Dalla sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo 2009 presso la corte di assise di Foggia.
L'omicidio di Michele Tarantino contestato a Costantino Folla, Gennaro Giovanditto e Franco Li Bergolis.
Michele Tarantino è stato ucciso il 30 marzo del 2001 a San Nicandro Garganico con numerosi colpi di arma da fuoco. Secondo l'accusa responsabili del fatto sarebbero stati Costantino Smarzoccl Folla, Gennaro Giovanditto, Franco Li Bergolis e Michele Santoro.
Il Folla avrebbe attirato la vittima fuori dalla sala giochi in cui si trovava, gli altri avrebbero materialmente eseguito ed organizzato il reato.
Le modalità dell'esecuzione facevano indirizzare le indagini verso i "montanari", un'altra possibilità era quella della vendetta in relazione alla faida tra i Tarantino e i Ciavarrella.
Nonostante che il fatto fosse avvenuto nel centro abitato e che gli esecutori abbiano agito prendendosi il loro tempo, ricaricando i fucili per colpire con molteplici colpi la vittima, non si individuavano testimoni oculari.
Nemmeno Giovanni Vocino, che rimaneva ferito nell'agguato, portava alcun elemento utile all'indagine e viene considerato reticente.
Le indagini portarono a far ritenere che la vittima partecipasse ad un traffico di stupefacenti assieme allo zio Carmine (ucciso in modo analogo nel dicembre 2002) e Giovanni (ucciso nel marzo 2002). Dichiarazioni di Michele Di Monte, cugino della vittima, anch'egli ucciso mentre era in corso il dibattimento in oggetto, portavano a indirizzare l'attenzione degli investigatori verso Gennaro Giovanditto, in quanto ci sarebbero stati alterchi tra i due.
Al fine dell'interpretazione delle intercettazioni si fa notare come i Tarantino erano chiamati correntemente vuccucedd.
Secondo la madre della vittima il Folla, amico della vittima che lei non ritiene responsabile del fatto, le avrebbe detto che aveva chiamato il Tarantino fuori dalla sala giochi perché i due volevano partecipare a un convegno su animali. Lo aveva lasciato per allontanarsi in macchina assieme al padre, Pierino, e a tale Pasquale 'u ricchione. Inoltre, la madre dichiarava di aver saputo dal figlio della disputa tra lui e Jennaro scalfone, ovvero il Giovanditto, pare sorta in seguito ad un furto di auto e al fatto che il Giovanditto sarebbe stato separato di fatto dalla moglie, Anna Manzo, avesse una relazione con la cognata, e accusasse la vittima di avere una relazione con sua moglie. Secondo lei, dopo la morte di suo figlio, il Giovanditto si sarebbe riappacificato con la moglie e anche con Giovanni Tarantino. Ritiene inoltre che il Giovanditto abbia eliminato anche Carmine e Luigi Tarantino.
Anna Bocale, moglie di Carmine Tarantino, riferisce di aver saputo dal marito che il Giovanditto avrebbe ucciso la vittima a causa della relazione che questi aveva avuto con Anna Manzo.
Gionatan Gravina, pur essendo presente nel locale e dichiarando di conoscere la vittima, non riporta alcun elemento utile e viene considerato reticente.
Collaboratori di giustizia
Antonio Pizzarelli conosceva la vittima sin da piccolo, in quanto vicino di casa e conoscente del padre, Giuseppe Tarantino detto l'ergastolano. Inizialmente i Tarantino erano egemonici in Sannicandro Garganico e Cagnano Varano, ma in seguito erano sorti contrasti in relazione al traffico di droga e alla gestione delle estorsioni con i Li Bergolis. Secondo lui l'omicidio sarebbe stato compiuto dal Giovanditto e da Armando e Franco Li Bergolis. La fonte di queste informazioni sarebbe Pietro Centonza, braccio destro di Matteo Ciavarrella.
Le sue dichiarazioni in questo contesto non vengono considerate credibili in quanto mancanti di riscontri e basata su voci riportate.
Secondo Rosa Lidia Di Fiore i Tarantino erano convinti che a colpire fosse stato il Giovanditto a causa della relazione della vittima con Anna Manzo. Avrebbe avuto conferma della relazione da Matteo Ciavarrella.
