Omicidio Monterosso - sviluppi

Giuseppe Monterosso, considerato vicino ai Madonia di Caltanissetta, e in particolare a Giuseppe Piddu Madonia é stato ucciso nel maggio scorso a Cavaria con Premezzo, nel varesotto. Le indagini si sono immediatamente indirizzate verso la pista della contrapposizione tra clan rivali, nata in Sicilia e riportata in Lombardia.

Se all'inizio di pensava che si trattasse della reazione ad una intimidazione, ora si é consolidata l'ipotesi dello scontro armato tra due famiglie contrapposte da tempo, cosa nostra contro stiddari, per la conquista della gestione dei trasporti nelle province di Como e Varese. Si é giunti a questo risultato dopo una inchiesta complicata anche delle cautele che gli indagati osservavano per sottrarsi alle possibilità di intercettazioni telefoniche e ambientali.

Ora sono state eseguite nove ordinanze di custodia cautelare in seguito alle indagini compiute sulla vicenda da parte della squadra mobile di Como, in collaborazione con quella di Agrigento e con la direzione distrettuale antimafia di Milano:
  • Andrea Vecchia, 42 anni, ritenuto il mandante dell'omicidio, fratello di Sergio, ucciso nel luglio 1990 nella guerra di mafia tra Cosa Nostra e Stidda;
  • Alessio Contrino, 47 anni, che sarebbe stato l'esecutore materiale;
  • Calogero Palumbo, 49 anni, scampato alla strage in cui era caduto Sergio Vecchia;
  • Giuseppe Volpe, 65 anni;
  • Fabrizio Messina, 35 anni, fratello di Gerlandino Messina;
  • Giuseppe Luparello, 26 anni;
  • Gaetano Tano Ribisi, 42 anni;
  • Paolo Albanese, 62 anni;
  • Raffaele Gigliotti, 44 anni.
Il Palumbo e il Luparello avrebbero partecipato alla riunione in cui si é organizzato l'omicidio; il Messina avrebbe dato il suo placet all'azione per conto della famiglia degli Albanese-Messina di Porto Empedocle.

In seguito si sarebbero dovuti eliminare anche il padre, il fratello e il nipote del Monterosso.

Fonti: corriere di como, provincia di como, tele video agrigento, ciaocomo

Gotha: Vent'anni dopo

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.

Analogie

Per varie ragioni, tra cui le condizioni di salute e il lungo tempo passato in una latitanza irraggiungibile anche ai suoi associati più vicini, Bernardo Provenzano non era più in grado di mediare tra le diverse componenti di cosa nostra.

Dopo quasi un quarto di secolo, la pace imposta con le armi dai corleonesi sta per finire. I motivi esteriori sono le frizioni causate dal tentativo di rientro in Italia degli scappati, o da nuovi interessi nella gestione del traffico di droga, ma le vere ragioni sono altre.

Ci sono profonde rivalità tra le diverse fazioni, che esistevano anche prima della seconda guerra di mafia degli anni ottanta, e che si erano solo sopite sotto il pugno di ferro corleonese. Ci sono questioni relativamente recenti, nate dalla gestione delle estorsioni, degli appalti e del traffico di droga. Ci sono diverse visioni sul come contrapporsi alle forze dell'ordine, che variano dall'ala stragista a quella aperta alle trattative, magari rinforzandola con finti collaboratori di giustizia che discreditino l'uso di questo mezzo.

La contrapposizione ha una sua esplicitazione nelle figure di Antonino Rotolo e di Salvatore Lo Piccolo e causa a sua volta altre fratture nell'organizzazione. Ad esempio, l'ingerenza del Rotolo negli assetti del mandamento di Boccadifalco crea uno scontro tra i fratelli Marcianò, Giovanni e Vincenzo, in quanto il secondo viene fatto subentrare al primo per assecondare la strategia del Rotolo. La nomina a reggente di Porta Nuova di Nicola Ingarao, un fedelissimo di Rotolo, nonostante la carica sarebbe toccata a Giovanni Lipari, causa i malumori che presumibilmente hanno portato alla eliminazione dello stesso Ingarao. Il mandamento di San Lorenzo é spaccato tra i sostenitori di Rotolo, che fanno riferimento ad Antonino Cinà e a Girolamo Biondino, e quelli di Lo Piccolo, preponderanti, e che comprendono anche la famiglia di Carini il cui reggente Vincenzo Pipitone aveva giurato di fronte a entrambi in contendenti.

Questa situazione molto fluida é simile a quella che si aveva prima della seconda guerra di mafia quando, ad esempio, i fratelli Stefano e Giovanni Bontade erano entrambi attivi nel traffico di droga, ognuno all'insaputa dell'altro. Questo portò a schierarsi con i vincenti, accettando l'esecuzione del fratello. O, come nel caso di Tommaso Buscetta, ci sono elementi che non rispettano quelle che sono le direttive dei capi famiglia. Il Buscetta, appartenendo a Porta Nuova, avrebbe dovuto seguire le direttive di Pippo Calò, alleato di Riina, ma si schiera con gli Inzerillo e i Bontade.

Oltre ai personaggi sopravvissuti alla guerra di mafia e scampati ai numerosi arresti, ora sono attivi nuovi elementi, come Nicola Mandalà, Gianni Nicchi, Sandro Mannino, Giuseppe Salvatore Riina, Alessandro Sandro Lo Piccolo. E alcuni figli dei perdenti, come Giovanni Inzerillo.

Tutti pronti a riprendere la lotta per la supremazia.

Fonte: SOS Impresa

Operazione Mala Tempora

I Mazzei decisero nel 2005 di allargare la loro rete di spaccio per far fronte ai loro problemi economici: "c'é maltempo", dicevano per descrivere la situazione. Mala Tempora é il nome che é stato dato all'operazione che li ha colpiti, 20 gli indagati accusati di associazione mafiosa e traffico di sostanze stupefacenti.

