La famiglia Rizzuto, originaria di Cattolica Eraclea, ha avuto un ruolo di spicco nella criminalità organizzata canadese sin dall'arrivo dei suoi primi membri, nel 1954. I Rizzuto, legati ai Cuntrera - Caruana e ai Bonanno, avrebbero legami operativi anche con le famiglie italiane, come sarebbe emerso anche dai risultati dell'operazione Minoa.
Nicolò Nick Rizzuto, 42 anni, figlio di Vito e omonimo del nonno, é stato ucciso a Montreal da un killer. Le prime indagini sono rivolte alla possibilità che si tratti di un regolamento di conti tra bande rivali, all'interno della cosa nostra canadese o in relazione a conflitti con le organizzazioni criminali di origine haitiana. L'azione potrebbe dare inizio ad una guerra di mafia in una zona che non é certo tranquilla, 31 sono i morti ammazzati nell'area metropolitana di Montreal nel 2009.
Vito Rizzuto, padre della vittima, é in carcere dal 2004 in Colorado, dove sta scontando una pena di 10 anni per contrabbando e per il suo ruolo nell'eliminazione di tre membri della clan Bonanno, Philip Philly Lucky Giaccone, Dominick Big Trin Trinchera e Alphonse Sonny Red Indelicato. Sotto la sua guida i Rizzuto sarebbero diventati così potenti da mertarsi il soprannome di sesta famiglia, dopo le cinque basate nella zona di New York.
Il nonno, Nick Senior, avrebbe iniziato la sua carriera a Montreal come affiliato dei calabresi Cotroni, collegati ai Bonanno di New York, pur mantenendo i suoi legami con la famiglia siciliana dei Cuntrera - Caruana. Avrebbe sfruttato i suoi collegamenti per creare una rete malavitosa tra Canada, Stati Uniti, Venezuela e Italia. Sarebbe stato coinvolto nell'omicidio avvenuto nel '78 di Paolo Violi, che era stato nominato dai Bonanno a capo della famiglia di Montreal. Il Violi avrebbe manifestato il suo scarso gradimento per l'indipendenza mostrata da Nick Senior, che non avrebbe rispettato le gerarchie della famiglia in cui era inserito. Gli equilibri risultanti dalla eliminazione del Violi e dalle susseguente guerra di mafia portarono, dagli anni '80, al predominio dei Rizzuto nella zona di Montreal. Bloccato da una carcerazione di 5 anni in Venezuela per possesso di cocaina alla fine degli anni ottanta, avrebbe per il resto mantenuto la sua operatività nella famiglia fino al 2006, quando é stato arrestato nell'ambito del progetto Colisee, come riportato dalla Montreal Gazette
Fonti: corriere, montreal gazette
Operazione Minoa
I giudici del tribunale del riesame, secondo quanto riportato da agrigento web, ha sostanzialmente confermato l'impostazione dell'operazione Minoa, scattata il 27 novembre scorso. Tre gli indagati per cui é stato disposta la rimessa in libertà: Andrea Amoddeo, Francesco Manno, Marco Vinti.
Secondo repubblica ad essere colpita dall'operazione sarebbe principalmente la famiglia Terrasi di Cattolica Eraclea, che avrebbe ottime relazioni con i Bonanno di New York e con i Cuntrera-Caruana basati in Canada.
Gli altri destinatari delle ordinanze di custodia cautelare sono: Paolo Miccichè, Giuseppe Terrasi, Gaspare Tutino, Domenico Terrasi e Damiano Marrella.
Secondo repubblica ad essere colpita dall'operazione sarebbe principalmente la famiglia Terrasi di Cattolica Eraclea, che avrebbe ottime relazioni con i Bonanno di New York e con i Cuntrera-Caruana basati in Canada.
Gli altri destinatari delle ordinanze di custodia cautelare sono: Paolo Miccichè, Giuseppe Terrasi, Gaspare Tutino, Domenico Terrasi e Damiano Marrella.
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Cosa nostra
Arresto di Ugo Martello
Ugo Martello, 69 anni, detto il professore, é stato arrestato il 23 dicembre nella sua casa in zona Porta Venezia, a Milano.
Il provvedimento segue la condanna in primo grado a 15 anni nel processo Metallica che ha colpito gli Onorato insediati in Lombardia.
Il Martello é considerato elemento di connessione tra le cosche stabilite a Milano e quelle originarie in Sicilia. Dunque una figura simile a quella di Gaetano Fidanzati, recentemente arrestato dopo una lunga latitanza, con cui sarebbe stato in contatto.
L'ordine di custodia cautelare è stato motivato con il pericolo di fuga a cui é stato affiancato il pericolo di reiterazione di reato.
Fonti: repubblica, ansa.
Approfondimenti sulla figura di Ugo Martello su MilanoMafia: tra i compagni di condanna nel processo Metallica si citano Luigi Befana Cicalese, collaboratore di giustizia, ed Emanuele Piazzese, entrambi condannati per omicidio.
Ugo Vittorio Benito Martello, questo il suo nome completo, ha usato nella sua carriera diversi pseudonimi come Eugenio Apicella, Tanino e dottor Filippi. Ha iniziato la sua latitanza nel 1965, quando venne denunciato per concorso in rapina e tentato omicidio e porto d’armi per fatti avvenuti a Palermo. Trasferitosi a Milano, avrebbe operato come anello di congiunzione tra le cosche operanti a Palermo, Milano e l'America, avrebbe gestito il traffico di eroina tra Italia e Stati Uniti a fianco dei Bonanno, Bono e Inzerillo.
Coinvolto in numerose indagini, tra cui con personaggi del calibro di Alfredo e Giuseppe Bono, Tommaso Buscetta, Salvatore Enea, Vittorio Mangano, Federico D'Agata, Luigi Monti, Gaetano Fidanzati, i fratelli Carlo, Antonino, Giuseppe e Gerlando 'u paccarè Alberti (13 aprile del 1981); Rosario Spatola, Giovanni, Giuseppe e Alfonso Gambino, Rosario Inzerillo, Emanuele, Domenico e Antonio Adamita (26 maggio del 1982); di nuovo l'Alberti, Buscetta, Bono, Monti, Virgilio, Gangi e Fidanzati (14 febbraio 1983).
Secondo la corte d'assise d'appello di Palermo, il Martello "è inserito nella famiglia di Bolognetta capeggiata da Giuseppe Bono" (sentenza del 10 dicembre 1990, condanna a 5 anni e 4 mesi per associazione mafiosa).
A fine anni novanta, il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia conferma che Ugo Martello fa parte della famiglia di Bolognetta, e aggiunge che i suoi fratelli Biagio e Mario sarebbero in quella di San Giuseppe Jato. Secondo Mario Di Matteo ci sarebbero anche legami diretti tra il Martello e Giovanni Brusca.
Il provvedimento segue la condanna in primo grado a 15 anni nel processo Metallica che ha colpito gli Onorato insediati in Lombardia.
Il Martello é considerato elemento di connessione tra le cosche stabilite a Milano e quelle originarie in Sicilia. Dunque una figura simile a quella di Gaetano Fidanzati, recentemente arrestato dopo una lunga latitanza, con cui sarebbe stato in contatto.
L'ordine di custodia cautelare è stato motivato con il pericolo di fuga a cui é stato affiancato il pericolo di reiterazione di reato.
Fonti: repubblica, ansa.
Approfondimenti sulla figura di Ugo Martello su MilanoMafia: tra i compagni di condanna nel processo Metallica si citano Luigi Befana Cicalese, collaboratore di giustizia, ed Emanuele Piazzese, entrambi condannati per omicidio.
Ugo Vittorio Benito Martello, questo il suo nome completo, ha usato nella sua carriera diversi pseudonimi come Eugenio Apicella, Tanino e dottor Filippi. Ha iniziato la sua latitanza nel 1965, quando venne denunciato per concorso in rapina e tentato omicidio e porto d’armi per fatti avvenuti a Palermo. Trasferitosi a Milano, avrebbe operato come anello di congiunzione tra le cosche operanti a Palermo, Milano e l'America, avrebbe gestito il traffico di eroina tra Italia e Stati Uniti a fianco dei Bonanno, Bono e Inzerillo.
Coinvolto in numerose indagini, tra cui con personaggi del calibro di Alfredo e Giuseppe Bono, Tommaso Buscetta, Salvatore Enea, Vittorio Mangano, Federico D'Agata, Luigi Monti, Gaetano Fidanzati, i fratelli Carlo, Antonino, Giuseppe e Gerlando 'u paccarè Alberti (13 aprile del 1981); Rosario Spatola, Giovanni, Giuseppe e Alfonso Gambino, Rosario Inzerillo, Emanuele, Domenico e Antonio Adamita (26 maggio del 1982); di nuovo l'Alberti, Buscetta, Bono, Monti, Virgilio, Gangi e Fidanzati (14 febbraio 1983).
Secondo la corte d'assise d'appello di Palermo, il Martello "è inserito nella famiglia di Bolognetta capeggiata da Giuseppe Bono" (sentenza del 10 dicembre 1990, condanna a 5 anni e 4 mesi per associazione mafiosa).
A fine anni novanta, il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia conferma che Ugo Martello fa parte della famiglia di Bolognetta, e aggiunge che i suoi fratelli Biagio e Mario sarebbero in quella di San Giuseppe Jato. Secondo Mario Di Matteo ci sarebbero anche legami diretti tra il Martello e Giovanni Brusca.
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Cosa nostra
Operazione Eos 2: Giovanni Razzanelli
Da quanto si legge sul Giornale di Sicilia Giovanni Razzanelli ha iniziato a collaborare con la giustizia il 9 novembre scorso.
Il suo contributo si aggiunge a quello di Francesco Franzese, Nino Nuccio, Andrea Buonaccorso, Maurizio Spataro, Michele Visita, e Francesco Paolo Balistrieri nell'indagine denominata Eos 2.
Il Razzanelli, arrestato nel corso dell'operazione Eos, era a piede libero quando ha deciso di collaborare: "ho fatto parte della famiglia mafiosa di Pallavicino diretta da Vincenzo Troia. Il mio ruolo era legato all'imposizione e all'esazione del pizzo", avrebbe dichiarato.
"Dopo qualche tempo sono stato avvicinato da Vito Speranza (Nicolosi), (Domenico) Mimmo Alagna, Salvatore (Razza tinta) Randazzo. Poi mi sono incontrato con Sergio Misseri, Nunzio Sammaritano e Vito Speranza", volevano convincerlo a riprendere la sua attività ma lui, indagato, non se l'é sentita. Si é limitato a cercare di convicere di pagare suo zio, che però si mostrava restio. Spiegata la situazione a Vito Speranza e un tal Filippo, questi decisero di recapitare una testa di agnello allo zio.
Secondo il Razzanelli Alagna e Vito Speranza avrebbero in mano Tommaso Natale, Sferracavallo e l'Elenka. Dunque sarebbero subentrati ai Lo Piccolo.
Il suo contributo si aggiunge a quello di Francesco Franzese, Nino Nuccio, Andrea Buonaccorso, Maurizio Spataro, Michele Visita, e Francesco Paolo Balistrieri nell'indagine denominata Eos 2.
Il Razzanelli, arrestato nel corso dell'operazione Eos, era a piede libero quando ha deciso di collaborare: "ho fatto parte della famiglia mafiosa di Pallavicino diretta da Vincenzo Troia. Il mio ruolo era legato all'imposizione e all'esazione del pizzo", avrebbe dichiarato.
"Dopo qualche tempo sono stato avvicinato da Vito Speranza (Nicolosi), (Domenico) Mimmo Alagna, Salvatore (Razza tinta) Randazzo. Poi mi sono incontrato con Sergio Misseri, Nunzio Sammaritano e Vito Speranza", volevano convincerlo a riprendere la sua attività ma lui, indagato, non se l'é sentita. Si é limitato a cercare di convicere di pagare suo zio, che però si mostrava restio. Spiegata la situazione a Vito Speranza e un tal Filippo, questi decisero di recapitare una testa di agnello allo zio.
Secondo il Razzanelli Alagna e Vito Speranza avrebbero in mano Tommaso Natale, Sferracavallo e l'Elenka. Dunque sarebbero subentrati ai Lo Piccolo.
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Cosa nostra
Gotha: Rotolo e gli scappati
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte sulle tensioni in cosa nostra tra i corleonesi e gli scappati che minacciavano di portare ad una nuova guerra di mafia.
Il ritorno del passato
Per farsi un idea di cosa ne pensi Antonino Rotolo dell'idea di Salvatore Lo Piccolo di lasciare che gli Inzerillo ritornino in Sicilia basta leggere cosa ha detto, non sapendo di essere intercettato, a Franco Bonura nel 2005: "Noialtri non è che possiamo dormire a sonno pieno perché nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno può essere pure che non ci risvegliamo più! Picciotti, vedete che non è finito niente, questi i morti li hanno sempre per davanti, ci sono sempre le ricorrenze, si siedono a tavola e manca questo e manca quello, queste cose non le possiamo scordare".
Sono passati più di vent'anni dalla sanguinosa guerra di mafia e gli Inzerillo premono per tornare. Nel dicembre 2004, Rosario Sarino Inzerillo é rientrato, in quanto espulso come indesiderabile dagli USA. Sarino é fratello di Salvatore, che era a capo del mandamento di Passo di Rigano, quando venne ucciso il 10 maggio 1981 per ordine di Totò Riina; di Santo, di cui non si è più trovato il cadavere; di Pietro, assassinato nel New Jersey, il 15 gennaio del 1982. É il terzo Inzerillo a tornare in Italia, dopo Giuseppe, figlio di Santo, e Francesco 'u truttaturi, figlio di Pietro, anche lui espulso come indesiderabile dagli USA.
A Bernardo Provenzano che gli parla di perdono, Rotolo contrappone il fatto che lo stesso Binnu ha aspettato cinquanta anni per vendicarsi di Giovanni Palazzotto, uccidendolo nella piazza del paese.