Le intercettazioni
In questo colloquio tra Carmine Tarantino e Antonio puciacchio Daniele parlano di quelli che sarebbero i motivi dell'omicidio:
Carmine: (...) la buon'anima di Michele stava la uagliona scocchiata con il marito e andava con la sorella (...)
Antonio: con la sorella della moglie?
Carmine: con la sorella della moglie, andava con la sorella
Antonio: sarebbe la moglie con quello che sta lui insieme
Carmine: di Giuann, di Giuann
Antonio: oh, mbè
Carmine: andava alla masseria, una battuta tirava l'altra. Alla merla è piaciuto il merlo
Antonio: eh
Carmine: hai capito, il ragazzo era pure prestante (...) eh, alla merla è piaciuto il merlo, e l'ha acchiappato dentro la casa
Antonio: lui (...) scalfone, che mò è l'ex moglie di diciamo quella (... )la moglie quella che non vive insieme
Carmine: no non stanno insieme
Antonio: ah bè
Carmine: allora automaticamente lui, lo scemo, la voleva frecare di palate, la moglie davanti a Michele
Antonio: eh mbè
Carmine: Michele, piglia l'ha fatto nuovo nuovo
Antonio: l'ha menato a lui
Carmine: ah poi l'ha menato un'altra volta, l'ha menato un'altra volta
Antonio: a scalfone, e si è difeso?
Carmine: eh no, quello non si è difeso per niente
Antonio: ha chiamato i montanari?
Carmine: ha chiamato i montanari
I Tarantino avrebbero ritenuto il Giovanditto responsabile principale del fatto e sarebbero stati pronti a vendicarsi, temendo inoltre di essere pedinati da Giuseppe De Cato, detto Peppino Campanella e indicato come uomo di fiducia del Giovanditto.
Da ulteriori intercettazioni si evince il coinvolgimento del Giovanditto, non si può dire lo stesso però per Franco Li Bergolis, per il quale non si sono trovate prove significative e inequivocabili a carico che viene assolto con formula dubitativa per non aver commesso il fatto.
Anche il Folla va assolto dal reato in esame in quanto gli indizi raccolti non sono considerati sufficienti per affermarne la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.
Fonte: Studio Legale Vaira
Gotha: Mario Cusimano
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai collaboratori di giustizia:
Mario Cusimano
Il suo contributo a Gotha riguarda in particolare i rapporti di Giovanni Nicchi e Antonino Rotolo con Nicola Mandalà e Antonino Mandalà, con riferimento ai soggetti che garantivano la latitanza di Bernardo Provenzano, al progetto di traffici di stupefacenti e alle dinamiche interne di cosa nostra.
Come si legge nella sentenza del processo Grande Mandamento, il Cusimano ha
gestito per conto di Nicola Mandalà, e quindi della famiglia di Villabate, attività nel campo dei giochi e delle scommesse sportive a Villabate e a Palermo, e anche un giro di scommesse clandestine. Dalla data del suo arresto, il 25 gennaio 2005, s'é mostrato disposto alla collaborazione, e ha fornito un notevole apporto, facendo luce, tra l'altro, su dettagli del supporto logistico offerto a Bernardo Provenzano quando si é recato in Francia per delle cure mediche. Tra l'altro ha narrato come Francesco Campanella, già presidente del consiglio comunale di Villabate, avrebbe apposto il timbro del Comune sul falso documento utilizzato dal Provenzano nell'occasione.
Ha subito ammesso di essere vicino alla famiglia di Villabate, e a Nicola Mandalà in particolare, riferendo vicende della famiglia, come il contrasto tra Antonino Mandalà, padre di Nicola, e i Montalto, emerso in particolare in occasione della campagna elettorale per l'elezione del sindaco di Villabate, i Mandalà appoggiavano un loro parente, Navetta, candidato di Forza Italia, mentre i Montalto appoggiavano il candidato avverso. O i contrasti tra Nino Mandalà e Montalto Francesco (in quel
momento rappresentante mafioso di Villabate) e suo zio Vincenzo Montalto.
Ha raccontato dei contatti tra Ezio Fontana, il Mandalà e il Provenzano, e come fosse nato un rapporto molto stretto tra il Mandalà e Francesco Ciccio Pastoia. Come pure dell'attività nel traffico di droga di Nicola Mandalà ed Ezio Fontana.
