accetta, e allora si contatta il Mannino, che già conosceva il Sammaritano, per ottenere una mediazione. I due si accordano per una cifra più bassa. Il Sammaritano paga Mannino, che gira la somma ai fratelli Giovan Battista e Vincenzo Pipitone, ai vertici della famiglia di Carini.

Succede anche che la competenza territoriale sia difficile, o impossibile, da determinarsi. Nel caso del Gruppo Migliore, supermercati, punti vendita, agenzie di scommesse sparse su tutto il territorio siciliano, è stato lo stesso Giuseppe Migliore, a capo del gruppo, a incaricare un suo dipendente, Francesco Stassi che sapeva essere vicino ad ambienti mafiosi, di occuparsi della trattativa sul pizzo. Questi aveva concordato con Antonino Rotolo e Antonino Cinà pagamenti semestrali complessivi di 10.000 euro. Sarebbe stato poi il Rotolo a suddividere l'incasso tra le diverse famiglie di competenza, a seconda della rilevanza relativa.

Una piccola impresa inizia dei lavori di ristrutturazione nella zona di Borgo Nuovo, zona di competenza della famiglia di Uditore, di Boccadifalco-Passo di Rigano. Calogero Mannino e Francesco Bonura chiedono al titolare il pizzo, ma questi fa notare di essere già stato contattato da Giovanni Nicoletti, famiglia Cruillas, della Noce. Mannino se la prende con l'imprenditore, che non ha seguito la procedura corretta: "già che il suo dovere era di cercare a qualcuno prima di mettere mano e dire io devo andare a fare questo lavoro" e, in accordo con il Bonura, chiedono una mediazione ad Antonino Rotolo.

Nei casi più complicati non basta l'autorevolezza di un Rotolo, occorre riferirsi a Bernardo Provenzano, come accade nel caso di Salvatore Romeo, di cui si parla in un pizzino. Tale Mario, compaesano di Provenzano e nipote di un altro compaesano, chiede trentamila euro al titolare del mangimificio Romeo. Questi dice di non aver mai pagato nulla, e si appoggia a Pietro, amico di Provenzano e Rotolo e compaesano del secondo. Mario ne fa una questione di principio e dunque Pietro chiede consiglio a Rotolo, che non può far altro che riportare l'ingarbugliata situazione a Provenzano.

Messa a posto

Grande Migliore apre un ipermercato a Canicattì. Francesco Stassi parla con Antonino Rotolo per definire la tassa di protezione. Niente soldi, questa volta: "ci servono ventidue posti ... non dobbiamo domandare altro". E' un fatto comune, e da tempo. Già nella sentenza del maxi processo si cita come i fratelli Pippo e Antonino Calderone, sin dai primi anni cinquanta, imponevano alle imprese edilizie dei fratelli Costanzo di Catania una tangente mensile e l'assunzione di centinaia di dipendenti nei cantieri.

Altre volte la messa a posto diventa l'imposizione di subappalti, forniture, partecipazione a consorzi con altre imprese.

Nei primi mesi del 2004, l'amministratore della ditta COCI srl era sul cantiere di Bellacera quando viene contattato da Giuseppe Di Fiore che gli spiega che deve mettersi a posto. Cerca di tirare per le lunghe ma alla fine cede e paga dodicimila euro. Ma questo non accontenta il Di Fiore, che si presenta con Nicolò Testa che viene imposto come referente per la fornitura di sabbia e per il noleggio di due escavatori. Ma tra i terreni soggetti alle opere in corso di realizzazione, ce n'è anche uno di pertinenza della signora Lo Bue, legata al Giuseppe Di Fiore. Costei se ne lamenta col Di Fiore che interviene più volte in cantiere (da solo prima, poi con Carmelo Bartolone e quindi anche con Onofrio Morreale) per far deviare i lavori.