Giovanni Falcone, parlando degli Inzerillo aveva detto che "l'intrico incredibile delle parentele è tale che si fatica a raccapezzarsi ed è interessante notare che, ad ogni ulteriore generazione, i collegamenti si fanno più stretti a seguito di matrimoni tra cugini ... l'endogamia è scientemente perseguita nel quadro di un apparente recupero dei valori tradizionali, strumentali per rendere maggiormente omogeneo e coeso il gruppo".
Rotolo é stato tra i principali attori della guerra di mafia, considerato vicino a Pippo Calò, e quindi ai capimandamento e boss emergenti fedeli a Riina. Secondo Giuseppe Marchese, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo anche in cosa nostra si pensava che
Nino Rotolo avesse parte nella decisione di eliminare Salvatore Inzerillo.
Sul finire degli anni settanta Salvatore Inzerillo aveva per primo, con gli Spatola, i Gambino e i Di Maggio, organizzato il traffico di droga su larga scala, raffinando in proprio la morfina base, per poi spedire l'eroina in America.
Secondo Riina, era stato avido e egoista. Per questo doveva pagare con la vita assieme a tutti i suoi familiari.
Fonte: SOS Impresa
Il ritorno del passato
Per farsi un idea di cosa ne pensi Antonino Rotolo dell'idea di Salvatore Lo Piccolo di lasciare che gli Inzerillo ritornino in Sicilia basta leggere cosa ha detto, non sapendo di essere intercettato, a Franco Bonura nel 2005: "Noialtri non è che possiamo dormire a sonno pieno perché nel momento che noi ci addormentiamo a sonno pieno può essere pure che non ci risvegliamo più! Picciotti, vedete che non è finito niente, questi i morti li hanno sempre per davanti, ci sono sempre le ricorrenze, si siedono a tavola e manca questo e manca quello, queste cose non le possiamo scordare".
Sono passati più di vent'anni dalla sanguinosa guerra di mafia e gli Inzerillo premono per tornare. Nel dicembre 2004, Rosario Sarino Inzerillo é rientrato, in quanto espulso come indesiderabile dagli USA. Sarino é fratello di Salvatore, che era a capo del mandamento di Passo di Rigano, quando venne ucciso il 10 maggio 1981 per ordine di Totò Riina; di Santo, di cui non si è più trovato il cadavere; di Pietro, assassinato nel New Jersey, il 15 gennaio del 1982. É il terzo Inzerillo a tornare in Italia, dopo Giuseppe, figlio di Santo, e Francesco 'u truttaturi, figlio di Pietro, anche lui espulso come indesiderabile dagli USA.
A Bernardo Provenzano che gli parla di perdono, Rotolo contrappone il fatto che lo stesso Binnu ha aspettato cinquanta anni per vendicarsi di Giovanni Palazzotto, uccidendolo nella piazza del paese.
Giovanni Falcone, parlando degli Inzerillo aveva detto che "l'intrico incredibile delle parentele è tale che si fatica a raccapezzarsi ed è interessante notare che, ad ogni ulteriore generazione, i collegamenti si fanno più stretti a seguito di matrimoni tra cugini ... l'endogamia è scientemente perseguita nel quadro di un apparente recupero dei valori tradizionali, strumentali per rendere maggiormente omogeneo e coeso il gruppo".
Rotolo é stato tra i principali attori della guerra di mafia, considerato vicino a Pippo Calò, e quindi ai capimandamento e boss emergenti fedeli a Riina. Secondo Giuseppe Marchese, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo anche in cosa nostra si pensava che
Nino Rotolo avesse parte nella decisione di eliminare Salvatore Inzerillo.
Sul finire degli anni settanta Salvatore Inzerillo aveva per primo, con gli Spatola, i Gambino e i Di Maggio, organizzato il traffico di droga su larga scala, raffinando in proprio la morfina base, per poi spedire l'eroina in America.
Secondo Riina, era stato avido e egoista. Per questo doveva pagare con la vita assieme a tutti i suoi familiari.
Fonte: SOS Impresa
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Atti,
Cosa nostra
Gotha: i pizzini di Bernardo Provenzano
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai principali arresti.
Numeri e volti
La gestione dei pizzini é effettuata con tutte le cautele possibili. Anche i messaggi sono, in un qualche modo, resi oscuri al lettore esterno. Ma un lungo e paziente lavoro investigativo ha svelato molti dei nomi che erano nascosti dietro numeri, sigle o pseudonimi.
Anche le intercettazioni aiutano a decifrare i nomi. Ad esempio Antonino Cinà viene intercettato in una discussione con Antonino Rotolo: "io sono il centosessantaquattro ... uno, sei, quattro ... io ci metto N.N., ma siccome c'è qualcun altro che ci mette N.N., io scrivo pure un segnale, e lui lo capisce". La frase chiave é: "ti dovevo dare altri cinquanta milioni... lui lo capisce subito". E la conferma arriva da uno dei pizzini sequestrati a Provenzano, in cui 164 parla dei cinquanta milioni.
Uno degli argomenti trattati dai pizzini é la trattativa sul rientro degli Inzerillo di Passo di Rigano in Italia. La cupola di cosa nostra li ha esiliati negli USA dai tempi della guerra di mafia conclusa con la vittoria dei corleonesi a scapito degli scappati. Totò Riina avrebbe preferito una soluzione più radicale, secondo lui degli Inzerillo "non doveva rimanere neppure il seme sulla faccia della terra". Ma grazie alla mediazione delle cinque grandi famiglie newyorkesi (Gambino, Bonanno, Lucchese, Genovese e Colombo) si era giunti a quel compromesso.
Totuccio Inzerillo era a capo assieme a Stefano Bontate dello schieramento contrapposto ai corleonesi. I due sono stati uccisi nel 1981 a tre settimane di distanza l'uno dall'altro. Il fratello Pietro era scappato a Philadelphia, dove gestiva ristoranti sotto falso nome. Anche Pietro, come il fratello, viene tradito e ucciso. Nel gennaio '82 viene eliminato con un colpo di pistola alla testa e, come sfregio, gli viene infilata in bocca una mazzetta di dollari.
Sulla questione del rientro degli Inzerillo si sono formate due fazioni, a capo delle quali ci sono Antonino Rotolo, contrario, e Salvatore Lo Piccolo, favorevole. É solo un tema che contrappone di due boss, la possibilità che scoppi una nuova guerra di mafia é molto alta.
Sui pizzini Antonino Rotolo è il numero 25, Salvatore Lo Piccolo il 30 e Sandro Lo Piccolo il 31.
Provenzano tiene una posizione ambigua, Vincenzo Marcianò, capo mandamento di Passo di Rigano-Boccadifalco, se ne lamenta con Francesco Bonura e Calogero Mannino, vicini a Rotolo, in una conversazione intercettata nel marzo del 2005. Per Marcianò questa indecisione del boss é un segno della debolezza dell'organizzazione: "questo è il periodo più brutto di cosa nostra, il più brutto, perché non ci fidiamo più uno dell'altro, perché ogni arricugghiuta (retata) c’è un operaio (pentito) nuovo".
Fonte: SOS Impresa
Numeri e volti
La gestione dei pizzini é effettuata con tutte le cautele possibili. Anche i messaggi sono, in un qualche modo, resi oscuri al lettore esterno. Ma un lungo e paziente lavoro investigativo ha svelato molti dei nomi che erano nascosti dietro numeri, sigle o pseudonimi.
Anche le intercettazioni aiutano a decifrare i nomi. Ad esempio Antonino Cinà viene intercettato in una discussione con Antonino Rotolo: "io sono il centosessantaquattro ... uno, sei, quattro ... io ci metto N.N., ma siccome c'è qualcun altro che ci mette N.N., io scrivo pure un segnale, e lui lo capisce". La frase chiave é: "ti dovevo dare altri cinquanta milioni... lui lo capisce subito". E la conferma arriva da uno dei pizzini sequestrati a Provenzano, in cui 164 parla dei cinquanta milioni.
Uno degli argomenti trattati dai pizzini é la trattativa sul rientro degli Inzerillo di Passo di Rigano in Italia. La cupola di cosa nostra li ha esiliati negli USA dai tempi della guerra di mafia conclusa con la vittoria dei corleonesi a scapito degli scappati. Totò Riina avrebbe preferito una soluzione più radicale, secondo lui degli Inzerillo "non doveva rimanere neppure il seme sulla faccia della terra". Ma grazie alla mediazione delle cinque grandi famiglie newyorkesi (Gambino, Bonanno, Lucchese, Genovese e Colombo) si era giunti a quel compromesso.
Totuccio Inzerillo era a capo assieme a Stefano Bontate dello schieramento contrapposto ai corleonesi. I due sono stati uccisi nel 1981 a tre settimane di distanza l'uno dall'altro. Il fratello Pietro era scappato a Philadelphia, dove gestiva ristoranti sotto falso nome. Anche Pietro, come il fratello, viene tradito e ucciso. Nel gennaio '82 viene eliminato con un colpo di pistola alla testa e, come sfregio, gli viene infilata in bocca una mazzetta di dollari.
Sulla questione del rientro degli Inzerillo si sono formate due fazioni, a capo delle quali ci sono Antonino Rotolo, contrario, e Salvatore Lo Piccolo, favorevole. É solo un tema che contrappone di due boss, la possibilità che scoppi una nuova guerra di mafia é molto alta.
Sui pizzini Antonino Rotolo è il numero 25, Salvatore Lo Piccolo il 30 e Sandro Lo Piccolo il 31.
Provenzano tiene una posizione ambigua, Vincenzo Marcianò, capo mandamento di Passo di Rigano-Boccadifalco, se ne lamenta con Francesco Bonura e Calogero Mannino, vicini a Rotolo, in una conversazione intercettata nel marzo del 2005. Per Marcianò questa indecisione del boss é un segno della debolezza dell'organizzazione: "questo è il periodo più brutto di cosa nostra, il più brutto, perché non ci fidiamo più uno dell'altro, perché ogni arricugghiuta (retata) c’è un operaio (pentito) nuovo".
Fonte: SOS Impresa
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Atti,
Cosa nostra
Gotha: l'arresto di Bernardo Provenzano
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai principali arresti.
Mimetismo e immersione
L'undici aprile 2006 in una rustica stalla nelle campagne di Corleone un dimesso ultrasettantenne consuma ricotta e cicoria. E' questo il bersaglio di un blitz di polizia, perché si tratta di Bernardo Binnu Provenzano.
La sua latitanza é stata gestita per decenni dalle famiglie di Villabate e Bagheria, i contatti sono stati mantenuti per mezzo di foglietti di carta ripiegati (i pizzini) non per arretratezza ma per sicurezza: un pizzino non lascia tracce, di lui stesso non si hanno foto. Quarant'anni di invisibilità alla Stato.
Per il viaggio a Marsiglia del 2003, dove si é sottoposto a una delicata operazione chirurgica, si é spacciato per un panettiere di Villabate, contando su un documento falsificato fornitogli da Nicola Mandalà e Francesco Campanella.
In una lettera a Antonino manuzza Giuffrè si vede quanto sia circospetto:
Carissimo, con gioia, ho ricevuto, tuoi notizie, mi compiaccio tanto, nel sapervi, ha tutti in ottima salute. Lo stesso grazie a Dio, al momento, posso dire di me ...
Discorso cr; se lo puoi fare,e ti ubidiscono? facci guardare, se intorno all'azienta, ci avessero potuto mettere una o più telecmere,vicino ho distante, falli impegnare ad'Osservare bene. e con questo, dire che non parlano, né dentro, né vicino alle macchine, anche in casa, non parlano ad alta voce, non parlare nemmeno vici a case, ne buone né diroccate, istriscili, niente per me ribgraziamente Ringrazia a Nostro Signore Gesù Cristo.
Per giungere a lui gli investigatori hanno dovuto smontare il meccanismo della gestione dei pizzini, utilizzando i risultati dei procedimenti Grande Mandamento e Ghiaccio.
I messaggi venivano raccolti da ogni famiglia, unificati in un unico plico a cui si allegava una lettera di accompagnamento. Una cerchia ristretta di soggetti si occupava di consegnare i plichi a chi era in diretto contatto con il latitante.
Questi erano scelti con cura da Provenzano, e periodicamente cambiati.
Fino al gennaio del 2005, al suo arresto, é stato Francesco Ciccio Pastoia, a gestire il sistema, diventando una sorta di riferimento per cosa nostra, in accordo con Nicola Mandalà.
Subentrano poi altri, tra cui anche Giovanni Nicchi, giovane boss in ascesa, considerato il braccio destro di Antonino Rotolo.
La carriera di Provenzano é nata con la qualifica di killer per conto di Luciano Liggio, poi ha affiancato Salvatore Riina nella sua politica stragista di scontro frontale con lo Stato. Nel 1993 diventa il fautore di un nuovo corso di cosa nostra. Decide l'inabissamento dell'organizzazione mafiosa.
Questo cambio di strategia é spiegato da Antonino Giuffrè, considerato persona molto vicina al Provenzano. Dopo gli attentati del 1992 lo Stato ha reagito con legislazione ad hoc per i mafiosi. Norme speciali, maggiore severità sulla custodia cautelare, intercettazioni, regime detentivo, confisca dei patrimoni, responsabilità penali nell'ambito delle consultazioni elettorali, sul riciclaggio, sui collaboratori di giustizia.
Si decide allora di scomparire, anche se in casi particolari, come in un contrasto con la stidda agrigentina, si fa comunque ricorso alla violenza esplicita.
Contrasta la corrente stragista di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca che pensavano, come ritorsione all'arresto di Riina, di uccidere un carabiniere per ogni stazione in provincia di Palermo e stavano pianificando un attentato con un bazooka ai danni del procuratore della Repubblica.