Ha parlato degli incontri tra Nino Rotolo di Pagliarelli, con il Mandalà, procurati da Giovanni Nicchi.
A proposito dell'omicidio Geraci ha riferito di aver saputo dal Mandalà che la decisione era stata presa "dallo stesso Mandalà, da Francesco Pastoia e da Nino Rotolo, in una serie di incontri sia bilaterali che a tre, questi ultimi tenutisi presso l'abitazione del Rotolo che era in detenzione domiciliare."
Sui traffici di droga ha fatto dichiarazioni come la seguente: "In Venezuela vi era un progetto di Nicola Mandalà e Nino Rotolo per realizzare un grosso carico di cocaina a 5 mila euro al chilo, al quale era interessato anche Ezio Fontana."
Da queste dichiarazioni si evince che il Cusimano ha svolto un ruolo attivo fino al momento del suo fermo, è soggetto particolarmente accreditato perché stato vicino al vertice della famiglia di Villabate e anche al Provenzano.
Si sottolinea che le dichiarazioni del Cusimano, considerate logiche e coerenti, sono state confermate da quelle di Francesco Campanella; si sono positivamente
inserite nei risultati della attività investigativa; hanno trovato puntuale riscontro nelle conversazioni intercettate e negli esiti dei pedinamenti.
Si valutano quindi come altamente attendibili i contributi di Mario Cusimano.
Fonte: SOS Impresa
Mario Cusimano
Il suo contributo a Gotha riguarda in particolare i rapporti di Giovanni Nicchi e Antonino Rotolo con Nicola Mandalà e Antonino Mandalà, con riferimento ai soggetti che garantivano la latitanza di Bernardo Provenzano, al progetto di traffici di stupefacenti e alle dinamiche interne di cosa nostra.
Come si legge nella sentenza del processo Grande Mandamento, il Cusimano ha
gestito per conto di Nicola Mandalà, e quindi della famiglia di Villabate, attività nel campo dei giochi e delle scommesse sportive a Villabate e a Palermo, e anche un giro di scommesse clandestine. Dalla data del suo arresto, il 25 gennaio 2005, s'é mostrato disposto alla collaborazione, e ha fornito un notevole apporto, facendo luce, tra l'altro, su dettagli del supporto logistico offerto a Bernardo Provenzano quando si é recato in Francia per delle cure mediche. Tra l'altro ha narrato come Francesco Campanella, già presidente del consiglio comunale di Villabate, avrebbe apposto il timbro del Comune sul falso documento utilizzato dal Provenzano nell'occasione.
Ha subito ammesso di essere vicino alla famiglia di Villabate, e a Nicola Mandalà in particolare, riferendo vicende della famiglia, come il contrasto tra Antonino Mandalà, padre di Nicola, e i Montalto, emerso in particolare in occasione della campagna elettorale per l'elezione del sindaco di Villabate, i Mandalà appoggiavano un loro parente, Navetta, candidato di Forza Italia, mentre i Montalto appoggiavano il candidato avverso. O i contrasti tra Nino Mandalà e Montalto Francesco (in quel
momento rappresentante mafioso di Villabate) e suo zio Vincenzo Montalto.
Ha raccontato dei contatti tra Ezio Fontana, il Mandalà e il Provenzano, e come fosse nato un rapporto molto stretto tra il Mandalà e Francesco Ciccio Pastoia. Come pure dell'attività nel traffico di droga di Nicola Mandalà ed Ezio Fontana.
Ha parlato degli incontri tra Nino Rotolo di Pagliarelli, con il Mandalà, procurati da Giovanni Nicchi.
A proposito dell'omicidio Geraci ha riferito di aver saputo dal Mandalà che la decisione era stata presa "dallo stesso Mandalà, da Francesco Pastoia e da Nino Rotolo, in una serie di incontri sia bilaterali che a tre, questi ultimi tenutisi presso l'abitazione del Rotolo che era in detenzione domiciliare."
Sui traffici di droga ha fatto dichiarazioni come la seguente: "In Venezuela vi era un progetto di Nicola Mandalà e Nino Rotolo per realizzare un grosso carico di cocaina a 5 mila euro al chilo, al quale era interessato anche Ezio Fontana."
Da queste dichiarazioni si evince che il Cusimano ha svolto un ruolo attivo fino al momento del suo fermo, è soggetto particolarmente accreditato perché stato vicino al vertice della famiglia di Villabate e anche al Provenzano.