Protezione attiva

Tommaso Buscetta ebbe a dichiarare: "attorno alle famiglie e agli uomini d'onore vi è una massa incredibile di persone che, pur non essendo mafiose, collaborano coi mafiosi, talora inconsapevolmente. Tutto ciò dipende da quel clima perdurante di 'contiguità' rispetto alle organizzazioni mafiose, che rende le stesse tanto potenti ... Circa il tenore dei rapporti faccio presente che gli stessi non possono essere ricondotti alla situazione di assoggettamento. Si tratta di situazioni in cui coloro che cooperano si attendono anche vantaggi."

Uno conferma a questa situazione è giunta dalla sentenza della corte di cassazione che nel 2008 ha confermato condanna per concorso esterno in associazione mafiosa di Filippo Salamone, amministratore della Impresem, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini, della Calcestruzzi SpA.

Si conferma l'esistenza di accordi occulti per la spartizione degli appalti, coordinati anche da mafiosi.

Angelo Siino, detto il ministro dei lavori pubblici di Salvatore Riina e di Giovanni Brusca, spiega come maturano queste intese. Con Riina a capo di cosa nostra, l'organizzazione cambia struttura, da una confederazione di famiglie fondamentalmente autonome, si passa ad una concentrazione dei poteri decisionali nei vertici delle commissione.

Se prima cosa nostra si limitava a estorcere il pizzo a chi vinceva gli appalti, lasciano che gli imprenditori se la vedessero tra di loro per la gestione degli appalti - si fa notare che era comunque presente un cartello illegale che permetteva la generazione di profitti illeciti - ora cosa nostra vuole gestire gli accordi tra imprenditori, politici, liberi professionisti. E' Angelo Siino che fa da referente accreditato da Riina in questo mondo. E' lui che coordina il metodo di turnazione
pilotata delle aggiudicazioni del lavori, favorendo, nel caso, aziende vicine o controllate da cosa nostra. Filippo Salamone è la controparte nominata dal mondo imprenditoriale che si occupa della gestione degli appalti superiori ai cinque miliardi di lire, appoggiato da Giovanni Bini e spalleggiato da Antonino Buscemi, imprenditore mafioso della famiglia di Passo di Rigano.

Solitamente la gestione di questi affari avviene a livello burocratico ma, se è il caso, non si disdegnano modi più prettamente mafiosi, fino ad arrivare all'eliminazione fisica, come avviene nel caso dell'imprenditore Ranieri, che viene eliminato per non essersi piegato a rinunciare alla partecipazione ad una gara il cui risultato doveva essere quello già deciso.

Fonte: SOS Impresa

Gotha: Cinesi evasori

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulla fiscalità mafiosa.

Cinesi evasori

I piccoli commercianti cinesi della zona di corso Calatafimi subivano continui danneggiamenti senza capirne il motivo. Era un problema culturale, i danneggiamenti erano un messaggio della famiglia di Pagliarelli che avrebbe dovuto dire a loro che si sarebbero dovuti rivolgere a qualcuno per ottenere protezione, in cambio del pagamento del pizzo.

Giovanni Nicchi, in una intercettazione con Antonino Rotolo dell'ottobre 2005, mostra di pensare che si tratti di una prova di forza, e dice di voler alzare il livello dello scontro: "da giovedì prossimo in tutta Palermo, gli facciamo danno ai cinesi" dato che i precedenti tentativi di intimidazione "con i flex, si tagliano tutte cose ... gli abbiamo tagliato tutti i teloni" si sono risolti in nulla "arrivano questi con i camion, scaricano tutte cose, a ventiquattro ore hanno aperto un negozio completo!". Vuole passare alle maniere forti: "Ora fuoco".

Rotolo invita a mantenere un profilo basso, non é tempo di una azione eclatante, e allora Nicchi, come prima cosa, pensa ad un'altro classico segnale che cosa nostra manda ai commercianti "inadempienti", il blocco delle serrature con la colla, ma esteso a tutti i negozi della zona: "giovedì notte, in tutta Palermo, il corso Dei Mille, tutti! Mettiamo l'attack, in tutti, in tutti i negozi che ci sono! Giovedì notte!"