La droga veniva comprata in Campania e Olanda, per essere spacciata a Catania e nei paesi della provincia etnea.

Ettore Scorciapino, che ai tempi era responsabile dei Mazzei per Belpasso, Paternò ed Adrano, é diventato collaboratore di giustizia, e ha fornito elementi all'indagine.

Sono stati arrestati:
  • Giuseppe D'Amico, 36 anni;
  • Mario Maugeri, 46 anni;
  • Paolo Mazzeo, 37 anni;
  • Carmelo Occhione, 46 anni;
  • Angelo Passalacqua, 60 anni;
  • Francesco Raciti, 43 anni;
  • Giovanni Mormina, 36 anni;
  • Franco Virzì, 41 anni.
Provvedimenti restrittivi sono stati notificati in carcere a:
  • Antonino Corrado Malfitano, 52 anni;
  • Angelo Mormina, 58 anni;
  • Domenico Mimmo Mormina, 36 anni, figlio di Angelo;
  • Rosario Litteri, 58 anni;
  • Mario La Mari, 54 anni;
  • Martino Nicolosi, 45 anni;
  • Sebastiano D'Antona, 38 anni.
Per Massimo Mormina, 38 anni, sono stati disposti gli arresti domiciliari.

Questo il video diffuso dalla Polizia sull'operazione:


Fonti: Polizia di Stato, agi, tirreno sat

Arresto di Paolo Di Mauro

Paolo Di Mauro, 58 anni, inserito nell'elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità, e il coetaneo Luigi Mocerino, entrambi considerati elementi del clan Contini, sono stati arrestati a Barcellona.

Sul Di Mauro pendeva una condanna con sentenza definitiva a 17 anni e 10 mesi di reclusione per l'omicidio di Francesco Mazzarella. Noto come Paoluccio l´infermiere, avrebbe avuto il ruolo di reggente dei Contini, oltre ad essere il responsabile del gruppo di fuoco, e sarebbe stato uno dei più importanti narcotrafficanti internazionali, attivo tra la Colombia e la Spagna. Come altri esponenti degli scissionisti, aveva stabilito la sua base operativa nella penisola iberica.

Il Mocerino era ricercato per traffico internazionale di droga.

Fonti: corriere, stampa

Gotha: Rotolo pronto alla guerra

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.

Traditori e infiltrati: il manuale Riina

Antonino Rotolo ha brigato per mettere a capo dei mandamenti di Porta Nuova e Boccadifalco persone a lui vicine cercando di non far trapelare informazioni all'esterno di una cerchia strettissima di uomini fidati. L'esigenza di segretezza l'ha portato perfino a non mettere a parte delle sue mosse Bernardo Provenzano, temendo che quest'ultimo informasse il Lo Piccolo che i reggenti erano in realtà uomini del suo avversario.

Lo scopo era quello di utilizzare l'effetto sorpresa ai danni del Lo Piccolo quando sarebbe scoppiato il conflitto tra le due fazioni. Si tratta di una tecnica che il Rotolo ha visto applicare da Totò Riina nel corso della guerra di mafia tra i corleonesi e i palermitani Inzerillo e Bontade con effetti devastanti.

Aveva fatto ricorso a Giovanbattista Pullarà e Giovanni 'u pacchiuni a Santa Maria del Gesù per eliminare il Bontade e Salvatore Buscemi e Salvatore Montalto a Passo di Rigano per uccidere l'Inzerillo.

Inoltre Antonino Giuffrè, Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi avevano agito da infiltrati nel campo avverso, permettendo a Totò Riina e Pippo Calò di sfuggire a un appuntamento che sarebbe dovuto essere una trappola mortale per i due.

Un punto dolente per Rotolo nello scontro con Lo Piccolo é la sua mancanza di mobilità. É infatti ristretto agli arresti domiciliari, mentre il suo avversario, latitante, può muoversi a piacimento. Per questo motivo appronta difese passive (un muro, un faro) che dovrebbero metterlo al sicuro da attacchi armati.

Inoltre non si fida di Provenzano che, invecchiando, si é spostato su posizioni moderate, avvicinandolo a Giulio Gambino e al Lo Piccolo. Sembra non fare caso al fatto che quest'ultimo era vicino a Saro Riccobono, il cui gruppo era stato distrutto quasi completamente il 30 novembre 1982. Nell'occasione quindici persone vennero uccise simultaneamente con diverse modalità di esecuzione. E Michele Micalizzi, braccio destro di Riccobono scampato alla strage, sta per uscire di prigione. Altri che hanno motivo di ricordare quei tempi, come Salvatore Di Maio, che ha perso un figlio per mano dei corleonesi, potrebbero rappresentare un'altro pericolo.

Rotolo e Cinà giungono alla conclusione, l'11 agosto 2005, che Salvatore Lo Piccolo e suo figlio Alessandro (detto Sandro) vanno eliminati. Pensano che sia l'unico modo di evitare la vendetta dei rivali. Decidono di agire come si é fatto per la precedente guerra di mafia, negli anni 1981-3, colpendo gli avversari di sorpresa, senza lasciar loro il tempo di capire quello che succede.

Vogliono convincere Binnu Provenzano ad attirare i Lo Piccolo in un incontro-trappola. Gli uomini del boss di Pagliarelli si occuperebbero di uccidere i Lo Piccolo, ma Provenzano doveva dare la sua disponibilità. Ma Provenzano non é più quello di una volta. Nel periodo caldo tra il 1993 e il 1996 si é distanziato dalla politica stragista dei corleonesi, contrapponendosi a Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca che miravano a compattare cosa nostra e dichiarare guerra allo Stato, scegliendo invece una via che contemplava trattative, spesso poco trasparenti, anche con elementi delle istituzioni.