Si sottolinea che le dichiarazioni del Cusimano, considerate logiche e coerenti, sono state confermate da quelle di Francesco Campanella; si sono positivamente
inserite nei risultati della attività investigativa; hanno trovato puntuale riscontro nelle conversazioni intercettate e negli esiti dei pedinamenti.
Si valutano quindi come altamente attendibili i contributi di Mario Cusimano.
Fonte: SOS Impresa
Etichette:
Atti,
Cosa nostra
Gotha: Antonino Giuffré
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo. Parte dedicata ai collaboratori di giustizia:
Antonino Giuffrè
Il suo contributo al processo Gotha riguarda in particolare i rapporti di Antonino Rotolo con Bernardo Provenzano, con riferimento ai soggetti che garantivano la latitanza di Provenzano e alle dinamiche interne di cosa nostra.
Come si legge nella sentenza del processo Grande Mandamento, il Giuffrè, arrestato il 16 aprile 2002, era ricercato in quanto condannato in via definitiva la sua partecipazione con funzioni direttive a cosa nostra e in quanto destinatario di numerosi provvedimenti restrittivi della libertà.
Inizialmente sarebbe stato un semplice gregario di Francesco Intile, ma ha fatto carriera per diventare infine capo del mandamento di Caccamo ed elemento di spicco di tutta cosa nostra.
Le intercettazioni delineavano il ruolo dal Giuffrè quale punto di riferimento decisionale per tutti i componenti delle famiglie mafiose operanti nella zona. Ciò lo ha portato a intrattenere significativi contatti assidui e personali con gli altri elementi di vertice dell'organizzazione. Già le prime valutazioni portavano ad accreditare il suo ruolo di capomafia e braccio operativo di Provenzano.
In una intercettazione si sentiva Giuseppe Lipari parlare di una riunione del vertice di cosa nostra, su argomenti di valore strategico, alla quale avevano partecipato, tra gli altri, lo stesso Lipari, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera e il Giuffrè.
La collaborazione del Giuffrè é cominciata il 19 giugno 2002, e ha portato alla piena confessione di numerosi e gravissimi fatti, per molti dei quali non era neppure sottoposto a indagine e ha fornito preziosissime indicazioni sugli equilibri di vertice e le dinamiche di cosa nostra.
Le dichiarazioni rese da Antonino Giufrè sono state considerate nei procedimenti che hanno riguardato Salvatore Rinella, Giuseppe Guttadauro, i fratelli Francesco e Placido Pravatà, i fratelli Antonino e Saverio Maranto, i fratelli Domenico e Rodolfo Virga; lo stesso nel processo per l'omicidio dei fratelli Sceusa; e pure nel processo nei confronti di Pietro Aglieri ed altri.
Si conclude che le sue dichiarazioni sono considerate attendibili in elevatissimo grado.
Antonino Giuffrè
Il suo contributo al processo Gotha riguarda in particolare i rapporti di Antonino Rotolo con Bernardo Provenzano, con riferimento ai soggetti che garantivano la latitanza di Provenzano e alle dinamiche interne di cosa nostra.
Come si legge nella sentenza del processo Grande Mandamento, il Giuffrè, arrestato il 16 aprile 2002, era ricercato in quanto condannato in via definitiva la sua partecipazione con funzioni direttive a cosa nostra e in quanto destinatario di numerosi provvedimenti restrittivi della libertà.
Inizialmente sarebbe stato un semplice gregario di Francesco Intile, ma ha fatto carriera per diventare infine capo del mandamento di Caccamo ed elemento di spicco di tutta cosa nostra.
Le intercettazioni delineavano il ruolo dal Giuffrè quale punto di riferimento decisionale per tutti i componenti delle famiglie mafiose operanti nella zona. Ciò lo ha portato a intrattenere significativi contatti assidui e personali con gli altri elementi di vertice dell'organizzazione. Già le prime valutazioni portavano ad accreditare il suo ruolo di capomafia e braccio operativo di Provenzano.
In una intercettazione si sentiva Giuseppe Lipari parlare di una riunione del vertice di cosa nostra, su argomenti di valore strategico, alla quale avevano partecipato, tra gli altri, lo stesso Lipari, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera e il Giuffrè.