Mira invece ad un alleggerimento della pressione del pizzo sui commercianti, riducendo le tariffe ma aumentando il numero dei paganti. Mira, come dimostrano le intercettazioni a Giuseppe Guttadauro, a ristabilire il sistema di rapporti con professionisti, imprenditori, amministratori e politici per controllare gli appalti, i centri commerciali e la sanità. Vuole che cosa nostra sia un mezzo per dare lavoro ai disoccupati, in modo da accrescerne il prestigio.
Fonte: SOS Impresa
Mimetismo e immersione
L'undici aprile 2006 in una rustica stalla nelle campagne di Corleone un dimesso ultrasettantenne consuma ricotta e cicoria. E' questo il bersaglio di un blitz di polizia, perché si tratta di Bernardo Binnu Provenzano.
La sua latitanza é stata gestita per decenni dalle famiglie di Villabate e Bagheria, i contatti sono stati mantenuti per mezzo di foglietti di carta ripiegati (i pizzini) non per arretratezza ma per sicurezza: un pizzino non lascia tracce, di lui stesso non si hanno foto. Quarant'anni di invisibilità alla Stato.
Per il viaggio a Marsiglia del 2003, dove si é sottoposto a una delicata operazione chirurgica, si é spacciato per un panettiere di Villabate, contando su un documento falsificato fornitogli da Nicola Mandalà e Francesco Campanella.
In una lettera a Antonino manuzza Giuffrè si vede quanto sia circospetto:
Carissimo, con gioia, ho ricevuto, tuoi notizie, mi compiaccio tanto, nel sapervi, ha tutti in ottima salute. Lo stesso grazie a Dio, al momento, posso dire di me ...
Discorso cr; se lo puoi fare,e ti ubidiscono? facci guardare, se intorno all'azienta, ci avessero potuto mettere una o più telecmere,vicino ho distante, falli impegnare ad'Osservare bene. e con questo, dire che non parlano, né dentro, né vicino alle macchine, anche in casa, non parlano ad alta voce, non parlare nemmeno vici a case, ne buone né diroccate, istriscili, niente per me ribgraziamente Ringrazia a Nostro Signore Gesù Cristo.
Per giungere a lui gli investigatori hanno dovuto smontare il meccanismo della gestione dei pizzini, utilizzando i risultati dei procedimenti Grande Mandamento e Ghiaccio.
I messaggi venivano raccolti da ogni famiglia, unificati in un unico plico a cui si allegava una lettera di accompagnamento. Una cerchia ristretta di soggetti si occupava di consegnare i plichi a chi era in diretto contatto con il latitante.
Questi erano scelti con cura da Provenzano, e periodicamente cambiati.
Fino al gennaio del 2005, al suo arresto, é stato Francesco Ciccio Pastoia, a gestire il sistema, diventando una sorta di riferimento per cosa nostra, in accordo con Nicola Mandalà.
Subentrano poi altri, tra cui anche Giovanni Nicchi, giovane boss in ascesa, considerato il braccio destro di Antonino Rotolo.
La carriera di Provenzano é nata con la qualifica di killer per conto di Luciano Liggio, poi ha affiancato Salvatore Riina nella sua politica stragista di scontro frontale con lo Stato. Nel 1993 diventa il fautore di un nuovo corso di cosa nostra. Decide l'inabissamento dell'organizzazione mafiosa.
Questo cambio di strategia é spiegato da Antonino Giuffrè, considerato persona molto vicina al Provenzano. Dopo gli attentati del 1992 lo Stato ha reagito con legislazione ad hoc per i mafiosi. Norme speciali, maggiore severità sulla custodia cautelare, intercettazioni, regime detentivo, confisca dei patrimoni, responsabilità penali nell'ambito delle consultazioni elettorali, sul riciclaggio, sui collaboratori di giustizia.
Si decide allora di scomparire, anche se in casi particolari, come in un contrasto con la stidda agrigentina, si fa comunque ricorso alla violenza esplicita.
Contrasta la corrente stragista di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca che pensavano, come ritorsione all'arresto di Riina, di uccidere un carabiniere per ogni stazione in provincia di Palermo e stavano pianificando un attentato con un bazooka ai danni del procuratore della Repubblica.
Mira invece ad un alleggerimento della pressione del pizzo sui commercianti, riducendo le tariffe ma aumentando il numero dei paganti. Mira, come dimostrano le intercettazioni a Giuseppe Guttadauro, a ristabilire il sistema di rapporti con professionisti, imprenditori, amministratori e politici per controllare gli appalti, i centri commerciali e la sanità. Vuole che cosa nostra sia un mezzo per dare lavoro ai disoccupati, in modo da accrescerne il prestigio.
Fonte: SOS Impresa
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Cosa nostra
Operazione Compendium
Colpita dall'operazione Compendium le cosche gelesi degli Emmanuello e Rinzivillo che avevano sviluppato una organizzazione distaccata nel nord Italia, con base a Parma. Tre suoi esponenti, Orazio Infuso, Marco Carfì e Nunzio Alabiso, si erano pure candidati alle comunali di Parma del 2007 senza risultare eletti.
Una donna tedesca, ex convivente di Alessandro Emmanuello, e il collaboratore di giustizia Fortunato Ferracane hanno collaborato all'inchiesta che ha utilizzato anche informazioni provenienti letteralmente dallo stomaco di Daniele Emmanuello. Il boss aveva infatti ingoiato un pizzino prima di morire nel 2007 nel corso di una sparatoria con i poliziotti che volevano arrestarlo. Recuperato e decifrato ha fornito importanti elementi per le susseguenti indagini.
Salvatore Terlati, suo braccio destro, si era trasferito a Parma dove, contando sulla complicità di alcuni compaesani, gli Infuso e gli Alabisio, aveva imbastito alcune lucrose attività illegali.
Le ordinanze di custodia cautelare:
Una donna tedesca, ex convivente di Alessandro Emmanuello, e il collaboratore di giustizia Fortunato Ferracane hanno collaborato all'inchiesta che ha utilizzato anche informazioni provenienti letteralmente dallo stomaco di Daniele Emmanuello. Il boss aveva infatti ingoiato un pizzino prima di morire nel 2007 nel corso di una sparatoria con i poliziotti che volevano arrestarlo. Recuperato e decifrato ha fornito importanti elementi per le susseguenti indagini.
Salvatore Terlati, suo braccio destro, si era trasferito a Parma dove, contando sulla complicità di alcuni compaesani, gli Infuso e gli Alabisio, aveva imbastito alcune lucrose attività illegali.
Le ordinanze di custodia cautelare:
- Nunzio Alabiso, 30 anni;
- Carmelo 'u Mongolo Alabiso, 32 anni;
- Francesco 'u Vecchiu Aprile, 63 anni;
- Rocco Ascia, 34 anni;
- Giuseppe Salvatore Bevilacqua, 42 anni;
- Massimo Carmelo Billizzi, 34 anni;
- Giuseppe Billizzi, 37 anni;
- Maurizio Bugio, 39 anni;
- Emanuele Caltagirone, 33 anni;
- Marco Gino Carfà, 31 anni;
- Rosario Cascino, 43 anni;
- Angelo Eugenio Di Bartolo, 32 anni;
- Gianfranco Di Natale, 36 anni;
- Andrea Frecentese, 33 anni;
- Raimondo Gambino, 25 anni;
- Gianluca Gammino, 35 anni;
- Salvatore Gravagna, 27 anni;
- Claudio Infuso, 31 anni;
- Fabio Infuso, 37 anni;
- Nunzio Mirko Barboncino Licata, 32 anni;
- Claudio Lo Vivo, 34 anni;
- Crocifisso Lo Vivo, 44 anni;
- Marco Maganuco, 33 anni;
- Francesco Martines, 26 anni;
- Claudio Parisi, 54 anni;
- Gianluca Pellegrino, 25 anni;
- Giuseppe Piscopo, 33 anni;
- Alessandro Piscopo, 35 anni;
- Tommaso Placenti, 33 anni;
- Paolo Portelli, 41 anni;
- Nunzio Quattrocchi 34 anni;
- Bruno Salvatore Quattrocchi, 30 anni;
- Calogero Sanfilippo, 34 anni;
- Gabriele Giacomo Stanzà, 39 anni;
- Salvatore Ciap Ciap Terlati, 35 anni;
- Daniele Turco, 40 anni;
- Francesco Vella, 34 anni;
- Sandro Vissuto, 21 anni;
- Domenico Vullo, anni 33.
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Cosa nostra
Operazione Triade
Si tratterebbe di una organizzazione indipendente ma che operava in contatto con esponenti di cosa nostra. L'indagine é partita nel 2007 in seguito all'arresto di Vittorio Sancilles, che era in possesso di 400 grammi di cocaina.
Per mezzo di intercettazioni telefoniche e ambientali e delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Andrea Bonaccorso e Angelo Casano, si é ricostruita una struttura articolata in tre gruppi attivi nella periferia orientale di Palermo.
Un gruppo aveva come nucleo la famiglia Sancilles, che si rifornivano da Vincenzo Militello e Antonino Mannino. Questi due avrebbero fatto parte di un secondo gruppo, diretto da Vincenzo Inzerra e che avrebbe avuto come base l'autolavaggio di Giovanni Montaperto a Villabate, che gestiva l'acquisto delle partite di droga che arrivavano da Napoli e dalla Spagna. Un terzo gruppo controllava una rete di spacciatori e sarebbe stato diretto da Domenico Targia, dalla moglie Olga Di Maria e dalla cognata Giusi Stella.
Il Bonaccorso ha parlato dei traffici, ad esempio una volta avrebbe partecipato ad un viaggio in Spagna con Piero Tagliavia e i fratelli Fabio e Tonino Lo Nigro, finalizzato all'acquisizione di 500 chili di hashish. Trecento chili sarebbero stati destinati ai fratelli Stefano e Michele Marino, affiliati uno alla famiglia di Roccella e l'altro a quella di Brancaccio, che l'avrebbero a loro volta girata almeno in parte ai fratelli Inzerra.
Il Casano ha confermato dichiarazioni del Bonaccorso e ha parlato di Fabio Cucina, che avrebbe messo a disposizione notevoli quantità di stupefacenti.
Tipicamente la cocaina e l'hashish arrivavano dalla Spagna a Napoli in container. Da qui, a Marano, zona controllata dai Nuvoletta e dai Polverino, veniva piazzata in tir imbarcati per Palermo. A Brancaccio sono stati trovati depositi per lo stoccaggio della droga, che veniva tagliata, confezionata e passata alla rete di distribuzione. Ludovico Sansone e Antonino Lo Nigro, reggenti di Brancaccio per cosa nostra, avrebbero avallato il traffico.
Si sarebbe anche indagato su un tentativo di pressione da parte di questa associazione a delinquere nei confronti dei vigili urbani di Ficarazzi. In alcune intercettazioni ambientali Vincenzo Inzerra sarebbe intervenuto per cercare di bloccare il sequestro di un cantiere abusivo.
La lista dei destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare:
Per mezzo di intercettazioni telefoniche e ambientali e delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Andrea Bonaccorso e Angelo Casano, si é ricostruita una struttura articolata in tre gruppi attivi nella periferia orientale di Palermo.
Un gruppo aveva come nucleo la famiglia Sancilles, che si rifornivano da Vincenzo Militello e Antonino Mannino. Questi due avrebbero fatto parte di un secondo gruppo, diretto da Vincenzo Inzerra e che avrebbe avuto come base l'autolavaggio di Giovanni Montaperto a Villabate, che gestiva l'acquisto delle partite di droga che arrivavano da Napoli e dalla Spagna. Un terzo gruppo controllava una rete di spacciatori e sarebbe stato diretto da Domenico Targia, dalla moglie Olga Di Maria e dalla cognata Giusi Stella.
Il Bonaccorso ha parlato dei traffici, ad esempio una volta avrebbe partecipato ad un viaggio in Spagna con Piero Tagliavia e i fratelli Fabio e Tonino Lo Nigro, finalizzato all'acquisizione di 500 chili di hashish. Trecento chili sarebbero stati destinati ai fratelli Stefano e Michele Marino, affiliati uno alla famiglia di Roccella e l'altro a quella di Brancaccio, che l'avrebbero a loro volta girata almeno in parte ai fratelli Inzerra.
Il Casano ha confermato dichiarazioni del Bonaccorso e ha parlato di Fabio Cucina, che avrebbe messo a disposizione notevoli quantità di stupefacenti.
Tipicamente la cocaina e l'hashish arrivavano dalla Spagna a Napoli in container. Da qui, a Marano, zona controllata dai Nuvoletta e dai Polverino, veniva piazzata in tir imbarcati per Palermo. A Brancaccio sono stati trovati depositi per lo stoccaggio della droga, che veniva tagliata, confezionata e passata alla rete di distribuzione. Ludovico Sansone e Antonino Lo Nigro, reggenti di Brancaccio per cosa nostra, avrebbero avallato il traffico.
Si sarebbe anche indagato su un tentativo di pressione da parte di questa associazione a delinquere nei confronti dei vigili urbani di Ficarazzi. In alcune intercettazioni ambientali Vincenzo Inzerra sarebbe intervenuto per cercare di bloccare il sequestro di un cantiere abusivo.
La lista dei destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare:
- Benedetto Albanese, 31 anni;
- Giuseppe Amato, 39 anni;
- Gaetano Baglione, 30 anni;
- Franco Barranco, 39 anni;
- Selma Ben Zammel, 23 anni;
- Salvatore Esposto Bertino, 43 anni;
- Paolo Bisconti, 33 anni;
- Gianfranco Cacioppo, 38 anni;
- Angelo Casano, 51 anni.