Rotolo pensa di manipolare fatti in suo possesso per cercare di convincere Provenzano, partendo da un fatto avvenuto dieci anni prima. I fratelli Vitale di Partinico, Giovanni Brusca, Matteo Messina Denaro e Mimmo Raccuglia, con l'appoggio dei detenuti Riina e Bagarella, avrebbero progettato l'assassinio di Provenzano, proprio per il suo smarcamento dall'ala stragista. Una serie di arresti avrebbe poi impedito la realizzazione del piano. Rotolo e Cinà vogliono dire a Provenzano che anche Salvatore "il lungo" Biondo e Salvatore Lo Piccolo avrebbero partecipato alla congiura.

Dunque, in un modo o nell'altro, la guerra sta per cominciare. Vengono avvertiti Angelo Parisi e Michele Oliveri. Franco Bonura e Gaetano Sansone, probabili obiettivi degli Inzerillo in caso di ritorsione, sono pure allertati.

Si decide di iniziare da Salvatore coruzzu Di Maio.

Fonte: SOS Impresa

Gotha: La nuova struttura di cosa nostra

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.

Coalizioni, geopolitica e stato di eccezione

La commissione provinciale non si riunirebbe più in assemblea plenaria dall'inizio degli anni novanta. Forse non vale nemmeno più il motivo fondamentale per cui la commissione era nata, la necessità di adattare cosa nostra alle esigenze del mercato per renderla efficiente nel commercio della droga.

Leonardo Messina ha spiegato come Salvatore Riina ha sovvertito il criterio democratico di nomina dei capi al fine di piazzare i suoi uomini, arrivando a sovvertire la divisione tradizionale del territorio tra le famiglie mafiose palermitane per creare un nuovo grande mandamento da affidare a Raffaele Ganci, rappresentante della famiglia della Noce.

Lo Piccolo e Rotolo si affrontavano anche su questo terreno: secondo Rotolo, ad esempio, la famiglia di Altarello di Baida non appartiene al mandamento della Noce, ma a quello di Boccadifalco; Lo Piccolo indica i mandamenti con nomi simili a quelli che erano adottati prima della guerra di mafia mentre Rotolo mantiene l'impostazione data da Riina.

Porta Nuova é un mandamento strategico, come rivela il fatto che Riina lo avesse affidato a Giuseppe Pippo Calò, forzando nel far ciò le consuetudini. In questa zona si trova il porto cittadino e si svolgono i mercati di Ballarò, Capo e Vucciria. Rotolo voleva impossessarsene da tempo, e quando nel 2005 gli giunge la notizia che Agostino Badalamenti, anziano boss del mandamento, é in precarie condizioni di salute, decide di intervenire, appoggiandosi a Giovanni Gianni Nicchi. Vuole che la reggenza temporanea sia affidata a Nicola Ingarao, che reputa manovrabile ma, secondo le consuetudini, la carica toccherebbe a Giovanni Lipari, noto come 'u viecchiu, 'u tignusu o anche 'u varvieri.

Rotolo pilota la riunione per la nomina, facendo in modo che quasi tutti i partecipanti (Nunzio Milano, Nicolò Milano, Salvatore Gioeli, Salvatore Pispicia di Porta Nuova, e anziani uomini d'onore come Michele Oliveri, Settimo Mineo, Gaetano Badagliacca e Giuseppe Cappello) siano schierati a favore dell'Ingrao, che viene infatti nominato.

Pare che comunque l'assenza di confronto interno tra le famiglie di Palermo Centro, Porta Nuova e Borgo Vecchio non sia piaciuta. E la conseguenza sarebbe stata l'eliminazione dell'Ingrao nel luglio 2007.

Il mandamento di Boccadifalco-Passo di Rigano é assegnato a Salvatore Buscemi, subentrato col gradimento di Riina al defunto Salvatore Inzerillo. Ma é stato arrestato e la reggenza é stata affidata a Vincenzo Marcianò, sgradito al Rotolo in quanto in contatto con Lo Piccolo e a favore del rientro degli scappati.

Il Rotolo cerca di convincere Franco Bonura, Giuseppe e Gaetano Sansone,
Giovanni Sirchia, di come il Marcianò non sia adatto al ruolo di reggente. Chiede poi di subentrare al Marcianò al Bonura, che si dichiara indisponibile, pensa al Sansone, ma poi decide per Giovanni Marcianò, fratello di Vincenzo. Ottenendo in questo modo di controllare il mandamento senza umiliare i Marcianò.

In una riunione nel settembre 2005, Vincenzo Marcianò deve accettare la sua destituzione a favore del fratello.

Anche alla famiglia di Partanna Mondello viene nominato come capo Salvatore Davì in modo illegittimo.

Fonte: SOS Impresa

Arresto di Orazio Privitera

Dopo Salvatore Turi Malavita Caruso, tocca ora a Orazio Privitera, 47 anni, a completare il lotto degli arrestati in seguito all'operazione Revange, scattata nell'ottobre scorso.

Il Privitera sarebbe ai vertici dei Carateddi, vicini ai Cappello. Sarebbero queste le famiglie correntemente vincenti a Catania, contrapposte ai Santapaola-Ercolano-Laudani, considerati in fase calante.

Fonti: ansa, adnkronos

Gotha: come funziona cosa nostra

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.

Costituzione formale e costituzione materiale

La commissione provinciale di cosa nostra é l'organismo che regola i rapporti interne ed esterni all'organizzazione mafiosa. É stata istituita per tenere sotto controllo la conflittualità endemica dei suoi membri e per evitare una gestione monocratica e oligarchica. La commissione ha anche il potere di sospendere un capo famiglia o mandamento per sostituirlo con un reggente.