La collaborazione del Giuffrè é cominciata il 19 giugno 2002, e ha portato alla piena confessione di numerosi e gravissimi fatti, per molti dei quali non era neppure sottoposto a indagine e ha fornito preziosissime indicazioni sugli equilibri di vertice e le dinamiche di cosa nostra.
Le dichiarazioni rese da Antonino Giufrè sono state considerate nei procedimenti che hanno riguardato Salvatore Rinella, Giuseppe Guttadauro, i fratelli Francesco e Placido Pravatà, i fratelli Antonino e Saverio Maranto, i fratelli Domenico e Rodolfo Virga; lo stesso nel processo per l'omicidio dei fratelli Sceusa; e pure nel processo nei confronti di Pietro Aglieri ed altri.
Si conclude che le sue dichiarazioni sono considerate attendibili in elevatissimo grado.
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Atti,
Cosa nostra
Iscaro-Saburo: Santoro e Barbarino
Dalla sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo 2009 presso la corte di assise di Foggia.
Il tentato omicidio di Michele Santoro e Andrea Barbarino contestato a Giuseppe Manzella.
Secondo l'accusa il Manzella avrebbe sparato con intento omicida, usando un fucile calibro 12, il 2 ottobre 2000 a Manfredonia, in concorso con Matteo Ferrandino e Matteo Mangini (entrambi in seguito assassinati) e con altre persone non identificate, ad Andrea Barbarino e a Michele Santoro.
Le accuse hanno base nelle intercettazioni effettuate nella automobile in uso a Franco Li Bergolis.
In questo stralcio di dialogo tra Franco e Matteo Li Bergolis e apparirebbe come i due abbiano identificato lo sparatore, e qui vedano suo cugino:
Franco: lo vedi il cugino di quello che ha sparato a compà Michele, con i jeans blu?
Matteo: il biondino?
Franco: no, non lo guardare
Matteo: il biondino?
Franco: sì
Matteo: fai ... fai ... fai un altro giro, fammelo guardare bene com'é
Franco: lo dobbiamo scannare moh che dopo
Matteo: si, ohu ... non dire in questa macchina ... France' (...)
Franco: gira da qua, là é controsenso ... se si butta qualche stupido a tutta raffica e mi schiaffa qualche "taccarata" poi veramente lo devo scannare ... eh
Matteo: tu dici che e' stato quello là proprio?
Franco: (...) ha visto bene a compà Michele ... diciamo ... lui se lo immaginava che era ... però poi quando l'abbiamo ... l'ha visto di persona mi ha detto: "non mi posso sbagliare, lui è ... lui è" ... eh, se ne sarà andato ... fammi vedere ... se n'è andato ... se n'è andato.
Da quest'altro stralcio di dialogo tra Franco Li Bergolis e Michele Santoro emergerebbe che il Santoro ha individuato i due autori del tentato omicidio:
Li Bergolis: ma lo sai che vanno ... l'hanno arrestato a quello?
Santoro: ma chi é?
Li Bergolis: il socio di Sansone (soprannome della famiglia Manzella)
Santoro: ah
Li Bergolis: Spiriptul ... Gino
(...)
Santoro: quel ragazzo sta troppo spaventato ...
Li Bergolis: chi é?
Santoro: Andrea?
Li Bergolis: Andrea? ... e com'é?
Santoro: sta spaventato quel ragazzo ... da quando (...) 'sto fatto a me
(...)
Santoro: quel ragazzo sta spaventato hai visto? quel ragazzo sta spaventato ... però io a quel ragazzo non lo posso acchiappare, non gli posso dire niente, perché pure se lo acchiappo, quello lo sa ... "la macchinetta che hanno rubato a chi è che gliel'hai data? ... a chi é che avete preso la macchinetta?" ... a quello non lo puoi dire, hai capito? ... ecco perché allora posso acchiappare questo amico di Mangini, quello sa ... hai capito? perché loro sanno
(...)
Li Bergolis: ci dobbiamo dare un poco una mossa
Santoro: meh ... devono dire chi é che ha preso la macchina e a chi gliel'hanno data la macchina
Li Bergolis: può essere stato quello alto e fermo ... chi é che ha fatto quel servizio ... eppure tu sei convinto che lui ... quel Mangini ... quello se lo stringiamo alla zenna senza che se gli facciamo niente ...