- Danilo Cascio, 32 anni;
- Francesca Caviglia, 40 anni;
- Placido Citarelli, 20 anni;
- Loriano Corsello, 45 anni;
- Fabio Cucina, 38 anni;
- Salvatore D'Alia, 31 anni;
- Pietro D'Angelo, 32 anni;
- Luigi D'Anna, 31 anni;
- Salvatore Di Fatta, 28 anni;
- Vincenza Di Maio, 29 anni;
- Olga Di Maria, 32 anni;
- Domenico Di Paola, 30 anni;
- Michele Drago, 25 anni;
- Mariano Flauto, 34 anni;
- Domenico Frangiamore, 21 anni;
- Enrico Gambino, 22 anni;
- Enrico Ganci, 33 anni;
- Gaetano Ganci, 41 anni;
- Giuseppe Gargano, 32 anni;
- Giovanni Ingrassia, 53 anni;
- Vincenzo Inzerra, 42 anni;
- Rita Ioppolo, 36 anni;
- Gianluca La Rosa, 21 anni;
- Antonino Lauricella, 30 anni;
- Luigi Li Vigni, 32 anni;
- Danilo Lo Nardo, 20 anni;
- Cristian Mannino, 19 anni;
- Antonino Mannino, 28 anni;
- Giovanni Mazzola, 30 anni;
- Leandro Mendola, 38 anni;
- Ignazio Miceli, 29 anni;
- Vincenzo Militello, 28 anni;
- Giovanni Montaperto, 34 anni;
- Filippo Paganello, 54 anni;
- Antonino Palazzoto, 22 anni;
- Domenico Parrino, 25 anni;
- Mario Pennino, 34 anni;
- Riccardo Prestigiacomo, 33 anni;
- Vincenzo Ribuffa, 22 anni;
- Matteo Rizzuto, 21 anni;
- Vincenzo Roccasecca, 22 anni;
- Giuseppa Romano, 50 anni;
- Gaetano Russo, 32 anni;
- Antonino Sancilles, 22 anni;
- Paolo Sancilles, 26 anni;
- Gregorio Sancilles, 28 anni;
- Vittorio Sancilles, 55 anni;
- Giuseppe Scardina, 34 anni;
- Vincenzo Scardina, 34 anni;
- Demis Silvia, 35 anni;
- Giusi Stella, 21 anni;
- Vincenzo Stracuzzi, 43 anni;
- Domenico Targia, 32 anni;
- Nunzio Terranova, 24 anni;
- Agostino Tiscrede, 35 anni;
- Pietro Tumminia, 22 anni;
- Salvatore Zarcone, 44 anni;
- S. L. M., 17 anni;
- V. R., 19 anni, minore all'epoca dei fatti.
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Cosa nostra
Gotha: Ordine mafioso
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai principali arresti.
Modello organizzativo della cosa nostra palermitana
Da un documento dattiloscritto trovato in possesso al Lo Piccolo al momento del suo arresto.
La famiglia é la organizzazione di base che ha il compito di controllare il territorio assegnatogli. Ogni operazione in quel territorio deve essere approvata dal capo famiglia.
Come è composta la famiglia.
Capo famiglia.
Sotto capo.
Consigliere.
Capo decina.
Soldati.
Il Capo famiglia si elegge votando tutti i membri della famiglia. Così come per il consigliere. Il Sotto Capo viene chiamato dal Capo famiglia. Così come pure il capo decina.
Le funzioni di ogni componente.
Il capo famiglia è colui che ci ha l'ultima parola. Il sotto capo fa le veci del capo famiglia in assenza del capo famiglia. Il consigliere ha il ruolo di tenere a tutti uniti in famiglia e di dare consigli per il bene della famiglia. I soldati sono coloro che si occupano sotto le direttive del capo decina per i far i bisogni della famiglia.
Questo schema é lo stesso che già avevano riferito svariati collaboratori di giustizia, da Tommaso Buscetta a Francesco Marino Mannoia, Mario Santo Di Matteo, Gioacchino La Barbera, Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè.
Si entra formalmente in una famiglia con un rito di iniziazione. Si chiede al nuovo affiliato con quale mano spara e gli si pratica un taglietto sul dito indice di quella mano. Con una goccia del suo sangue viene imbrattata una immagine sacra.
La formula di iniziazione: Giuro di essere fedele a cosa nostra, se dovessi tradire le mie carni devono bruciare - come brucia questa immagine.
Una volta diventato uomo d'onore lo si resta fino alla morte.
Prima del giuramento, il rappresentante della famiglia enumera le norme da seguire:
Divieti e doveri.
Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro – se non è
un terzo a farlo.
Non si guardano le mogli di amici nostri.
Non si fanno comparati con gli sbirri.
Non si frequentano né taverne e né circoli.
Si è il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a cosa nostra. Anche se ce la moglie che sta per partorire.
Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti.
Si ci deve portare rispetto alla moglie.
Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità.
Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie
Ci sono alcune condizioni che impediscono l'ingresso in cosa nostra:
Un parente stretto nelle varie forze dell'ordine.
Chi ha tradimenti sentimentali in famiglia.
Chi ha un comportamento pessimo – e che non tiene ai valori morali.
Per questo Stefano Bontate non accettava Antonino Rotolo, cognato di un vigile urbano.
Sono elencati i mandamenti che costituiscono cosa nostra, con le relative famiglie:
Di solito in capo mandamento é anche capo di una delle famiglie ma per motivi di conflitti di interesse i ruoli possono essere distinti.
La commissione ha lo scopo di mantenere una sorta di pax mafiosa tra le famiglie.
La commissione viene composta da tutti i capi mandamento. Dove poi si elegge il capo commissione più il sotto capo commissione più il segretario. Che è colui che si occupa degli appuntamenti della commissione.
Il ruolo della commissione.
E' costituita per esserci un equilibrio nelle famiglie e in Cosa Nostra. E per deliberare i fatti più delicati e le decisioni da prendere.
La struttura sembra la stessa dell'ottocento, come viene descritta da Giuseppe Alongi e
Antonino Cutrera o dal questore Ermanno Sangiorgi alla fine del 1898.
Melchiorre Allegra, nel 1937, descrive ancora l'organizzazione in termini molto simili, con famiglie, decine, elezione dei capi, rituali di ingresso, competenze territoriali e competenze di un organo di coordinamento tra le famiglie.
Ma sarebbe sbagliato pensare a cosa nostra come una struttura antiquata. Personaggio come Rotolo e Lo Piccolo dimostrano la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti, mescolando innovazione e tradizione.
Fonte: SOS Impresa
Modello organizzativo della cosa nostra palermitana
Da un documento dattiloscritto trovato in possesso al Lo Piccolo al momento del suo arresto.
La famiglia é la organizzazione di base che ha il compito di controllare il territorio assegnatogli. Ogni operazione in quel territorio deve essere approvata dal capo famiglia.
Come è composta la famiglia.
Capo famiglia.
Sotto capo.
Consigliere.
Capo decina.
Soldati.
Il Capo famiglia si elegge votando tutti i membri della famiglia. Così come per il consigliere. Il Sotto Capo viene chiamato dal Capo famiglia. Così come pure il capo decina.
Le funzioni di ogni componente.
Il capo famiglia è colui che ci ha l'ultima parola. Il sotto capo fa le veci del capo famiglia in assenza del capo famiglia. Il consigliere ha il ruolo di tenere a tutti uniti in famiglia e di dare consigli per il bene della famiglia. I soldati sono coloro che si occupano sotto le direttive del capo decina per i far i bisogni della famiglia.
Questo schema é lo stesso che già avevano riferito svariati collaboratori di giustizia, da Tommaso Buscetta a Francesco Marino Mannoia, Mario Santo Di Matteo, Gioacchino La Barbera, Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè.
Si entra formalmente in una famiglia con un rito di iniziazione. Si chiede al nuovo affiliato con quale mano spara e gli si pratica un taglietto sul dito indice di quella mano. Con una goccia del suo sangue viene imbrattata una immagine sacra.
La formula di iniziazione: Giuro di essere fedele a cosa nostra, se dovessi tradire le mie carni devono bruciare - come brucia questa immagine.
Una volta diventato uomo d'onore lo si resta fino alla morte.
Prima del giuramento, il rappresentante della famiglia enumera le norme da seguire:
Divieti e doveri.
Non ci si può presentare da soli ad un altro amico nostro – se non è
un terzo a farlo.
Non si guardano le mogli di amici nostri.
Non si fanno comparati con gli sbirri.
Non si frequentano né taverne e né circoli.
Si è il dovere in qualsiasi momento di essere disponibile a cosa nostra. Anche se ce la moglie che sta per partorire.
Si rispettano in maniera categorica gli appuntamenti.
Si ci deve portare rispetto alla moglie.
Quando si è chiamati a sapere qualcosa si dovrà dire la verità.
Non ci si può appropriare di soldi che sono di altri e di altre famiglie
Ci sono alcune condizioni che impediscono l'ingresso in cosa nostra:
Un parente stretto nelle varie forze dell'ordine.
Chi ha tradimenti sentimentali in famiglia.
Chi ha un comportamento pessimo – e che non tiene ai valori morali.
Per questo Stefano Bontate non accettava Antonino Rotolo, cognato di un vigile urbano.
Sono elencati i mandamenti che costituiscono cosa nostra, con le relative famiglie:
- San Mauro Castelverde;
- Trabia: Caccamo, Vicari, Rocca Palumba e altri;
- Bagheria: Villabate, Casteldaccia, Milizia;
- Belmonte Mezzagno: (...) Misilmeri;
- Brancaccio: Corso dei Mille, Roccella, Ciaculli;
- Santa Maria del Gesù: Villa Grazia di Palermo;
- Palermo Centro: Porta Nuova, Borgo Vecchio;
- Resuttana: Acquasanta e Arenella;
- Pagliarelli: Molara, Corso Calatafimi;
- Bocca di Falco: Uditore, Torretta;
- Cruillas : Noce, Altarelllo;
- Tommaso Natale: San Lorenzo, Partanna, Capaci, Carini, Cinisi, Terrasini;
- Partinico: Borgetto, Balestrate, Montelepre;
- San Giuseppe Jato: Morreale, Altofonte, San Cipirello;
- Corleone: Prizzi, Ficuzza.
Di solito in capo mandamento é anche capo di una delle famiglie ma per motivi di conflitti di interesse i ruoli possono essere distinti.
La commissione ha lo scopo di mantenere una sorta di pax mafiosa tra le famiglie.
La commissione viene composta da tutti i capi mandamento. Dove poi si elegge il capo commissione più il sotto capo commissione più il segretario. Che è colui che si occupa degli appuntamenti della commissione.
Il ruolo della commissione.
E' costituita per esserci un equilibrio nelle famiglie e in Cosa Nostra. E per deliberare i fatti più delicati e le decisioni da prendere.
La struttura sembra la stessa dell'ottocento, come viene descritta da Giuseppe Alongi e
Antonino Cutrera o dal questore Ermanno Sangiorgi alla fine del 1898.
Melchiorre Allegra, nel 1937, descrive ancora l'organizzazione in termini molto simili, con famiglie, decine, elezione dei capi, rituali di ingresso, competenze territoriali e competenze di un organo di coordinamento tra le famiglie.
Ma sarebbe sbagliato pensare a cosa nostra come una struttura antiquata. Personaggio come Rotolo e Lo Piccolo dimostrano la sua capacità di adattarsi ai cambiamenti, mescolando innovazione e tradizione.
Fonte: SOS Impresa
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Atti,
Cosa nostra
Gotha: Il summit di Giardinello
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai principali arresti.
Salvatore Lo Piccolo
Nel novembre 2007 é in corso un vertice mafioso in località Giardinello, non lontano da Palermo. In quattro stanno verificando le entrate provenienti dal pizzo estorto a centinaia di commercianti, professionisti e imprenditori di Palermo. Cinquemila euro al mese da un supermercato nel centro città, diecimila dalla ditta che effettua ristrutturazioni nel centro storico.
Un blitz della polizia interrompe la loro attività. Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo, viene arrestato dopo una latitanza durata 24 anni. Con lui sono arrestati anche il figlio Sandro già condannato all'ergastolo per omicidio, Adamo Andrea, genero di Giuseppe Savoca, capo del mandamento di Brancaccio, e Gaspare Pulizzi, della famiglia di Carini.
Il Lo Piccolo era considerato il candidato più vicino ad ottenere il comando di cosa nostra palermitana, dopo gli arresti di Provenzano e Rotolo. Era stato il braccio destro di Saro Riccobono, rappresentante della famiglia di Partanna-Mondello, attivo nel traffico internazionale di droga. Quando nel 1982 Riina decide di eliminare Riccobono, il Lo Piccolo passa con i corleonesi. Dopo l'arresto di Riina si avvicina a Bernardo Binnu Provenzano. Diventa un riferimento nell'organizzazione mafiosa palermitana e da San Lorenzo e Brancaccio si espande a controllare territori della provincia.
Antonino Rotolo sente la pressione del Lo Piccolo e dichiara più volte di volerlo eliminare. Si stima che il Lo Piccolo incassi cifre nell'ordine dei tre milioni di euro al mese tra affari legali e illegali. Vuole far riconquistare la predominanza mafiosa in Italia a cosa nostra, riconquistando il terreno ceduto alla camorra napoletana e all'ndrangheta calabrese. Per far ciò pensa di utilizzare i contatti con la cosa nostra americana, utilizzando i contatti con gli "scappati", gli sconfitti dalla guerra di mafia che ha visto vincenti i corleonesi. Ristabilisce i contatti con gli Inzerillo e i Gambino, appoggiandoli nella loro richiesta di poter tornare in Italia.
Ma gran parte di cosa nostra é contraria al suo progetto, giudicato in contrasto con le leggi fondanti della cosa nostra.
Fonte: SOS Impresa
Salvatore Lo Piccolo
Nel novembre 2007 é in corso un vertice mafioso in località Giardinello, non lontano da Palermo. In quattro stanno verificando le entrate provenienti dal pizzo estorto a centinaia di commercianti, professionisti e imprenditori di Palermo. Cinquemila euro al mese da un supermercato nel centro città, diecimila dalla ditta che effettua ristrutturazioni nel centro storico.