Viene da chiedersi quanto reddito possa portare a cosa nostra il teglieggiamento di piccoli commercianti cinesi, e come mai il loro mancato pagamento sia considerato un problema così grosso da essere discusso tra Nicchi e Rotolo. Ma é la strategia di cosa nostra, attuata dal 1993, abbandonando il modello utilizzato nel decennio precendente, dove a pagare le estorsioni erano solo pochi soggetti che pagavano cifre molto consistenti. Dopo le stragi del 1992 era diventato un modello rischioso, le vittime, se sottoposte a prelievi eccessivi, potevano ribellarsi, chiedere l'intevento delle forze dell'ordine e creare perciò un problema a cosa nostra, invece che un reddito.

Si preferisce quindi la "tassazione a tappeto" che chiede di pagare poco, ma di pagare tutti. In questo nuovo modello non ci si può permettere che qualcuno non paghi, dando un "cattivo esempio".

Si inizia chiedendo un contributo limitato, in modo da non spingere la vittima a denunciare il reato, spesso questi pensa che il basso costo valga la pena di evitare le ritorsioni dei mafiosi. Alcuni pensano anche pure di poter trarre un utile dalla contiguità mafiosa.

I soldi così raccolti servono per mantenere le famiglie dei mafiosi in carcere, come ricorda Francesco Bonura a Calogero Mannino: "vorrei racimolare altri cinquecento euro ... allora, cinquecento alla SEAT, cinquecento lì e sono mille euro al mese e già due persone possono campare".

Tutti devono pagare, perché questo modello funzioni. Francesco Bonura ne parla con Vincenzo Marcianò, a fine marzo 2005, citando uno scambio che aveva avuto con Agostino Badagliacca di Porta Nuova: "ho detto a quell'Agostino 'lasciali stare i pesci piccoli, cerchiamo di seguire se c'è ... un gamberone, un'aragosta ... dico, se c'è qualche sarda, qualche cosa ... lasciamola andare'", ma il Badagliacca gli aveva spiegato: "io butto le lenze e prendo tutti i pesci. Tutti i pesci io devo prendere".

Fonte: SOS Impresa

Gotha: Dinastie

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sui nuovi interessi di cosa nostra fuori dalla Sicilia.

Dinastie

Giovanni Nicchi non ha relazioni di parentela diretti con i boss di cosa nostra, e in questa rappresenta una eccezione in una associazione come la cosa nostra palermitana che anche oggi si basa su rapporti di parentela stretta tra gli elementi al vertice delle varie famiglie.

Alessandro Sandro Lo Piccolo, nato nel 1975, viene arrestato assieme al padre Salvatore in quanto considerato già elemento di spicco con con compiti di comando nel
mandamento di San Lorenzo. Giuseppe Salvatore Riina, figlio di Totò 'u curto, viene arrestato nel maggio del 2000 con l'accusa di partecipare attivamente alle vicende di cosa nostra a Corleone.

Leoluca Luchino Bagarella, considerato responsabile di numerosi omicidi, tra cui quello di Boris Giuliano, capo della squadra mobile palermitana, è cognato di Salvatore Riina e fratello di Calogero Bagarella, da sempre vicino al Riina, che morì nella strage di viale Lazio del 1969.

Giovanni Brusca, noto soprattutto per il suo coinvolgimento nell'attentato di Capaci, dove perdettero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta, era a capo del mandamento di San Giuseppe Iato, occupando il posto lasciatogli da padre Bernardo, vicinissimo a Riina. Il fratello di Giovanni, Enzo Salvatore Brusca, é noto per l'omicidio del dodicenne Giuseppe Di Matteo, da lui strangolato e sciolto nell'acido.

Nicola Mandalà, fedelissimo di Provenzano, era a capo della famiglia di Villabate in quanto figlio di Antonino Mandalà. Nicola Milano, della famiglia di Porta Nuova, è figlio di Nunzio Milano, molto vicino ad Antonino Rotolo. Stessa relazione tra Giovanni e Carmelo Cancemi della famiglia di Pagliarelli, tra Angelo e Pietro Badagliacca e c'é anche Gaetano Badagliacca, fratello di Pietro. Giovanni Marcianò succede al fratello Vincenzo nella reggenza del mandamento di Boccadifalco-Passo di Rigano; figli di un altro Marcianò affiliato a cosa nostra.