Santoro: sì, sì
Li Bergolis: ... quello canta tutte le cose
(...)
Li Bergolis: a Matteo ieri gliel'ho fatto vedere quel ragazzo
Santoro: sì, l'ha visto ma non ... ma compa' Matteo non li tiene presente ... quelli li devi guardare sempre in faccia i cornuti (...) quell'altro che tiene ... che vende le cozze, quello sa il fatto ... quello sa per filo e per segno, perché in quel periodo se la facevano sempre insieme (...) però a questi qua tu non gli puoi dire niente, perché se vengono fatti qualche cosa e dici una parola a quelli, ti vengono a prendere come un fesso, io perché non gli ho detto niente e non gli ho alzato una mano, ma lo sai in corpo a me che ci sta?
Li Bergolis: io detto che così non ci voglio stare ... dobbiamo vedere di aprire qualche cosa, 'ste onoranze funebri ... rimaniamo solo noi
Santoro: Santo Matteo
Li Bergolis: (sorride) ... ci apriamo un coso di onoranze funebri? ... se dobbiamo fare qualche servizio, gli rimaniamo pure il bigliettino ... "rivolge ...";
Santoro: (sorride)
Li Bergolis: (sorride) ... ohu, "rivolgetevi qua per il funerale" ... compare ci danno ... ci danno ottant'anni ciascuno, ci danno
Ancora più espliciti i due in questo stralcio:
Santoro: e io a quello che mi ha fatto il dispetto, a quello lo devo (...) sta Gesù Cristo, che moh che lo prendo io con le mani, no con gli altri fatti ... lo devo scannare con le mani
Li Bergolis: io lo conosco ... moh deve venire pure ... moh ... moh é la volta che dobbiamo stare attenti
Santoro Michele: no, é la volta che deve stare attento pure lui
Li Bergolis: però lo senti a compà Mario, dice: "lasciamoli perdere" ... tu poi glielo devi dire sia a Mimino che a Salvatore
Santoro: quando?
Li Bergolis: devi dire: "raga', voi fatevi tutti quanti i fatti nostri, acchiappate i nipoti nostri e fategli fare i fatti loro" ... ma quello ... quello che ci é venuto a fare il fatto, quello deve morire
E questo stralcio sarebbe quello che identifica con certezza il Manzella:
Santoro: (...) che cazzo fa ... hai visto perché hanno salutato i Mangini? ... che io ho detto: "ragà, quelli stanno macchiati" ... no, quelli stavano là all'ospedale, che sono venuti all'ospedale a me cacano il cazzo, quelli sono venuti a vedere se eravamo morti o no
(...)
Li Bergolis: Matteo pure stava?
Santoro: eh
Li Bergolis: allora é come dici tu, sono andati alla casa del nonno là ... perché quello é il figlio, quello che dice che ha fatto il servizio a te
Santoro: sì
Li Bergolis: il fratello proprio di ...
Santoro Michele: sì, sì
Li Bergolis: ... Salvatore
Santoro: io a quello lo devo scannare
Li Bergolis: questo ... quello era un poco ... quello mi sono accorto io che quello é stato sempre un poco malandrino, tiene una ... tiene una Punto decappottabile ... gialla pure mi sembra che é (...) quella faccia di merda ... mi sembra che é il fratello più grande questo qua
Santoro: é sposato?
Li Bergolis: in Germania ... é un poco come il nipote, hai visto?, biondo, non é come Salvatore (...) bisogna avvisarlo allora compare Mario, compare Mario (...) sì, perché io lo conosco, perché quello io l'ho sempre visto, che quello é stato sempre un figlio di zoccola, il malandrino faceva ... hai capito?
Il Manzella ha affermato di essere completamente estraneo ai fatti e di aver scoperto solo successivamente mediante i giornali di essere stato coinvolto nel tentato omicidio di Michele Santoro e Andrea Barbarino. Faceva notare che viveva in Germania e di poter dimostrare che era lì in quel periodo. Non avrebbe mai posseduto una Fiat Punto gialla decappottabile precisando che tale macchina era in possesso di un suo vicino di casa.
L'imputato non è considerato credibile quando vuol far credere di mancare dall'Italia da anni, ma sta di fatto che l'alibi dell'imputato troverebbe conferma oltre che nella documentazione in atti nelle prove a discarico addotte dalla difesa.