Già nel 1917 Santi Romano, ne "L'ordinamento giuridico" aveva riconosciuto una struttura del genere: "vivono spesso, nell'ombra, associazioni la cui organizzazione si direbbe quasi analoga a quella dello Stato: hanno autorità legislative ed esecutive, tribunali che dirimono controversie e puniscono, agenti che eseguono inesorabilmente le punizioni, statuti elaborati e precisi, come leggi statuali. Esse dunque realizzano un proprio ordine, come lo Stato e le istituzioni statualmente lecite".

Cosa nostra è ancora oggi un organismo sociale complesso, che ha assunto spesso la forma di una organizzazione piramidale e verticistica, diversamente dalla camorra napoletana e dalla 'ndrangheta calabrese basate su una struttura
orizzontale.

Giovanni Falcone spiegava: "più una organizzazione è centralizzata e clandestina più è temibile, perché dispone dei mezzi per controllare efficacemente il mercato e mantenere l'ordine sul suo territorio, con un intervallo di tempo brevissimo tra processo decisionale ed entrata in azione".

Gli stessi appartenenti a cosa nostra la considerano di volta in volta come una sorta di "anti-Stato" che si contrappone allo Stato legale, o come una specie di "intra-Stato" o "Stato nello Stato", in funzione delle circostanze, della volontà di esercitare il controllo sul territorio e anche dalla capacità di penetrare nelle istituzioni e nel mondo economico-sociale, di allearsi con esponenti politici e di intercettare flussi di denaro pubblico; in caso contrario si può cercare anche la contrapposizione esplicita, tentando di sovvertire l'ordine costituito.

La struttura organizzativa e giuridica di cosa nostra nei nostri giorni, come risulta dalle carte sequestrate a Salvatore Lo Piccolo, dai pizzini di Bernardo Provenzano, dalle intercettazioni ambientali che implicano Antonino Rotolo, é praticamente identica a quella identificata nella sentenza del primo maxi processo alla mafia, grazie alla collaborazione di Tommaso Buscetta.

I giudici della corte di assise di Palermo ne hanno dato una quadro ancor più preciso nel 2004: "cosa nostra, pur essendo articolata in aggregati minori (famiglie, decine) legati ad un particolare e delimitato territorio, è in realtà un’organizzazione unitaria diffusa in tutta la Sicilia (ma anche fuori da essa) con organismi direttivi centrali e locali, costituiti secondo regole precise che ne governano minutamente la vita e sanzionate da pene di diversa gravità, (dalla sospensione alla morte), irrogate da organi a ciò deputati".

La commissione è al vertice dell'associazione, composta dai capi-mandamento che a loro volta sono coordinatori di due o tre capifamiglia.
Secondo Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi e Antonino Giuffrè, tutti già esponenti di vertice di cosa nostra, la Commissione ha una "supervisione" su ogni iniziativa in seno a cosa nostra con lo scopo di "guidarla al meglio". Determina anche l'orientamento politico dei mafiosi in occasione delle elezioni.

Antonino Giuffrè racconta di una riunione della Commissione a cui partecipò in quanto capomandamento di Caccamo, poco prima delle elezioni politiche del 1987. In quell'occasione Salvatore Totò Riina disse di votare per i candidati del PSI, non appoggiando più alcun candidato democristiano.

La Commissione fa anche da tribunale di cosa nostra, fungendo da organo di garanzia per i singoli associati. Francesco Paolo Anzelmo ha spiegato che questa funzione si é resa necessaria perché in precedenza "il capo mandamento, se uno ci faceva antipatia, a questo punto se lo poteva liquidare senza dare conto e ragione a nessuno".

Salvatore Cucuzza spiega: "la Commissione ha deciso che tutti i casi di uomini d'onore dovevano passare per le loro mani, così da evitare che qualcuno si facesse giustizia da sé, magari non in regola con Cosa Nostra".

É ancora la commissione che decide i cosiddetti omicidi eccellenti ai danni di personalità di rilievo nel mondo delle istituzioni o dell'economia e della finanza.

È stata la commissione provinciale a decidere l'omicidio del giudice Cesare Terranova, e poi di Gaetano Costa nel 1980. Tra i politici sempre nel 1980 Piersanti Mattarella, presidente della Regione, e poi Pio La Torre nel 1982. E il vicequestrore Boris Giuliano, gli ufficiali dei carabinieri Russo e Basile, e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo.

Francesco Onorato, nel confessare di aver fatto parte del gruppo di fuoco che ha ucciso nel marzo del 1992 Salvo Lima, ha spiegato un altro motivo della regola di competenza della commissione per gli omicidi eccellenti. Dato che le reazioni ai fatti potevano di ricadere su tutti i membri dell'organizzazione, occorreva un accordo preventivo, in modo da evitare il rinfacciarsi di responsabilità.

La conclusione della guerra di madia nel 1992 stravolge queste regole. Salvatore Riina assume un ruolo dominante, con il supporto di Bernardo Provenzano. Le decisioni più importanti vengono prese da Riina in concerto con il ristretto gruppo di boss a lui più vicini, dopodichè le si sottopongono all'approvazione formale della commissione.

Il Giuffrè, sempre in base alla sua esperienza di capo del mandamento di Caccamo, afferma che "le decisioni più importanti non venivano nemmeno discusse in seno a tutta l'assemblea della commissione provinciale ma appositamente in quel gruppo ristretto di cui io in precedenza mi sono permesso di ricordare".

Un motivo di questa prassi é anche il rischio di fughe di notizie, Giuffrè cita Riina: "è mai possibile che tutte le volte che noi quando qua discutiamo di qualche cosa, l'indomani gli sbirri sono a conoscenza di tutto?"

In realtà già dalla seconda metà degli anni ottanta "spesso e volentieri non si parlava di fatti di una certa gravità nel contesto pubblico di questa commissione".

Le regole valgono solo per chi non può fare a meno di rispettarle. Il Rotolo, ad esempio, invoca il rispetto delle leggi quando gli torna opportuno, ma programma una serie di omicidi non autorizzati e condiziona la successione al comando di mandamenti a cui non appartiene.