Un blitz della polizia interrompe la loro attività. Salvatore Lo Piccolo, boss di San Lorenzo, viene arrestato dopo una latitanza durata 24 anni. Con lui sono arrestati anche il figlio Sandro già condannato all'ergastolo per omicidio, Adamo Andrea, genero di Giuseppe Savoca, capo del mandamento di Brancaccio, e Gaspare Pulizzi, della famiglia di Carini.
Il Lo Piccolo era considerato il candidato più vicino ad ottenere il comando di cosa nostra palermitana, dopo gli arresti di Provenzano e Rotolo. Era stato il braccio destro di Saro Riccobono, rappresentante della famiglia di Partanna-Mondello, attivo nel traffico internazionale di droga. Quando nel 1982 Riina decide di eliminare Riccobono, il Lo Piccolo passa con i corleonesi. Dopo l'arresto di Riina si avvicina a Bernardo Binnu Provenzano. Diventa un riferimento nell'organizzazione mafiosa palermitana e da San Lorenzo e Brancaccio si espande a controllare territori della provincia.
Antonino Rotolo sente la pressione del Lo Piccolo e dichiara più volte di volerlo eliminare. Si stima che il Lo Piccolo incassi cifre nell'ordine dei tre milioni di euro al mese tra affari legali e illegali. Vuole far riconquistare la predominanza mafiosa in Italia a cosa nostra, riconquistando il terreno ceduto alla camorra napoletana e all'ndrangheta calabrese. Per far ciò pensa di utilizzare i contatti con la cosa nostra americana, utilizzando i contatti con gli "scappati", gli sconfitti dalla guerra di mafia che ha visto vincenti i corleonesi. Ristabilisce i contatti con gli Inzerillo e i Gambino, appoggiandoli nella loro richiesta di poter tornare in Italia.
Ma gran parte di cosa nostra é contraria al suo progetto, giudicato in contrasto con le leggi fondanti della cosa nostra.
Fonte: SOS Impresa
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Atti,
Cosa nostra
Arresto di Salvatore Caruso
Salvatore Turi Malavita Caruso, 46 anni, latitante, é stato arrestato a Catania mentre guidava per le vie del centro.
Caruso era sfuggito all'arresto il novembre scorso, durante l'operazione Revange. Si pensa stesse riorganizzando il clan Cappello dopo gli arresti che lo hanno falcidiato. Considerato il vice di Giovanni Colombrita, era l'ultimo elemento dei Cappello a livello direttivo rimasto libero.
Il filmato di tg24sky sulla vicenda:
Caruso era sfuggito all'arresto il novembre scorso, durante l'operazione Revange. Si pensa stesse riorganizzando il clan Cappello dopo gli arresti che lo hanno falcidiato. Considerato il vice di Giovanni Colombrita, era l'ultimo elemento dei Cappello a livello direttivo rimasto libero.
Il filmato di tg24sky sulla vicenda:
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Cosa nostra
Gotha: Il capanno di Rotolo /2
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai principali arresti.
Triumvirato
A fine 2004, la Squadra Mobile di Palermo si sente vicina a Bernardo Binnu Provenzano. Francesco Pastoia e Nicola Mandalà, figlio di Antonio, della famiglia di Villabate sono tenuti sotto stretta sorveglianza.
Nel 2003 Nicola Mandalà ha organizzato il viaggio a Marsiglia per permettere a Provenzano di operarsi in sicurezza. Francesco Campanella, amico di Nicola e consulente del sindaco di Villabate, ammette di aver messo a disposizione del boss il documento di identità falso che viene utilizzato.
Nicola Mandalà incontra spesso Giovanni Nicchi, il Nicchi si reca spesso nel residence di via Michelangelo a Palermo dove Antonino Rotolo sconta la sua detenzione domiciliare.
Nel gennaio 2005 Nicola Mandalà e Francesco Pastoia sono catturati nel corso dell'operazione Grande mandamento. Viene arrestato anche Mario Cusimano, amico del Mandalà, che inizia immediatamente a collaborare, raccontando di come il Mandalà comunicasse con Rotolo per mezzo del Nicchi.
Si intensificano i controlli nei confronti del Rotolo. Si scopre che a frequentare il residence sono anche Antonino Cinà, già medico di Salvatore Totò Riina, e Francesco Bonura, condannato nel primo maxi processo a cosa nostra in quanto membro della famiglia di Uditore, mandamento di Passo di Rigano.
Si intercettano le conversazioni tra Cinà e Bonura che spesso fanno riferimento al Rotolo.
Antonino Rotolo, membro di Pagliarelli, é da sempre dalla parte di Riina. Ha avuto una parte sostanziale, come killer spietato, nella guerra di mafia del 1979-1982. Era nel gruppo di fuoco che nell'aprile 1981 ha eliminato Stefano Bontate, capo mafioso che aveva puntato sulla contiguità con ambienti delle logge massoniche coperte per avvicinare referenti nella politica e nella economia.
Negli anni ottanta Rotolo é notato per la sua vicinanza a Giuseppe Pippo Calò - verranno arrestati insieme nel marzo 1985 - che fa affari anche con la banda della Magliana.
Tommaso Buscetta indica che i due erano al centro di un gigantesco traffico di droga. Il colpo grosso é un carico di due tonnellata di morfina base comprato dal turco Mussululu per circa 55 milioni di dollari che viene raffinato nei laboratori siciliani. Per i traffici sono state adattate le vie del contrabbando di tabacco, appoggiandosi ai camorristi Zaza, Nuvoletta e Bardellino.
Nel 1984 viene arrestato Paul Waridel e decide di collaborare con la giustizia. Ha avuto un ruolo sostanziale nel traffico e ne ricostruisce il funzionamento svelando il ruolo fondamentale del Rotolo.
Ma Rotolo ha anche una importante dimensione imprenditoriale. La Squadra Mobile di Palermo scopre nel 2006 una importante rete di prestanome e fiancheggiatori. Ne consegue un sequestro di circa 50 milioni di euro.
Nel settembre 2005 Rotolo legge un pizzino di Provenzano a Giuseppe Sansone: si tratta in pratica di una richiesta di creare un triumvirato, cosa nostra andrebbe diretta anche dal Rotolo e da Salvatore Lo Piccolo. Provenzano é latitante da oltre quaranta anni, é vecchio, malato. Molti dei suoi sodali, come Riina, Bagarella e Calò, sono al 41 bis; altri, come Giovanni Brusca, collaborano con la giustizia; altri ancora sono morti.
Rotolo parla tranquillamente, pensa di essere al sicuro. Invece lo stanno videoregistrando.
Fonte: SOS Impresa
Triumvirato
A fine 2004, la Squadra Mobile di Palermo si sente vicina a Bernardo Binnu Provenzano. Francesco Pastoia e Nicola Mandalà, figlio di Antonio, della famiglia di Villabate sono tenuti sotto stretta sorveglianza.
Nel 2003 Nicola Mandalà ha organizzato il viaggio a Marsiglia per permettere a Provenzano di operarsi in sicurezza. Francesco Campanella, amico di Nicola e consulente del sindaco di Villabate, ammette di aver messo a disposizione del boss il documento di identità falso che viene utilizzato.
Nicola Mandalà incontra spesso Giovanni Nicchi, il Nicchi si reca spesso nel residence di via Michelangelo a Palermo dove Antonino Rotolo sconta la sua detenzione domiciliare.
Nel gennaio 2005 Nicola Mandalà e Francesco Pastoia sono catturati nel corso dell'operazione Grande mandamento. Viene arrestato anche Mario Cusimano, amico del Mandalà, che inizia immediatamente a collaborare, raccontando di come il Mandalà comunicasse con Rotolo per mezzo del Nicchi.
Si intensificano i controlli nei confronti del Rotolo. Si scopre che a frequentare il residence sono anche Antonino Cinà, già medico di Salvatore Totò Riina, e Francesco Bonura, condannato nel primo maxi processo a cosa nostra in quanto membro della famiglia di Uditore, mandamento di Passo di Rigano.
Si intercettano le conversazioni tra Cinà e Bonura che spesso fanno riferimento al Rotolo.
Antonino Rotolo, membro di Pagliarelli, é da sempre dalla parte di Riina. Ha avuto una parte sostanziale, come killer spietato, nella guerra di mafia del 1979-1982. Era nel gruppo di fuoco che nell'aprile 1981 ha eliminato Stefano Bontate, capo mafioso che aveva puntato sulla contiguità con ambienti delle logge massoniche coperte per avvicinare referenti nella politica e nella economia.
Negli anni ottanta Rotolo é notato per la sua vicinanza a Giuseppe Pippo Calò - verranno arrestati insieme nel marzo 1985 - che fa affari anche con la banda della Magliana.
Tommaso Buscetta indica che i due erano al centro di un gigantesco traffico di droga. Il colpo grosso é un carico di due tonnellata di morfina base comprato dal turco Mussululu per circa 55 milioni di dollari che viene raffinato nei laboratori siciliani. Per i traffici sono state adattate le vie del contrabbando di tabacco, appoggiandosi ai camorristi Zaza, Nuvoletta e Bardellino.
Nel 1984 viene arrestato Paul Waridel e decide di collaborare con la giustizia. Ha avuto un ruolo sostanziale nel traffico e ne ricostruisce il funzionamento svelando il ruolo fondamentale del Rotolo.
Ma Rotolo ha anche una importante dimensione imprenditoriale. La Squadra Mobile di Palermo scopre nel 2006 una importante rete di prestanome e fiancheggiatori. Ne consegue un sequestro di circa 50 milioni di euro.
Nel settembre 2005 Rotolo legge un pizzino di Provenzano a Giuseppe Sansone: si tratta in pratica di una richiesta di creare un triumvirato, cosa nostra andrebbe diretta anche dal Rotolo e da Salvatore Lo Piccolo. Provenzano é latitante da oltre quaranta anni, é vecchio, malato. Molti dei suoi sodali, come Riina, Bagarella e Calò, sono al 41 bis; altri, come Giovanni Brusca, collaborano con la giustizia; altri ancora sono morti.
Rotolo parla tranquillamente, pensa di essere al sicuro. Invece lo stanno videoregistrando.
Fonte: SOS Impresa
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Atti,
Cosa nostra
Arresto di Giovanni Nicchi
Giovanni Nicchi é stato arrestato in una palazzina di via Filippo Juvara 25 a Palermo, era in compagnia di una coppia, anch'essi arrestati.
Nello stesso giorno é stato arrestato Gaetano Fidanzati. Entrambi erano nella lista dei 30 latitanti di massima pericolosità.
Secondo il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, "con la cattura di Nicchi possiamo dire che l'organizzazione mafiosa a Palermo è completamente allo sbando".
Nato a Torino il 16 febbraio 1981, figlio di un ergastolano, latitante da tre anni, quando sfuggì al blitz relativo all'operazione Gotha, nel cui processo ha subito una pesante condanna.
Almeno dal 2004 il Nicchi, detto anche 'u picciutteddu data la giovane età per il ruolo che ricopre, é tra i principali boss palermitani, come risulta dalle intercettazioni di quel periodo tra Antonino Nino Rotolo e affiliati collegati. Ad esempio sarebbe stato il Nicchi ad approvare la nomina di Nicola Ingarao alla reggenza di Porta Nuova. Avrebbe anche avuto una parte di rilievo nel supporto al ritorno degli scappati. L'FBI lo fotografò in compagnia di Frank Calì, boss di cosa nostra newyorkese.
Fonti: repubblica, corriere, rainews24
Nello stesso giorno é stato arrestato Gaetano Fidanzati. Entrambi erano nella lista dei 30 latitanti di massima pericolosità.
Secondo il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, "con la cattura di Nicchi possiamo dire che l'organizzazione mafiosa a Palermo è completamente allo sbando".
Nato a Torino il 16 febbraio 1981, figlio di un ergastolano, latitante da tre anni, quando sfuggì al blitz relativo all'operazione Gotha, nel cui processo ha subito una pesante condanna.
Almeno dal 2004 il Nicchi, detto anche 'u picciutteddu data la giovane età per il ruolo che ricopre, é tra i principali boss palermitani, come risulta dalle intercettazioni di quel periodo tra Antonino Nino Rotolo e affiliati collegati. Ad esempio sarebbe stato il Nicchi ad approvare la nomina di Nicola Ingarao alla reggenza di Porta Nuova. Avrebbe anche avuto una parte di rilievo nel supporto al ritorno degli scappati. L'FBI lo fotografò in compagnia di Frank Calì, boss di cosa nostra newyorkese.
Fonti: repubblica, corriere, rainews24
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Cosa nostra
Arresto di Gaetano Fidanzati
Gaetano Fidanzati, 75 anni, é stato arrestato in via Marghera a Milano. Era in compagnia del cognato in attesa di una terza persona. Era incluso nella lista dei 30 latitanti di massima pericolosità.
L'arresto segue di poco quello di Domenico Raccuglia e lo stesso giorno di quello di Giovanni Nicchi.
Un commento attribuito a un elemento dello SCO della Polizia: "Sono due scoppole serie e a questo punto non credo che ci siano altri in grado di gestire Cosa Nostra palermitana. Ora bisognerà vedere quali saranno le dinamiche che si svilupperanno e chi tenterà di prendere il posto dei latitanti arrestati. Ma allo stato non ci sono figure di spicco in grado di prevalere su altre."
La concomitanza con l'arresto di Giovanni Nicchi, secondo il capo della Mobile, sarebbe una casualità.
Tanino Fidanzati è il boss storico dell'Arenella. Il suo nome é stato spesso collegato a inchieste su traffici di droga in Italia e in USA. Ha una lunga relazione con Milano, dove avrebbe avuto consolidate relazioni con la delinquenza locale. Irreperibile dall'ottobre 2008 dopo la morte del pusher Giovanni Bucaro, convivente di sua figlia massacrato in un pestaggio a cinque per aver picchiato la donna. Nel dicembre 2008, venne raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare nell'ambito dell'operazione Perseo.
Nel maggio scorso era stato arrestato suo fratello, Stefano Fidanzati, anch'egli nel ramo del traffico di droga.