Angelo Rosario e Pietro Parisi, imprenditori edili mafiosi vicini al Rotolo, sono fratelli. Numerosi i Sansone e gli Inzerillo, tutti provenienti dai medesimi
ceppi familiari, che militano in cosa nostra. Sandro Mannino, é nipote del defunto Totuccio Inzerillo.

Il nucleo delle varie famiglie mafiose é costituito in genere da raggruppamenti che fanno riferimento a una o più famiglie biologiche. Questo rende la struttura militare e imprenditoriale delle cosche più forte, e riduce il rischio di collaborazioni con la giustizia.

É un cambiamento di strategia rispetto a quello adottato da Riina, Brusca e Bagarella che puntavano sugli avvicinati, persone di fiducia ma esterni alle relazioni strette, per allargare la base di cosa nostra. Usavano gli avvicinati rivelando loro il minimo indispensabile per il loro ruolo, pensando di creare un velo di segretezza che li avrebbe cautelati in caso di arresto di questi elementi. Ma questi non avevano motivo per mantenere il silenzio una volta arrestati, la maggior parte di loro ha infatti collaborato con la giustizia, fornendo molte utili indicazioni. Sono state proprio dichiarazioni di avvicinati a permettere l'arresto di Leoluca Bagarella, grazie alle informazioni fornite dal suo autista Antonio Calvaruso, e Giovanni Brusca, scoperto da rivelazioni provenienti dal faccendiere Tullio Cannella.

Si vede bene la strategia opposta nel caso delle famiglie mafiose Spatola-Inzerillo-
Gambino-Di Maggio che, nel giro di un paio di generazioni, si sono fuse in un unico gruppo in cui i matrimoni incrociati, anche tra cugini di primo grado, sono favoriti per creare una maggior coesività interna.

Si crea una sorta di economia chiusa mafiosa, in cui le imprese mafiose dei Lo Piccolo, Inzerillo, Sansone, Marcianò, Badagliacca, Parisi, Cancemi, cooperano all'interesse familiare. I membri familiari delle famiglie che sono in politica danno appalti alle aziende di riferimento. Le aziende prendono materiali da cave di proprietà di altri membri, i macchinari sono solitamente prestati tra di loro. Spesso si creano anche giri di denaro, prestati a tassi molto bassi o addirittura senza interesse.

A fianco di questa struttura chiusa, si crea anche una rete di rapporti esterni in relazione ai bisogni strumentali delle famiglie. Da notare che nelle famiglie mafiose si trovano elementi di ogni ceto e classe sociale, nell'ambito delle professioni sono ben rappresentati soprattutto medici e avvocati. Antonino Cinà, medico, é considerato il principale consigliori di Antonino Rotolo; Giuseppe Guttadauro, medico, era a capo della famiglia di Brancaccio e nel salotto di casa, dov'era agli arresti domiciliari, incontrava elementi della borghesia cittadina con cui discuteva di politiche a livello regionale e nazionale.

Fonte: SOS Impresa

Arresto di Carmine Cerrato

In una villa di Quarto, nel napoletano, la squadra mobile della questura di Napoli ha scoperto e arrestato Carmine Cerrato, 34 anni, considerato personaggio di spicco degli Amato-Pagano (noti anche come gli scissionisti di Scampia).

Nel corso della stessa operazione Cesare Pagano, 41 anni, segnalato tra i 30 latitanti di massima pericolosità, e che sarebbe attualmente a capo della suddetta organizzazione camorrista, é sfuggito alla cattura.

Il Cerrato, a sua volta nell'elenco dei 100 latitanti più pericolosi, era indicato come braccio destro di Cesare Pagano.

Il video di sky sull'operazione:


Altre fonti: Polizia di Stato, repubblica, corriere