Nell'ultimo periodo s'é creato un diverso approccio. Ci sono due coalizioni trasversali a famiglie e mandamenti. Si tratta di Rotolo contro Lo Piccolo. Come ai tempi della seconda guerra di mafia, dove a confrontarsi erano gli Inzerillo e Bontade da una parte e Riina dall'altra. E come dopo la cattura di Riina, nel 1993, quando il confronto era tra Bernardo Provenzano, con Pietro Aglieri, Carlo Greco, Antonino Giuffrè, Benedetto Spera da una parte, e Leoluca Bagarella, con Giovanni Brusca, dai Vitale di Partinico e dai Graviano di Brancaccio dall'altra.

Fonte: SOS Impresa

Arresto di Guglielmo Ficarra

Il cinquantenne Guglielmo Ficarra é stato arrestato in quanto ritenuto il nuovo reggente della famiglia della Noce, dopo l'arresto del precedente reggente Giancarlo Seidita, all'inizio del 2008.

Tra gli elementi che avrebbero contribuito alle indagini che hanno portato al suo fermo ci sarebbero anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Andrea Bonaccorso, Nino Nuccio e Angelo Chianello.

Fonti: giornale di sicilia, apcom, agi

Operazione Vento del Nord - sviluppi

In seguito agli sviluppi dell'operazione Vento del Nord, che nel luglio scorso ha portato all'arresto di sette esponenti dei Bellocco, sono stati ora arrestati altri diciassette elementi della stessa 'ndrina.

Nel luglio scorso, come si legge su repubblica, la squadra mobile é intervenuta per evitare una possibile strage comandata dai Bellocco che sarebbe dovuta servire per rimarcare la posizione di controllo di questa famiglia nel bolognese. L'ordire sarebbe partito da Carmelo Bellocco, che sarebbe stato reggente della 'ndrina, e che risiedeva a Bologna fino a quando era stato arrestato assieme al figlio Umberto, nel giugno precedente, per il possesso di una pistola. Nel raccogliere elementi utili all'indagine si era scoperto che Carmine Bellocco aveva convocato una riunione di famiglia per preparare una risposta sanguinosa nei confronti di Francesco Amato, che lo avrebbe minacciato accusandolo di essere il mandante degli omicidi di Cosimo e Mario Amato: "Tu mi devi due vite e io sono venuto a riprendermele", gli avrebbe detto.

In questa prima fase dell'operazione ad essere arrestati, oltre a Carmelo Bellocco e al figlio Umberto, sono stati anche la moglie, Maria Teresa D'Agostino; l'altro figlio Domenico; il nipote Domenico; il fratello Rocco, e Rocco Gaetano Gallo, padre della convivente di un figlio di Carmelo.

Gli sviluppi dell'indagine hanno portato poi ha ipotizzare nuove responsabilità, da cui sono scaturiti i nuovi mandati di arresto; inoltre sono stati sequestrati beni per svariati milioni, tra cui supermercati e altri negozi intestati a prestanome dei Bellocco. Si sono infatti chiariti gli interessi dei Bellocco a Bologna e dintorni, dove la 'ndrina pensava di rilocarsi dalla originaria Rosarno. Dieci degli arresti sono stati compiuti nel calabrese, quattro ordinanze sono state notificate a soggetti già detenuti (Carmelo Bellocco, la moglie Maria Teresa D'Agostino, il figlio Domenico e il nipote Antonio), due sono irreperibili, uno latitante.

Tra i prestanome si cita Filippo Scordino di Rosarno che sarebbe risultato proprietario di numerose attività nella sua zona, tra cui due supermecati, una autofficina, una ditta di disinfestazione, per conto dei Bellocco.

Inoltre, secondo il resoconto di Carlo Macrì sul corriere, i Bellocco avrebbero tentato di attuare una strategia per minimizzare gli effetti delle indagini, cercando di evitare i giudici considerati sgraditi a favore di altri considerati più compiacenti. Rocco Bellocco avrebbe indicato in quale ufficio presentare il ricorso dopo il suo arresto, e in un colloquio tra Rocco Gaetano e il figlio Peppe quest'ultimo avrebbe detto: "L'avvocato deve parlare con un suo amico per spiegargli la situazione. L'amico in questione è un giudice".

Fonti: ansa, agi, repubblica, corriere

Condanna di Vincenzo Inzerillo

L'ex senatore democristiano Vincenzo Inzerillo é stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa a 5 anni e 4 mesi nel secondo processo d'appello.

L'avviso di garanzia peri i fatti contestatigli risale al 1993, ed era stato arrestato due anni dopo. Il processo di primo grado si concluse nel 2000 con una condanna ma nel 2004 veniva assolto dalla sentenza della corte d'appello. Nel 2006, però, la sentenza era stata annullata con rinvio dalla corte di Cassazione, da cui il nuovo procedimento che si é concluso con la corrente condanna.

L'accusa é stata supportata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Gioachino Pennino, Giovanni Drago e Salvatore Cancemi, secondo cui sarebbe stato legato alla famiglia di Brancaccio, comandata dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Gaspare Spatuzza ha recentemente confermato queste dichiarazioni.

Fonti: ansa, agi

Gotha: Rotolo e Mannino

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.

Minacce dal vivo

Antonino Rotolo discute con i suoi uomini più fidati, Cinà, Bonura, Michele Oliveri, Gianni Nicchi e Gaetano Sansone, come comportarsi nei confronti degli Inzerillo tornati in Italia. Pensa di mandare loro un messaggio intimidatorio, e decide di farlo per mezzo di Sandro Mannino, del mandamento di Boccadifalco, nipote del defunto Salvatore Totuccio Inzerillo.