Fonti: repubblica, sole24ore, messaggero, apcom, ansa
L'arresto segue di poco quello di Domenico Raccuglia e lo stesso giorno di quello di Giovanni Nicchi.
Un commento attribuito a un elemento dello SCO della Polizia: "Sono due scoppole serie e a questo punto non credo che ci siano altri in grado di gestire Cosa Nostra palermitana. Ora bisognerà vedere quali saranno le dinamiche che si svilupperanno e chi tenterà di prendere il posto dei latitanti arrestati. Ma allo stato non ci sono figure di spicco in grado di prevalere su altre."
La concomitanza con l'arresto di Giovanni Nicchi, secondo il capo della Mobile, sarebbe una casualità.
Tanino Fidanzati è il boss storico dell'Arenella. Il suo nome é stato spesso collegato a inchieste su traffici di droga in Italia e in USA. Ha una lunga relazione con Milano, dove avrebbe avuto consolidate relazioni con la delinquenza locale. Irreperibile dall'ottobre 2008 dopo la morte del pusher Giovanni Bucaro, convivente di sua figlia massacrato in un pestaggio a cinque per aver picchiato la donna. Nel dicembre 2008, venne raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare nell'ambito dell'operazione Perseo.
Nel maggio scorso era stato arrestato suo fratello, Stefano Fidanzati, anch'egli nel ramo del traffico di droga.
Fonti: repubblica, sole24ore, messaggero, apcom, ansa
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Cosa nostra
Rapporto Censis mafie 2009
Spunti di riflessione tratti dal rapporto Censis "Il condizionamento delle mafie sull'economia, sulla società e sulle istituzioni del mezzogiorno" del settembre 2009.
Dal capitolo 1: la forza pervasiva della criminalità organizzata.
Le risultanze giudiziarie e i dati a disposizione mostrano come oggi si sia di
fronte:
Dal capitolo 2: la crescita dei luoghi e dei reati della criminalità organizzata di stampo mafioso.
La criminalità organizzata rappresenta senza ombra di dubbio una zavorra che grava pesantemente sullo sviluppo sociale ed economico del Meridione:
La Calabria risulta essere la regione in cui la densità di reati è più elevata, con ben 160,8 reati denunciati ogni centomila abitanti [media Italia: 45,2].
[Si conferma che] la mano della criminalità organizzata si sia spinta ben oltre i confini del Meridione, andando ad interessare tutte le aree del paese. In particolare, un numero consistente di denunce risulta in Lombardia e nel Lazio, dove si contano, rispettivamente, 2.796 e 2.535 reati ascrivibili al crimine organizzato (...) situazioni particolarmente critiche in quelle aree che confinano con i territori sede delle organizzazioni criminali: nel Molise i reati di criminalità organizzata crescono dell’82,6%, nel Lazio del 61,5%, in Abruzzo del 48,6%.
Dal capitolo 3: la paura delle imprese
Nonostante la presenza di diversi fattori che impediscono lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno, è fuor di dubbio che la presenza della criminalità organizzata agisca come un ulteriore importante ostacolo. Le organizzazioni mafiose, infatti, scoraggiano gli investimenti produttivi da parte dei privati; contribuiscono al mantenimento di un'immagine negativa a livello nazionale ed internazionale; costituiscono un incentivo alla fuga di risorse umane qualificate; esportano i proventi delle loro attività illecite in altre zone tramite reinvestimenti e riciclaggio di denaro; provocano un'allocazione non razionale delle risorse sostituendo le loro logiche alle logiche di mercato e, non da ultimo, alimentano la crescita dell'economia illegale e sommersa.
Gli stessi imprenditori ammettono (...) che la presenza della criminalità organizzata influisce sul libero svolgimento delle attività imprenditoriali.
Dal capitolo 4: trasparenza della pubblica amministrazione e cultura della legalità
La società, di fronte all’inefficienza del sistema, ricerca un canale preferenziale di accesso ai servizi, ed il settore pubblico ne trae vantaggio utilizzando il controllo dell'accesso ai servizi come leva per accrescere e consolidare il potere di alcuni e rendere la fruibilità dei servizi condizionata da meccanismi del tutto discrezionali.
Si pensi che, secondo una ricerca Censis sulle Motivazioni e i contenuti delle scelte di voto nelle elezioni politiche 2008, circa un quarto degli italiani dichiara di essersi rivolto ad un politico per la soluzione di un problema. Un dato significativo, considerato che a questo valore andrebbe aggiunta la quota di quanti non hanno ritenuto opportuno rivelare un comportamento di questo tipo.
Non a caso i dati precedentemente citati sulla tendenza a far ricorso alla raccomandazione da parte di politici, assumono valori ancora più significativi se si considerano solo le Regioni del Sud. Infatti, se in Italia, come detto, circa un quarto degli intervistati afferma di aver ricercato l'intercessione di un politico per la risoluzione di un problema, nelle regioni del Sud è ben un terzo (32,4%) ad averlo fatto, ed il confronto si fa ancora più significativo se effettuato con gli intervistati residenti nelle regioni del Nord Ovest, che dichiarano di avervi fatto ricorso solo nel 12,9% del casi.
Una spesa sanitaria elevata, soprattutto per personale e servizi ospedalieri, cui non corrisponde un livello di prestazioni adeguato: è questo, in estrema sintesi, il quadro che si ricava da una analisi dei dati sulla sanità nel Meridione, e, in particolare, nelle quattro regioni in cui è più forte la presenza della criminalità organizzata.
Le strutture sanitarie spesso divengono i mezzi che la criminalità organizzata utilizza per perseguire i propri scopi illeciti, per cui:
(...) lo scioglimento della ASL Napoli 4 con sede a Pomigliano d'Arco, la prima Azienda Sanitaria Locale sciolta per la presenza di "concordanti elementi di condizionamento camorristico"
Anche il comune di Gallipoli, in Puglia, è stato sciolto in seguito alla dimostrazione del condizionamento del Consiglio comunale da parte di cosche mafiose locali, che aveva portato, tra l’altro, all'assegnazione di appalti di servizi per l’USL Lecce 13 alle ditte del clan Capoti.
(... ) l'indagine convenzionalmente nota come "Processo delle talpe" che ha portato allo scoperto alcune condotte criminose, tra cui quella di truffa aggravata in danno della ASL 6 di Palermo per l'illecita riscossione di rimborsi non dovuti per circa 80 miliardi di lire e la collusione con alti esponenti di cosa nostra del magnate della sanità di Bagheria, Michele Aiello, che avrebbe ottenuto esorbitanti finanziamenti pubblici per le sue aziende, soprattutto per la clinica privata Villa Santa Teresa.
Dal capitolo 5: il deficit di fiducia e di coesione all'interno della società
Nel Sud d'Italia i rapporti di reciprocità tra gli individui e la partecipazione si mantengono e si saldano su un piano prevalentemente orizzontale, interno ai gruppi di appartenenza, per cui vi è una forte condivisione e collaborazione tra pari (gli amici, i parenti, i vicini di casa) che, però, non si eleva oltre gli interessi privati e particolari.
Prevale un atteggiamento che alcuni studiosi del Mezzogiorno hanno definito come "familismo amorale", che porta a ricercare i massimi vantaggi materiali e immediati per il proprio nucleo familiare di appartenenza, dando per scontato che tutti gli altri componenti della società si comportino allo stesso modo, e non si occupino di quello che rappresenta il bene comune.
Dall'indagine svolta in Campania nel 2008 emerge che ben l'83% della popolazione pensa che normalmente in politica e nelle attività pubbliche non ci si possa fidare degli altri; quasi all'unanimità (93,2%) gli intervistati concordano, poi, sul fatto che i politici pensino più al loro interesse o a quello del loro partito che all'interesse pubblico.
È evidente come questo sentimento di sfiducia dominante costituisca un ulteriore capitale simbolico su cui possono far leva le organizzazioni criminali per accreditarsi come gli unici soggetti affidabili.
Dalle conclusioni
A pesare sul Meridione oltre alla debolezza del sistema imprenditoriale, alla scarsa coesione interna, all'assenza di una classe dirigente all'altezza di governare i processi amministrativi, si aggiunge la presenza delle organizzazioni criminali che si sono inserite, spesso mimetizzandosi, in tutti i settori della vita economica e sociale e che condizionano fortemente le possibilità di sviluppo e di crescita del territorio.
Criminalità e affarismo costituiscono la principale zavorra per lo sviluppo meridionale perché, oltre a deprimere l'etica e la legalità collettiva inducendo i cittadini a pensare che esistono scorciatoie illegali attraverso le quali è possibili raggiungere qualsiasi fine, distorcono i mercati (delle merci, del lavoro...) creando monopoli di fatto e bloccano l'iniziativa di chi opera nella regolarità.
Non esiste, evidentemente, una ricetta vincente per sconfiggere la criminalità; senza dubbio un sistema normativo e di contrasto che si prefigga, in primo luogo, di sottrarre ai mafiosi i patrimoni illecitamente accumulati è fondamentale per ridurre il potere e la pervasività mafiosa; ma è anche fondamentale un’azione di rinnovamento profondo della classe dirigente locale e di forte sensibilizzazione della popolazione ai temi della legalità e del rispetto delle regole: perché nei territori dove c’è la criminalità organizzata bisogna intervenire presto sulle coscienze quando ancora non si sono formate, perché dopo potrebbe essere troppo tardi.
Fonte: Censis
Dal capitolo 1: la forza pervasiva della criminalità organizzata.
Le risultanze giudiziarie e i dati a disposizione mostrano come oggi si sia di
fronte:
- ad un radicamento del tessuto criminale nei territori di tradizionale appartenenza;
- all'estensione dei traffici e dei luoghi di interesse della criminalità organizzata, per cui aumentano i settori e le modalità di intervento, non sempre immediatamente riconoscibili né come criminali né come illegali; e si estendono anche a territori esterni alle quattro regioni tradizionalmente colpite;
- al comparire di cartelli stranieri specializzati nei business criminali da globalizzazione, quindi in tutti i traffici internazionali da quelli di droga, a quelli di armi, a quelli di persone.
Dal capitolo 2: la crescita dei luoghi e dei reati della criminalità organizzata di stampo mafioso.
La criminalità organizzata rappresenta senza ombra di dubbio una zavorra che grava pesantemente sullo sviluppo sociale ed economico del Meridione:
- dal punto di vista economico scoraggia la libera iniziativa; altera il mercato e i meccanismi della concorrenza; crea monopoli basati sull'intimidazione e l'interesse privato; dissemina paura; determina sprechi, inefficienze, scelte sbagliate;
- dal punto di vista sociale genera il consenso di pochi e l'acquiescenza di molti che, per quieto vivere, per interesse o per paura, preferiscono far finta di non vedere e perfino sottostare alle richieste dei criminali, piuttosto che denunciare e schierarsi apertamente contro di essi.
La Calabria risulta essere la regione in cui la densità di reati è più elevata, con ben 160,8 reati denunciati ogni centomila abitanti [media Italia: 45,2].
[Si conferma che] la mano della criminalità organizzata si sia spinta ben oltre i confini del Meridione, andando ad interessare tutte le aree del paese. In particolare, un numero consistente di denunce risulta in Lombardia e nel Lazio, dove si contano, rispettivamente, 2.796 e 2.535 reati ascrivibili al crimine organizzato (...) situazioni particolarmente critiche in quelle aree che confinano con i territori sede delle organizzazioni criminali: nel Molise i reati di criminalità organizzata crescono dell’82,6%, nel Lazio del 61,5%, in Abruzzo del 48,6%.
Dal capitolo 3: la paura delle imprese
Nonostante la presenza di diversi fattori che impediscono lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno, è fuor di dubbio che la presenza della criminalità organizzata agisca come un ulteriore importante ostacolo. Le organizzazioni mafiose, infatti, scoraggiano gli investimenti produttivi da parte dei privati; contribuiscono al mantenimento di un'immagine negativa a livello nazionale ed internazionale; costituiscono un incentivo alla fuga di risorse umane qualificate; esportano i proventi delle loro attività illecite in altre zone tramite reinvestimenti e riciclaggio di denaro; provocano un'allocazione non razionale delle risorse sostituendo le loro logiche alle logiche di mercato e, non da ultimo, alimentano la crescita dell'economia illegale e sommersa.
Gli stessi imprenditori ammettono (...) che la presenza della criminalità organizzata influisce sul libero svolgimento delle attività imprenditoriali.
Dal capitolo 4: trasparenza della pubblica amministrazione e cultura della legalità
La società, di fronte all’inefficienza del sistema, ricerca un canale preferenziale di accesso ai servizi, ed il settore pubblico ne trae vantaggio utilizzando il controllo dell'accesso ai servizi come leva per accrescere e consolidare il potere di alcuni e rendere la fruibilità dei servizi condizionata da meccanismi del tutto discrezionali.
Si pensi che, secondo una ricerca Censis sulle Motivazioni e i contenuti delle scelte di voto nelle elezioni politiche 2008, circa un quarto degli italiani dichiara di essersi rivolto ad un politico per la soluzione di un problema. Un dato significativo, considerato che a questo valore andrebbe aggiunta la quota di quanti non hanno ritenuto opportuno rivelare un comportamento di questo tipo.
Non a caso i dati precedentemente citati sulla tendenza a far ricorso alla raccomandazione da parte di politici, assumono valori ancora più significativi se si considerano solo le Regioni del Sud. Infatti, se in Italia, come detto, circa un quarto degli intervistati afferma di aver ricercato l'intercessione di un politico per la risoluzione di un problema, nelle regioni del Sud è ben un terzo (32,4%) ad averlo fatto, ed il confronto si fa ancora più significativo se effettuato con gli intervistati residenti nelle regioni del Nord Ovest, che dichiarano di avervi fatto ricorso solo nel 12,9% del casi.
Una spesa sanitaria elevata, soprattutto per personale e servizi ospedalieri, cui non corrisponde un livello di prestazioni adeguato: è questo, in estrema sintesi, il quadro che si ricava da una analisi dei dati sulla sanità nel Meridione, e, in particolare, nelle quattro regioni in cui è più forte la presenza della criminalità organizzata.