La Corte ritiene perciò che vada pronunciata sentenza di assoluzione, per non avere il Manzella commesso il fatto.
Fonte: Studio Legale Vaira
Il tentato omicidio di Michele Santoro e Andrea Barbarino contestato a Giuseppe Manzella.
Secondo l'accusa il Manzella avrebbe sparato con intento omicida, usando un fucile calibro 12, il 2 ottobre 2000 a Manfredonia, in concorso con Matteo Ferrandino e Matteo Mangini (entrambi in seguito assassinati) e con altre persone non identificate, ad Andrea Barbarino e a Michele Santoro.
Le accuse hanno base nelle intercettazioni effettuate nella automobile in uso a Franco Li Bergolis.
In questo stralcio di dialogo tra Franco e Matteo Li Bergolis e apparirebbe come i due abbiano identificato lo sparatore, e qui vedano suo cugino:
Franco: lo vedi il cugino di quello che ha sparato a compà Michele, con i jeans blu?
Matteo: il biondino?
Franco: no, non lo guardare
Matteo: il biondino?
Franco: sì
Matteo: fai ... fai ... fai un altro giro, fammelo guardare bene com'é
Franco: lo dobbiamo scannare moh che dopo
Matteo: si, ohu ... non dire in questa macchina ... France' (...)
Franco: gira da qua, là é controsenso ... se si butta qualche stupido a tutta raffica e mi schiaffa qualche "taccarata" poi veramente lo devo scannare ... eh
Matteo: tu dici che e' stato quello là proprio?
Franco: (...) ha visto bene a compà Michele ... diciamo ... lui se lo immaginava che era ... però poi quando l'abbiamo ... l'ha visto di persona mi ha detto: "non mi posso sbagliare, lui è ... lui è" ... eh, se ne sarà andato ... fammi vedere ... se n'è andato ... se n'è andato.
Da quest'altro stralcio di dialogo tra Franco Li Bergolis e Michele Santoro emergerebbe che il Santoro ha individuato i due autori del tentato omicidio:
Li Bergolis: ma lo sai che vanno ... l'hanno arrestato a quello?
Santoro: ma chi é?
Li Bergolis: il socio di Sansone (soprannome della famiglia Manzella)
Santoro: ah
Li Bergolis: Spiriptul ... Gino
(...)
Santoro: quel ragazzo sta troppo spaventato ...
Li Bergolis: chi é?
Santoro: Andrea?
Li Bergolis: Andrea? ... e com'é?
Santoro: sta spaventato quel ragazzo ... da quando (...) 'sto fatto a me
(...)
Santoro: quel ragazzo sta spaventato hai visto? quel ragazzo sta spaventato ... però io a quel ragazzo non lo posso acchiappare, non gli posso dire niente, perché pure se lo acchiappo, quello lo sa ... "la macchinetta che hanno rubato a chi è che gliel'hai data? ... a chi é che avete preso la macchinetta?" ... a quello non lo puoi dire, hai capito? ... ecco perché allora posso acchiappare questo amico di Mangini, quello sa ... hai capito? perché loro sanno
(...)
Li Bergolis: ci dobbiamo dare un poco una mossa
Santoro: meh ... devono dire chi é che ha preso la macchina e a chi gliel'hanno data la macchina
Li Bergolis: può essere stato quello alto e fermo ... chi é che ha fatto quel servizio ... eppure tu sei convinto che lui ... quel Mangini ... quello se lo stringiamo alla zenna senza che se gli facciamo niente ...
Santoro: sì, sì
Li Bergolis: ... quello canta tutte le cose
(...)
Li Bergolis: a Matteo ieri gliel'ho fatto vedere quel ragazzo
Santoro: sì, l'ha visto ma non ... ma compa' Matteo non li tiene presente ... quelli li devi guardare sempre in faccia i cornuti (...) quell'altro che tiene ... che vende le cozze, quello sa il fatto ... quello sa per filo e per segno, perché in quel periodo se la facevano sempre insieme (...) però a questi qua tu non gli puoi dire niente, perché se vengono fatti qualche cosa e dici una parola a quelli, ti vengono a prendere come un fesso, io perché non gli ho detto niente e non gli ho alzato una mano, ma lo sai in corpo a me che ci sta?