Il Mannino convocato per una riunione, teme per la sua vita. Troppo spesso queste riunioni sono state fatali per i suoi parenti. Chiede perciò al suo amico Nicola Mandalà, boss di Villabate e vicino a Rotolo, di accompagnarlo e farsi garante per lui. Anche Giovanni Nicchi partecipa all'incontro.

Il Rotolo ci tiene a specificare subito che questo incontro é da considerarsi un piacere fatto al Mannino, grazie alla intercessione del Mandalà: "senti qua tu sei qua, perché è Nicola che ti ha portato altrimenti tu qua non ci saresti. Nicola è un amico mio e ci tiene tantissimo a te, al punto che mi ha convinto di farti venire oggi e tu sei qua per questo. Cioè, tu non sei qua perché sei tu, sei qua perché sei lui".

Poi gli spiega, dal suo punto di vista, quale sia la condizione, riuscendo a fare in modo che i corleonesi siano quasi da considerarsi le vittime: "e allora, senti, siccome io parlo chiaro e mi scoccia fare preliminari, senti qua a noi due ci divide un vadduni [dirupo] e ci passa un fiume, quindi non è che ci possiamo unire, perché ci divide 'u vadduni! Questo vadduni lo ha costruito tuo zio, no noi. Tu non hai nessuna responsabilità ... Tu sei nipote di Totuccio Inzerillo, il quale ... Totuccio Inzerillo ed altri, senza ragione, senza ragione alcuna, sono venuti a cercarci per ammazzarci, ma nessuno gli aveva fatto niente. Ci hanno cercato e ci hanno trovato. Non siamo stati noi a cercarli. E si è creata questa situazione di lutti e di carceri e la responsabilità è di tuo zio e compagni, se ci sono morti e se ci sono carcerati! Quindi io ti dico che non c’è differenza tra voi che avete i morti e fra le famiglie che hanno la gente in galera per sempre, perché sono morti vivi o sono pure morti. Quindi se vogliamo ... c’è anche un’altra differenza. Che a voi vi sono rimasti i beni e a noi li hanno levati a tutti. [...] E quindi.. io non ho niente di personale, i tuoi parenti litigavano con tutto il mondo. Quindi, io di personale non ho niente, di personale ho una cosa: che avevano messo pure me nella lista. [...] tutti quelli che mi avevano messo nella lista e facevano parte della lista, per me devono fare solo una fine."

Raccontata questa versione della storia, passa a notare come gli accordi presi non siano stati mantenuti: "si è preso un accordo, che i tuoi parenti si dovevano rimanere lì e dovevano rispondere... perché erano [...] tutti scappati, tutti fuori in America, però dovevano rimanere reperibili e dovevano rispondere a una persona, che era Saruzzo Naimo. Ti risultano queste parole?"

Data i presupposti é lineare che Rotolo e i suoi uomini avrebbero diritto di sparare agli Inzerillo tornati in Italia in contrasto agli accordi: "quando Saruzzo doveva venire qua, voi lo avete fatto sapere prima perché vi preoccupavate [...] E allora voi lo avete fatto sapere prima, perché non era che voleva venire lui, ma erano gli sbirri che lo dovevano portare per farsi la sorveglianza e vi è stata data risposta: va bene, può venire per la sorveglianza, ma appena finisce la sorveglianza se ne deve andare. Voi questo non lo avete fatto. Gli ho detto, siete stati fortunati, perché ... se io domani fossi fuori ed incontrassi tuo cugino e gli tiro due revolverate, chi vieni tu a domandarmi ... o qualche parente tuo? Perché lui voleva venire a sparare a me! E così lo possono fare altri cento, altre mille persone che erano nelle stesse condizioni mie. Quindi garanzie al tuo parente non gliene può dare nessuno, il tuo parente se ne deve solo andare e ci deve fare sapere dove và, perché lo dobbiamo tenere sotto controllo".

Infine lo congeda con una minaccia finale: "[...] tu non ti chiami Inzerillo ma sei Inzerillo. Perché purtroppo queste cose, che non hai creato tu, perché tu magari eri ragazzo, però i tuoi parenti li hanno creati e li hanno lasciati in eredità a voi! Quindi, la situazione è questa. se tu sei sincero come me io ti sarò grato e lieto della tua sincerità. Ma stai attento perché se io mi accorgo che tu non sei sincero mi potrebbe dispiacere molto e seccarmi, specialmente perché ti ho fatto venire a casa mia"

Fonte: SOS Impresa

Operazione Quo Vadis

L'operazione Quo Vadis ha colpito principalmente una organizzazione criminale collegata con la famiglia Aparo, attiva nel siracusano.

Il clan sarebbe stato attivo nel ramo delle estorsioni e del traffico di droga, che si procurava a Napoli, Catania, Bari e Roma.

Al vertice ci sarebbe stato Maurizio Vasile; Antonino Correnti sarebbe stato il suo luogotenente e avrebbe gestito anche la cassa.

E' stato evidenziato il ruolo di Salvatore Giangravè, ai vertici degli Aparo, che, pur essendo in prigione a regine AS3, uno dei tre livelli di alta sicurezza, riusciva a mantenere la sua capacità di comando nella famiglia.