Le strutture sanitarie spesso divengono i mezzi che la criminalità organizzata utilizza per perseguire i propri scopi illeciti, per cui:
- politici ad essa collegati vengono collocati alla guida degli apparati istituzionali;
- il forte potenziale di occupazione del settore viene sfruttato per assicurare posti di lavoro attraverso rapporti di tipo clientelare;
- i fondi per le spese sanitarie vengono intercettati dalle organizzazioni criminali;
- gli appalti per i servizi sono oggetto dell’aggressione delle cosche.
(...) lo scioglimento della ASL Napoli 4 con sede a Pomigliano d'Arco, la prima Azienda Sanitaria Locale sciolta per la presenza di "concordanti elementi di condizionamento camorristico"
Anche il comune di Gallipoli, in Puglia, è stato sciolto in seguito alla dimostrazione del condizionamento del Consiglio comunale da parte di cosche mafiose locali, che aveva portato, tra l’altro, all'assegnazione di appalti di servizi per l’USL Lecce 13 alle ditte del clan Capoti.
(... ) l'indagine convenzionalmente nota come "Processo delle talpe" che ha portato allo scoperto alcune condotte criminose, tra cui quella di truffa aggravata in danno della ASL 6 di Palermo per l'illecita riscossione di rimborsi non dovuti per circa 80 miliardi di lire e la collusione con alti esponenti di cosa nostra del magnate della sanità di Bagheria, Michele Aiello, che avrebbe ottenuto esorbitanti finanziamenti pubblici per le sue aziende, soprattutto per la clinica privata Villa Santa Teresa.
Dal capitolo 5: il deficit di fiducia e di coesione all'interno della società
Nel Sud d'Italia i rapporti di reciprocità tra gli individui e la partecipazione si mantengono e si saldano su un piano prevalentemente orizzontale, interno ai gruppi di appartenenza, per cui vi è una forte condivisione e collaborazione tra pari (gli amici, i parenti, i vicini di casa) che, però, non si eleva oltre gli interessi privati e particolari.
Prevale un atteggiamento che alcuni studiosi del Mezzogiorno hanno definito come "familismo amorale", che porta a ricercare i massimi vantaggi materiali e immediati per il proprio nucleo familiare di appartenenza, dando per scontato che tutti gli altri componenti della società si comportino allo stesso modo, e non si occupino di quello che rappresenta il bene comune.
Dall'indagine svolta in Campania nel 2008 emerge che ben l'83% della popolazione pensa che normalmente in politica e nelle attività pubbliche non ci si possa fidare degli altri; quasi all'unanimità (93,2%) gli intervistati concordano, poi, sul fatto che i politici pensino più al loro interesse o a quello del loro partito che all'interesse pubblico.
È evidente come questo sentimento di sfiducia dominante costituisca un ulteriore capitale simbolico su cui possono far leva le organizzazioni criminali per accreditarsi come gli unici soggetti affidabili.
Dalle conclusioni
A pesare sul Meridione oltre alla debolezza del sistema imprenditoriale, alla scarsa coesione interna, all'assenza di una classe dirigente all'altezza di governare i processi amministrativi, si aggiunge la presenza delle organizzazioni criminali che si sono inserite, spesso mimetizzandosi, in tutti i settori della vita economica e sociale e che condizionano fortemente le possibilità di sviluppo e di crescita del territorio.
Criminalità e affarismo costituiscono la principale zavorra per lo sviluppo meridionale perché, oltre a deprimere l'etica e la legalità collettiva inducendo i cittadini a pensare che esistono scorciatoie illegali attraverso le quali è possibili raggiungere qualsiasi fine, distorcono i mercati (delle merci, del lavoro...) creando monopoli di fatto e bloccano l'iniziativa di chi opera nella regolarità.
Non esiste, evidentemente, una ricetta vincente per sconfiggere la criminalità; senza dubbio un sistema normativo e di contrasto che si prefigga, in primo luogo, di sottrarre ai mafiosi i patrimoni illecitamente accumulati è fondamentale per ridurre il potere e la pervasività mafiosa; ma è anche fondamentale un’azione di rinnovamento profondo della classe dirigente locale e di forte sensibilizzazione della popolazione ai temi della legalità e del rispetto delle regole: perché nei territori dove c’è la criminalità organizzata bisogna intervenire presto sulle coscienze quando ancora non si sono formate, perché dopo potrebbe essere troppo tardi.
Fonte: Censis
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Gotha: Il capanno di Rotolo /1
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai principali arresti:
Antonino Rotolo
Le intercettazioni ambientali sono una precoccupazione di Antonino Rotolo. Come tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, detto anche il fantasma di Corleone, conosce bene che le cimici hanno dato un contributo fondamentale, tra gli altri, agli arresti di:
Studia perciò un sistema che crede sicuro: nessun contatto telefonico; un protocollo da seguire per ottenere il contatto; l'uso di un congegno elettronico per disturbare le onde radio; un pallone piazzato all'esterno come segnale di semaforo rosso; un interruttore all'interno del box che faceva accendere una nell'abitazione di Rotolo per indicare l'arrivo dell'ospite; un cane addestrato a segnalare la presenza di persone nei pressi del box.
Certo di non essere intercettato parla con traquillità, in questo caso con Francesco Bonura:
BONURA: Ma cos’è? Caso mai suonano?
ROTOLO: No, questo è per registrare quello che dici
BONURA: Vero, che cos'è, che ti chiamano e tu sei pronto
ROTOLO: Ora te lo dico(...) Questo, praticamente, qua dentro né entra né esce, con questo
BONURA: Ma che mi dici?
ROTOLO: Eh, sì sì
BONURA: E per avere uno strumento di questo che devo fare?
ROTOLO: Eh, lo hanno fatto apposta, c'è ... glielo dovrei dire
BONURA: Se è possibile
ROTOLO: È costruito, infatti ma io
BONURA: Di più che se lo mette in una stanza e se deve dire qualche cosa ...
ROTOLO: Però poi, l'ambiente deve essere piccolo
BONURA: In un camerino (ride)
Un giorno col Bonura e con Antonino Cinà dice di rifiutare l'idea di un triunvirato con Salvatore e Sandro Lo Piccolo, proposta da Provenzano. Non vuole che gli Inzerillo, già condannati a morte dalla cupola negli anni ottanta vengano reinseriti nella cosa nostra. Nell'aprile 2005 Rotolo e Cinà commentano la morte di Papa Giovanni Paolo II, lo considerano un grande del XX secolo ma ricordano come nella Valle dei Templi, nel 1993, il Papa aveva ricordato a chi aveva ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che "verrà il giudizio di Dio". "La mentalità e l’organizzazione mafiosa sono espressione di una minoranza che disonora questa terra e ne mortifica le potenzialità" e per Rotolo quelle parole avevano offeso l'onore di tutti i siciliani.
Fonte: SOS Impresa
Antonino Rotolo
Le intercettazioni ambientali sono una precoccupazione di Antonino Rotolo. Come tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, detto anche il fantasma di Corleone, conosce bene che le cimici hanno dato un contributo fondamentale, tra gli altri, agli arresti di:
- Pino Lipari, collettore di tangenti e intermediario con esponenti politici;
- Tommaso Cannella, boss di Prizzi e gestore di appalti truccati;
- Giuseppe Guttadauro, capo mafia della famiglia di Brancaccio, già aiuto primario di
- Chirurgia, intercettato nel salotto di casa mentre parlava di estorsioni, traffico di droga ma poi anche di scenari politici con Domenico Miceli, assessore alla Sanità del comune di Palermo.
Studia perciò un sistema che crede sicuro: nessun contatto telefonico; un protocollo da seguire per ottenere il contatto; l'uso di un congegno elettronico per disturbare le onde radio; un pallone piazzato all'esterno come segnale di semaforo rosso; un interruttore all'interno del box che faceva accendere una nell'abitazione di Rotolo per indicare l'arrivo dell'ospite; un cane addestrato a segnalare la presenza di persone nei pressi del box.
Certo di non essere intercettato parla con traquillità, in questo caso con Francesco Bonura:
BONURA: Ma cos’è? Caso mai suonano?
ROTOLO: No, questo è per registrare quello che dici
BONURA: Vero, che cos'è, che ti chiamano e tu sei pronto
ROTOLO: Ora te lo dico(...) Questo, praticamente, qua dentro né entra né esce, con questo
BONURA: Ma che mi dici?
ROTOLO: Eh, sì sì
BONURA: E per avere uno strumento di questo che devo fare?
ROTOLO: Eh, lo hanno fatto apposta, c'è ... glielo dovrei dire
BONURA: Se è possibile
ROTOLO: È costruito, infatti ma io
BONURA: Di più che se lo mette in una stanza e se deve dire qualche cosa ...
ROTOLO: Però poi, l'ambiente deve essere piccolo
BONURA: In un camerino (ride)
Un giorno col Bonura e con Antonino Cinà dice di rifiutare l'idea di un triunvirato con Salvatore e Sandro Lo Piccolo, proposta da Provenzano. Non vuole che gli Inzerillo, già condannati a morte dalla cupola negli anni ottanta vengano reinseriti nella cosa nostra. Nell'aprile 2005 Rotolo e Cinà commentano la morte di Papa Giovanni Paolo II, lo considerano un grande del XX secolo ma ricordano come nella Valle dei Templi, nel 1993, il Papa aveva ricordato a chi aveva ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che "verrà il giudizio di Dio". "La mentalità e l’organizzazione mafiosa sono espressione di una minoranza che disonora questa terra e ne mortifica le potenzialità" e per Rotolo quelle parole avevano offeso l'onore di tutti i siciliani.
Fonte: SOS Impresa
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Atti,
Cosa nostra
Gotha: Maurizio Di Gati
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai collaboratori di giustizia:
Maurizio Di Gati
Il Di Gati ha fornito contributi sui gruppi mafiosi operanti nel girgentino dall'inizio degli anni novanta sino ad epoca recente.
É rimasto latitante dal gennaio del 1999, quando venne coinvolto nella seconda operazione Akragas, al novembre del 2006, quando concorda la sua consegna ai carabinieri. A quel tempo era già stato condannato con sentenza irrevocabile per la sua partecipazione a cosa nostra. É imputato nel processo Alta mafia in quanto rappresentate di cosa nostra della provincia di Agrigento, ed é imputato per estorsione aggravata in altro procedimento.
Di Gati dice di essere entrato nella famiglia di Racalbuto per vendicare la morte del fratello Diego avvenuta nel luglio del 1991 nella guerra tra cosa nostra e la stidda, prendendo contatti con Salvatore Fragapane, Giuseppe Fanfara, Vincenzo Licata e altri. La sua affiliazione formale avviene solo nel marzo 1997, quando già svolgeva compiti di rappresentante provinciale.
Nel giugno del 2001, dopo l'arresto di Giuseppe Vetro, rappresentante ufficiale della famiglia di Agrigento, arrivò l'indicazione del Di Gati a quella carica, si dice in seguito a una riunione avvenuta tra Bernardo Provenzano, Antonino Giuffrè e Benedetto Spera. Avrebbe mantenuto quella carica, nonostante le proteste di Giuseppe Falzone, fino al luglio 2002, giorno del blitz di Santa Margherita Belice in cui vennero catturati i rappresentanti dei mandamenti della provincia di Agrigento.
Molti suoi contributi sulle dinamiche interne di cosa nostra e i contatti di Bernardo Provenzano trovano riscontro nelle dichiarazioni di Antonino Giuffrè.
Le sue dichiarazioni sui rapporti con Nino Rotolo e Gianni Nicchi trovano conferme in intercettazioni e nelle dichiarazioni di Francesco Campanella e Mario Cusimano.
Le sue dichiarazioni vengono considerate generalmente e intrisecamente attendibili.
Fonte: SOS Impresa
Maurizio Di Gati
Il Di Gati ha fornito contributi sui gruppi mafiosi operanti nel girgentino dall'inizio degli anni novanta sino ad epoca recente.
É rimasto latitante dal gennaio del 1999, quando venne coinvolto nella seconda operazione Akragas, al novembre del 2006, quando concorda la sua consegna ai carabinieri. A quel tempo era già stato condannato con sentenza irrevocabile per la sua partecipazione a cosa nostra. É imputato nel processo Alta mafia in quanto rappresentate di cosa nostra della provincia di Agrigento, ed é imputato per estorsione aggravata in altro procedimento.
Di Gati dice di essere entrato nella famiglia di Racalbuto per vendicare la morte del fratello Diego avvenuta nel luglio del 1991 nella guerra tra cosa nostra e la stidda, prendendo contatti con Salvatore Fragapane, Giuseppe Fanfara, Vincenzo Licata e altri. La sua affiliazione formale avviene solo nel marzo 1997, quando già svolgeva compiti di rappresentante provinciale.
Nel giugno del 2001, dopo l'arresto di Giuseppe Vetro, rappresentante ufficiale della famiglia di Agrigento, arrivò l'indicazione del Di Gati a quella carica, si dice in seguito a una riunione avvenuta tra Bernardo Provenzano, Antonino Giuffrè e Benedetto Spera. Avrebbe mantenuto quella carica, nonostante le proteste di Giuseppe Falzone, fino al luglio 2002, giorno del blitz di Santa Margherita Belice in cui vennero catturati i rappresentanti dei mandamenti della provincia di Agrigento.
Molti suoi contributi sulle dinamiche interne di cosa nostra e i contatti di Bernardo Provenzano trovano riscontro nelle dichiarazioni di Antonino Giuffrè.
Le sue dichiarazioni sui rapporti con Nino Rotolo e Gianni Nicchi trovano conferme in intercettazioni e nelle dichiarazioni di Francesco Campanella e Mario Cusimano.
Le sue dichiarazioni vengono considerate generalmente e intrisecamente attendibili.