Sono stati arrestati:
  • Fabio Argentino, 38 anni: accusato di detenzione e spaccio di droga;
  • Giuseppe Brancato, 41 anni: detenzione e spaccio di droga;
  • Antonino Correnti, 29 anni: associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga;
  • Angelo Costa, 37 anni: associazione a delinquere aggravata dal vincolo mafioso e finalizzata allo spaccio di droga;
  • Gaetano Donato, 61 anni: estorsione aggravata dal vincolo mafioso;
  • Giovanni Morreale, 32 anni: detenzione ai fini spaccio di droga;
  • Grazia Pellegrino, 65 anni: detenzione ai fini spaccio di stupefacenti;
  • Anna Raco, 36 anni: estorsione aggravata dal vincolo mafioso;
  • Giuseppe Sgroi, 40 anni: spaccio di droga;
  • Salvo Vasile, 44 anni: associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga.
Già in carcere per altra causa, sono stati raggiunti da nuovi provvedimenti restrittivi:
  • Salvatore Giangravé, 47 anni: estorsione aggravata dal vincolo mafioso;
  • Massimo Castrogiovanni, 46 anni: associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga;
  • Giuseppe Di Blasi, 35 anni: detenzione ai fini spaccio di droga;
  • Salvatore Galota, 54 anni: associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga;
  • Maurizio Vasile, 42 anni: estorsione aggravata dal vincolo mafioso, associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga e detenzione ai fini di spaccio di droga.
Agli arresti domiciliari, con l'accusa di detenzione ai fini spaccio di stupefacenti:
  • Fabrizio Garro, 35 anni;
  • Paolo Greco, 52 anni;
  • Claudio Passarello, 33 anni.
Fonti: resto del carlino, sicilia informazioni, la sicilia web

La bomba al tribunale di Reggio Calabria

Dall'articolo di Roberto Saviano su Repubblica:

La bomba non è stata messa davanti a una caserma, né alla sede della Direzione Antimafia, ma alla Procura generale. Il messaggio, dunque, è rivolto alla Procura Generale. E forse - ma qui si è ancora nel territorio delle ipotesi - a Salvatore Di Landro, da poco più di un mese divenuto Procuratore Generale.

...

Se volessero, le cosche potrebbero far saltare in aria tutta Reggio Calabria. La 'ndrangheta possiede esplosivo c3 e c4. Decine di bazooka.

...

A Reggio Calabria l'arresto di Pasquale Condello [...] ha rotto gli equilibri di pace. Pasquale Condello detto "il supremo" era riuscito a mettere pace tra le 'ndrine di Reggio dopo una faida tra 1985 e il 1991 tra i De Stefano-Tegano e Condello-Imerti che aveva portato ad una mattanza di più di mille persone.

...

All'inizio di ottobre, la famiglia Condello è persino riuscita ad ottenere la lettura delle parole di felicitazione di Benedetto XVI trasmesse nella cattedrale di Reggio Calabria da don Roberto Lodetti, parroco di Archi, agli sposi Caterina Condello e Daniele Ionetti: la prima, figlia di Pasquale; il secondo, il figlio di Alfredo Ionetti, ritenuto il tesoriere della cosca. "Increscioso e deplorevole" ha definito l'episodio il settimanale diocesano l'Avvenire di Calabria.

...

Anche perché non è purtroppo con l'episodio di Reggio che si chiude una vicenda. Questo è soltanto l'inizio.

Gotha: Rotolo e Lo Piccolo

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.

La lotta per la successione

Dietro alla questione del rientro degli Inzerillo c'é il tema della lotta di successione nella cosa nostra palermitana. Bernardo Provenzano é sul punto di cedere il comando ma Antonino Rotolo non vuole accettare la proposta di zu Binnu di un triumvirato temporaneo che unisca al vertice Provenzano, Rotolo e Salvatore Lo Piccolo.

Il Lo Piccolo ha, dal punto di vista di Rotolo, accumulato già abbastanza potere. Ne ha fatta di carriera da quando era noto come l'autista di Saro Riccobono. La sua influenza su Palermo é cresciuta anche grazie al patto con i Savoca e Andrea Adamo. La sua posizione favorevole alla riappacificazione con gli Inzerillo e i Bontade é vista positivamente dal Provenzano. Membri delle famiglie di Villagrazia e Boccadifalco gli sono favorevoli. É rimasto in contatto con quelli di Partinico e con Matteo Messina Denaro. Il rientro degli Inzerillo lo favorirebbe militarmente, fornendogli elementi pronti a eliminare fisicamente i suoi avversari, e anche economicamente, dato che gli Inzerillo hanno stretto importanti legami in USA con gli Spatola e i Gambino lì insediati, che potrebbero risultargli molto utili nel traffico di stupefacenti.

I più interessati alla sorte degli Inzerillo sono gli affiliati al mandamento di Boccadifalco-Passo di Rigano, a cui appartenevano questi scappati prima che venissero esiliati. É il rientro di Sarino Inzerillo che fa scattare le conversazioni che vengono intercettate a Franco Bonura, Calogero Mannino e Vincenzo Marcianò. Scopriamo così che Salvatore Lo Piccolo avrebbe garantire agli Inzerillo che, espulsi dagli americani, sarebbero ora potuti rimanere in Italia. Ciccio Pastoia e Nicola Mandalà, del mandamento di Belmonte Mezzagno e considerati vicini a Provenzano, avrebbero avallato la decisione. Il Lo Piccolo avrebbe richiesto a Vincenzo Marcianò, reggente del mandamento di Boccadifalco-Passo di Rigano, un appoggio e di intercedere presso Franco Bonura e Bernardo Provenzano. Vincenzo Brusca e Lorenzo Di Maggio, della famiglia di Torretta e quindi del mandamento di Boccadifalco, sarebbero stati disposti ad assumersi la responsabilità della iniziativa.

Franco Bonura e Gaetano Sansone nel giugno 2005 si schierano esplicitamente contro il rientro degli Inzerillo e ritengono che vada richiesto un parere vincolante al Rotolo. Questi chiede un incontro agli esponenti di spicco di Boccadifalco: Franco Bonura, Gaetano Sansone, Giuseppe Sansone e un "Gianni", presumibilmente Giovanni Aurelio Chiovaro.

Rotolo teme che il Lo Piccolo cerchi di usare una politica del fatto compiuto. Dice di essere a conoscenza del fatto che il Lo Piccolo avrebbe accolto Giovanni Inzerillo, figlio di Totuccio, a Punta Raisi, rassicurandolo sulla debolezza del gruppo contrario al loro rientro (quattro gatti, li avrebbe definiti l'Inzerillo) in quanto i tempi stavano cambiando.

L'idea di Provenzano che a decidere nella cosa nostra siciliana siano in tre (Provenzano, Rotolo e Lo Piccolo) viene rifiutata sprezzantemente dal Rotolo, che non accetta la promozione del Lo Piccolo: "... e tutti gli altri sono stracci, immondizia. Aspetta un minuto, questa qualifica al Lo Piccolo, chi gliel'ha data? Perché il mandamento è a San Lorenzo e pure noi di qua riconosciamo a Nino [Antonino Cinà], no a lui!", e chiede che venga considerato anche il parere di capi storici corleonesi correntemente detenuti come Nino Madonia di Resuttana, Salvatore Biondino di San Lorenzo, e Pippo Calò di Porta Nuova.

A questo punto gli schieramenti, trasversali alle famiglie, sono questi:

A favore del rientro di Sarino Inzerillo sono Alessandro Mannino, di Boccadifalco; Francesco Pastoia, capo mandamento di Belmonte Mezzagno (si suiciderà in carcere nel gennaio 2005); Nicola Mandalà, capofamiglia di Villabate; Vincenzo Brusca, capofamiglia di Torretta; Lorenzo Lorenzino Di Maggio, della famiglia di Torretta; Calogero 'u merendino Caruso, reggente della famiglia mafiosa di Torretta in assenza del Brusca; Salvatore Lo Piccolo, capofamiglia di Tommaso Natale e, fino alla scarcerazione di Antonino Cinà, reggente del mandamento di San Lorenzo.

Tra i possibilisti si notano Bernardo Provenzano; Vincenzo Marcianò, capomandamento di Boccadifalco; Giuseppe Pinuzzu Brusca, della famiglia di Boccadifalco; Gaetano Sansone e Francesco Bonura, di Uditore, poi passati al partito dei contrari.

I contrari sono Antonino Rotolo, capomandamento di Pagliarelli; Antonino Cinà, capomandamento di San Lorenzo; Giuseppe Pinuzzu 'u gettone Sansone e Calogero Mannino, di Uditore.

Il ruolo di Salvatore Lo Piccolo in questa trattativa é fondamentale. Conta molto sull'appoggio di Nicola Mandalà, che ha importanti amicizie nel New Jersey che il Lo Piccolo vuole sfruttare per i suoi affari.

Fonte: SOS Impresa

Gotha: La vendetta degli Inzerillo

Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.

Braccato

Antonino Rotolo aveva elementi per ritenere che gli Inzerillo si volessero vendicare su di lui per le morti da loro subite nella guerra di mafia che li ha costretti a riparare negli Stati Uniti. In una sua discussione con Michele Oliveri nel settembre 2005 gli racconta i retroscena del ritorno Rosario Sarino, Tommaso 'u muscuni, Franco 'u truttaturi e Giuseppe Inzerillo.

Franco 'u truttaturi, dice il Rotolo, ha provato ad ucciderlo a Passo di Rigano qualche anno prima. Ma, secondo Rotolo, anche Giuseppe Inzerillo, figlio di Santo, vorrebbe ucciderlo. Al processo per l'omicidio di Santo, Giuseppe Marchese ha ricordato come la vittima fu attirata in una riunione che avrebbe dovuto avere lo scopo di chiarire i motivi dell'eliminazione di suo fratello Francesco ma che il Rotolo avrebbe sfruttato per eliminare personalmente l'avversario, strangolandolo con una corda al collo.

"Questi Inzerillo erano bambini e poi sono cresciuti, questi ora hanno qualche trent'anni, come possiamo noi stare sereni. Se ne devono andare, e poi uno e poi l'altro e poi l'altro ancora. Devono starsene in America ... se questi prendono campo ci scippano la testa a tutti."

L'esilio degli Inzerillo in America era stato deciso in accordo con le cinque famiglie di New York, i Gambino, Bonanno, Lucchese, Genovese e i Colombo avevano premuto per questa soluzione di mediazione con i corleonesi. Come garante dell'accordo sarebbe stato nominato Rosario Naimo, vicino a Pippo Gambino, inizialmente affiliato alla famiglia di Tommaso Natale – Cardillo e poi passato a quella di San Lorenzo.

É dunque il Naimo che dovrebbe farsi carico di far rispettare agli Inzerillo il divieto di tornare in Italia.

Fonte: SOS Impresa

Arresto di Gioacchino Matranga

I fratelli Matranga sono evasi a fine ottobre scorso, Gioacchino dalla detenzione domiciliare per motivi di salute, Pietro non rientrando al carcere di Bollata da un permesso premio.

Per Gioacchino, pregiudicato per faccende di droga, la latitanza é già finita, dovrà tornare a scontare i 17 anni di pena che gli sono stati comminati.

Gioacchino Gianni Matranga, nato nel '45 a Piana degli Albanesi, é noto per essere stato citato nel rapporto Michele Greco + 161 del 1982 per traffico internazionale di stupefacenti, nel 1984 é stato tra i protagonisti del maxiprocesso palermitano, in seguito alle rivelazioni di Tommaso Buscetta. Arrestato insieme all'avvocato Natale Montanari nel 1999 per un traffico di 400 chili di cocaina dalla Colombia.

I fratelli Matranga, a Palermo, erano noti come i broker di cosa nostra, attivi nella intermediazione nel traffico di droga, come i Cuntrera-Caruana.

Pietro é stato arrestato l'ultima volta nell'ottobre 2000, mentre stava importando dalla Spagna 6 chili di cocaina. Ma pare che il carcere non avesse bloccato la sua attività, tanto che cinque anni più tardi sarebbe stato legato ad una operazione di riciclaggio di soldi provenienti dal narcotraffico in collaborazione con Stefano Polito, della 'ndrina dei Mancuso-Pesce.

Fonti: repubblica, agi, milanomafia