Fonte: SOS Impresa
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Atti,
Cosa nostra
Gotha: Francesco Campanella
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai collaboratori di giustizia:
Francesco Campanella
Il suo contributo in questo processo riguarda in particolare i rapporti di Giovanni Nicchi e Antonino Rotolo con Nicola e Antonino Mandalà, con riferimento alla latitanza di Bernardo Provenzano, ai traffici di stupefacenti e alle dinamiche interne di cosa nostra.
Del Campanella si parla nella sentenza del processo Grande Mandamento, dove si dice che, incensurato, lavorava come bancario a Villabate, era titolare di una ditta individuale attiva nella promozione di servizi finanziari e collaborava con una ditta palermitana di servizi alle imprese. Le indagini lo avevano accreditato come referente dei Mandalà nel Comune di Villabate, ove era attivo dal 1994, fino ad assumere la carica di Presidente del Consiglio Comunale.
In numerose conversazioni tra il Campanella e Nicola Mandalà si evince come egli fosse uomo di fiducia dei Mandalà e come abbia agevolato gli appartenenti alla famiglia mafiosa nelle sue operazioni bancarie, arrivando anche a gestire indipendentemente i fondi della famiglia.
Il provvedimento di fermo che ha colpito nel gennaio 2005 ben 52 elementi accusati di associazione mafiosa non lo ha colpito, pur essendo tra i sottoposti ad indagine. Nel settembre si é presentato spontaneamente ai Carabinieri di Villabate dichiarando di essere disposto a collaborare in quanto temeva per la propria vita e quella dei suoi familiari.
"ma guardi, io la sera del 25 gennaio, che è la sera del blitz, ho ricevuto questa perquisizione e certamente è un fatto che mi ha scosso tantissimo (...) la cosa che mi ha colpito di più è anche la sofferenza e l'atteggiamento di mia moglie che, per dirne una, è stata per due mesi senza riuscire a dormire (...) È cominciata a crescere in me una volontà, diciamo, di rigetto rispetto a tutto questo mondo (...) comincio a non... a tagliare i ponti con tutta questa gente e con tutto questo mondo, perché da gennaio in poi io, per esempio, non frequento più nessuno di questi personaggi, Antonino Mandalà... qualcuno lo frequento, per motivi legati alla mia professione, perché venivano in banca, per esempio Mimmo Pitarresi ho continuato a frequentare, ma per ragioni di ordine... legate al mio lavoro. (...) due weekend prima del 25 gennaio, eravamo con Mandalà al casinò di Saint Vincent ed io notavo visibilmente che lui era preoccupato da qualche problema, sapeva perfettamente che di lì a poco lo avrebbero arrestato. Me lo disse e mi disse di non avere preoccupazioni, perché lui aveva pensato a sistemare tutto e che lasciava, comunque, suo padre a gestire e comandare, sicuramente nel territorio di Villabate e che, per qualsiasi problema, io mi sarei dovuto rivolgere a suo padre; cosa che io non ho fatto il 26 gennaio, per cui da lì comincia un minimo di... come dire, non saprei come chiamarla (...) Mimmo Pitarresi (...) ripetutamente mi chiede “come vanno le cose? Che succede con Enterprise? Chi è il tuo avvocato di fiducia? Perché non ti vedi con Nino?” (...) mi arriva il decreto di revoca del porto d'armi (...) per cui sono costretto ad andare in caserma, dal Maresciallo Caldareri, (...) in quegli anni, che vanno dal '94 in poi, lo avevo sempre visto come un nemico (...) chiedo scusa (...) comincio a raccontare alcuni fatti e da lì, poi, nasce l’interrogatorio di aprile. Però, diciamo che ancora il mio spirito di collaborazione non era assolutamente totale, (...) ci sono tutta una serie di incompletezze, di fatti non celati, di fatti raccontati male, di fatti anche di menzogne (...) perché comunque io avevo un atteggiamento un attimino di protezione e difesa (...) in me c'è anche (...) una crescita interiore, relativamente ad un rapporto anche con Dio, la morte del Papa, tutta una serie di cose che (...) mi portavano a vergognarmi di tutto quello che avevo fatto ed a considerare che avevo passato... avevo dedicato la mia intelligenza e la mia professionalità a favore della mafia e della politica corrotta (...) E comunque ad aprile non ci sono riuscito appieno, non ho avuto il coraggio di andare avanti, di dichiarare le mie colpe, di collaborare appieno (...) anche è cresciuta in me la consapevolezza di tutto quello che avevo fatto, soprattutto anche relativamente alle questioni della banca, i clienti, a tutta questa gente che continuava a venire e che io continuavo a prendere in giro, avendo adesso la consapevolezza che non avevo più dove andare, perché non avevo più né Mandalà che mi proteggeva da un lato (...) Antonino Mandalà ha fatto, praticamente, un minimo di teatro e di recita, dicendo che non sapeva nulla, ma le sue parole, sostanzialmente, sono state: “ma perché vieni ad aprile? Perché stai venendo adesso? Cosa vuoi da me? Da dove sei venuto, vattene, da dove vuoi prendere, prendi”; per cui anche se avessi voluto ritornare da loro, per essere aiutato, sostanzialmente, era una strada che non potevo percorrere più e quindi, oltre alle ansie, anche le paure, insomma, tutto questo è cresciuto. (...) venerdì nasce il primo vero grande problema, relativo ad uno dei clienti, che comincia ad avere diffidenza sulle carte e mi dice al telefono che sarebbe andato in banca, (...) sarebbe crollato il mondo (...) mi restava soltanto il dubbio della mia famiglia, (...) ho convocato le persone a cui tengo di più (...) mio padre, mia madre, mio fratello e mia moglie (...) ho confessato tutto (...) ho detto, “vado in galera, mi vado a costituire, perché credo che sia la cosa più opportuna”; e così ho fatto, (...) ho soltanto confessato la parte più drammatica, che poi era questa parte legata alla banca, lasciando tutti esterrefatti ed in lacrime, mi sono cambiato e mi sono presentato alla Caserma dei Carabinieri."
Il Campanella si è assunto la piena responsabilità di numerosi fatti, in particolare ha confermato di aver procurato la carta d'identità falsa necessaria a Provenzano per recarsi in Francia, come dichiarato dal Cusimano, ha spontaneamente ammesso la sua vicinanza ai vertici della famiglia di Villabate.
Un esempio di interrogatorio ritenuto significativo, in quanto riscontrato da dichiarazioni del Cusimano:
FC: Giovanni Nicchi, è quella persona di cui ho parlato, che mi è stata presentata con deferenza dal Mandalà (...) per l'apertura del conto corrente e poi il Billitteri mi ha raccontato il fatto che sono andati in negozio con Nicola Mandalà che gli ha regalato dei vestii per un ammontare di circa un migliaio di Euro e poi l'ho rivisto ultimamente perché accompagnato dal Colletti per la chiusura del conto (...) dopo gennaio 2005.
P.M.: Sa di dov'è questo Giovanni Nicchi?
FC: Zona Corso Calatafimi.
Il giudizio sulla sua attendibilità intrinseca viene considerato positivo.
Fonte: SOS Impresa
Francesco Campanella
Il suo contributo in questo processo riguarda in particolare i rapporti di Giovanni Nicchi e Antonino Rotolo con Nicola e Antonino Mandalà, con riferimento alla latitanza di Bernardo Provenzano, ai traffici di stupefacenti e alle dinamiche interne di cosa nostra.
Del Campanella si parla nella sentenza del processo Grande Mandamento, dove si dice che, incensurato, lavorava come bancario a Villabate, era titolare di una ditta individuale attiva nella promozione di servizi finanziari e collaborava con una ditta palermitana di servizi alle imprese. Le indagini lo avevano accreditato come referente dei Mandalà nel Comune di Villabate, ove era attivo dal 1994, fino ad assumere la carica di Presidente del Consiglio Comunale.
In numerose conversazioni tra il Campanella e Nicola Mandalà si evince come egli fosse uomo di fiducia dei Mandalà e come abbia agevolato gli appartenenti alla famiglia mafiosa nelle sue operazioni bancarie, arrivando anche a gestire indipendentemente i fondi della famiglia.
Il provvedimento di fermo che ha colpito nel gennaio 2005 ben 52 elementi accusati di associazione mafiosa non lo ha colpito, pur essendo tra i sottoposti ad indagine. Nel settembre si é presentato spontaneamente ai Carabinieri di Villabate dichiarando di essere disposto a collaborare in quanto temeva per la propria vita e quella dei suoi familiari.
"ma guardi, io la sera del 25 gennaio, che è la sera del blitz, ho ricevuto questa perquisizione e certamente è un fatto che mi ha scosso tantissimo (...) la cosa che mi ha colpito di più è anche la sofferenza e l'atteggiamento di mia moglie che, per dirne una, è stata per due mesi senza riuscire a dormire (...) È cominciata a crescere in me una volontà, diciamo, di rigetto rispetto a tutto questo mondo (...) comincio a non... a tagliare i ponti con tutta questa gente e con tutto questo mondo, perché da gennaio in poi io, per esempio, non frequento più nessuno di questi personaggi, Antonino Mandalà... qualcuno lo frequento, per motivi legati alla mia professione, perché venivano in banca, per esempio Mimmo Pitarresi ho continuato a frequentare, ma per ragioni di ordine... legate al mio lavoro. (...) due weekend prima del 25 gennaio, eravamo con Mandalà al casinò di Saint Vincent ed io notavo visibilmente che lui era preoccupato da qualche problema, sapeva perfettamente che di lì a poco lo avrebbero arrestato. Me lo disse e mi disse di non avere preoccupazioni, perché lui aveva pensato a sistemare tutto e che lasciava, comunque, suo padre a gestire e comandare, sicuramente nel territorio di Villabate e che, per qualsiasi problema, io mi sarei dovuto rivolgere a suo padre; cosa che io non ho fatto il 26 gennaio, per cui da lì comincia un minimo di... come dire, non saprei come chiamarla (...) Mimmo Pitarresi (...) ripetutamente mi chiede “come vanno le cose? Che succede con Enterprise? Chi è il tuo avvocato di fiducia? Perché non ti vedi con Nino?” (...) mi arriva il decreto di revoca del porto d'armi (...) per cui sono costretto ad andare in caserma, dal Maresciallo Caldareri, (...) in quegli anni, che vanno dal '94 in poi, lo avevo sempre visto come un nemico (...) chiedo scusa (...) comincio a raccontare alcuni fatti e da lì, poi, nasce l’interrogatorio di aprile. Però, diciamo che ancora il mio spirito di collaborazione non era assolutamente totale, (...) ci sono tutta una serie di incompletezze, di fatti non celati, di fatti raccontati male, di fatti anche di menzogne (...) perché comunque io avevo un atteggiamento un attimino di protezione e difesa (...) in me c'è anche (...) una crescita interiore, relativamente ad un rapporto anche con Dio, la morte del Papa, tutta una serie di cose che (...) mi portavano a vergognarmi di tutto quello che avevo fatto ed a considerare che avevo passato... avevo dedicato la mia intelligenza e la mia professionalità a favore della mafia e della politica corrotta (...) E comunque ad aprile non ci sono riuscito appieno, non ho avuto il coraggio di andare avanti, di dichiarare le mie colpe, di collaborare appieno (...) anche è cresciuta in me la consapevolezza di tutto quello che avevo fatto, soprattutto anche relativamente alle questioni della banca, i clienti, a tutta questa gente che continuava a venire e che io continuavo a prendere in giro, avendo adesso la consapevolezza che non avevo più dove andare, perché non avevo più né Mandalà che mi proteggeva da un lato (...) Antonino Mandalà ha fatto, praticamente, un minimo di teatro e di recita, dicendo che non sapeva nulla, ma le sue parole, sostanzialmente, sono state: “ma perché vieni ad aprile? Perché stai venendo adesso? Cosa vuoi da me? Da dove sei venuto, vattene, da dove vuoi prendere, prendi”; per cui anche se avessi voluto ritornare da loro, per essere aiutato, sostanzialmente, era una strada che non potevo percorrere più e quindi, oltre alle ansie, anche le paure, insomma, tutto questo è cresciuto. (...) venerdì nasce il primo vero grande problema, relativo ad uno dei clienti, che comincia ad avere diffidenza sulle carte e mi dice al telefono che sarebbe andato in banca, (...) sarebbe crollato il mondo (...) mi restava soltanto il dubbio della mia famiglia, (...) ho convocato le persone a cui tengo di più (...) mio padre, mia madre, mio fratello e mia moglie (...) ho confessato tutto (...) ho detto, “vado in galera, mi vado a costituire, perché credo che sia la cosa più opportuna”; e così ho fatto, (...) ho soltanto confessato la parte più drammatica, che poi era questa parte legata alla banca, lasciando tutti esterrefatti ed in lacrime, mi sono cambiato e mi sono presentato alla Caserma dei Carabinieri."
Il Campanella si è assunto la piena responsabilità di numerosi fatti, in particolare ha confermato di aver procurato la carta d'identità falsa necessaria a Provenzano per recarsi in Francia, come dichiarato dal Cusimano, ha spontaneamente ammesso la sua vicinanza ai vertici della famiglia di Villabate.
Un esempio di interrogatorio ritenuto significativo, in quanto riscontrato da dichiarazioni del Cusimano:
FC: Giovanni Nicchi, è quella persona di cui ho parlato, che mi è stata presentata con deferenza dal Mandalà (...) per l'apertura del conto corrente e poi il Billitteri mi ha raccontato il fatto che sono andati in negozio con Nicola Mandalà che gli ha regalato dei vestii per un ammontare di circa un migliaio di Euro e poi l'ho rivisto ultimamente perché accompagnato dal Colletti per la chiusura del conto (...) dopo gennaio 2005.
P.M.: Sa di dov'è questo Giovanni Nicchi?
FC: Zona Corso Calatafimi.
Il giudizio sulla sua attendibilità intrinseca viene considerato positivo.
Fonte: SOS Impresa
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