Li Bergolis: io detto che così non ci voglio stare ... dobbiamo vedere di aprire qualche cosa, 'ste onoranze funebri ... rimaniamo solo noi
Santoro: Santo Matteo
Li Bergolis: (sorride) ... ci apriamo un coso di onoranze funebri? ... se dobbiamo fare qualche servizio, gli rimaniamo pure il bigliettino ... "rivolge ...";
Santoro: (sorride)
Li Bergolis: (sorride) ... ohu, "rivolgetevi qua per il funerale" ... compare ci danno ... ci danno ottant'anni ciascuno, ci danno
Ancora più espliciti i due in questo stralcio:
Santoro: e io a quello che mi ha fatto il dispetto, a quello lo devo (...) sta Gesù Cristo, che moh che lo prendo io con le mani, no con gli altri fatti ... lo devo scannare con le mani
Li Bergolis: io lo conosco ... moh deve venire pure ... moh ... moh é la volta che dobbiamo stare attenti
Santoro Michele: no, é la volta che deve stare attento pure lui
Li Bergolis: però lo senti a compà Mario, dice: "lasciamoli perdere" ... tu poi glielo devi dire sia a Mimino che a Salvatore
Santoro: quando?
Li Bergolis: devi dire: "raga', voi fatevi tutti quanti i fatti nostri, acchiappate i nipoti nostri e fategli fare i fatti loro" ... ma quello ... quello che ci é venuto a fare il fatto, quello deve morire
E questo stralcio sarebbe quello che identifica con certezza il Manzella:
Santoro: (...) che cazzo fa ... hai visto perché hanno salutato i Mangini? ... che io ho detto: "ragà, quelli stanno macchiati" ... no, quelli stavano là all'ospedale, che sono venuti all'ospedale a me cacano il cazzo, quelli sono venuti a vedere se eravamo morti o no
(...)
Li Bergolis: Matteo pure stava?
Santoro: eh
Li Bergolis: allora é come dici tu, sono andati alla casa del nonno là ... perché quello é il figlio, quello che dice che ha fatto il servizio a te
Santoro: sì
Li Bergolis: il fratello proprio di ...
Santoro Michele: sì, sì
Li Bergolis: ... Salvatore
Santoro: io a quello lo devo scannare
Li Bergolis: questo ... quello era un poco ... quello mi sono accorto io che quello é stato sempre un poco malandrino, tiene una ... tiene una Punto decappottabile ... gialla pure mi sembra che é (...) quella faccia di merda ... mi sembra che é il fratello più grande questo qua
Santoro: é sposato?
Li Bergolis: in Germania ... é un poco come il nipote, hai visto?, biondo, non é come Salvatore (...) bisogna avvisarlo allora compare Mario, compare Mario (...) sì, perché io lo conosco, perché quello io l'ho sempre visto, che quello é stato sempre un figlio di zoccola, il malandrino faceva ... hai capito?
Il Manzella ha affermato di essere completamente estraneo ai fatti e di aver scoperto solo successivamente mediante i giornali di essere stato coinvolto nel tentato omicidio di Michele Santoro e Andrea Barbarino. Faceva notare che viveva in Germania e di poter dimostrare che era lì in quel periodo. Non avrebbe mai posseduto una Fiat Punto gialla decappottabile precisando che tale macchina era in possesso di un suo vicino di casa.
L'imputato non è considerato credibile quando vuol far credere di mancare dall'Italia da anni, ma sta di fatto che l'alibi dell'imputato troverebbe conferma oltre che nella documentazione in atti nelle prove a discarico addotte dalla difesa.
La Corte ritiene perciò che vada pronunciata sentenza di assoluzione, per non avere il Manzella commesso il fatto.
Fonte: Studio Legale Vaira
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Atti,
SCU-pugliesi
Iscaro-Saburo: Angelo e Vincenzo Fania
Dalla sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo 2009 presso la corte di assise di Foggia.
Gli omicidi di Angelo e Vincenzo Fania.
L'ipotesi accusatoria contestata a Gennaro Giovanditto é stata quella di aver ucciso con premeditazione, con metodi mafiosi e in concorso con sconosciuti, Angelo e Vincenzo Fania in data 13 ottobre 1999. Secondo l'accusa il duplice omicidio fa parte di un disegno volto ad assicurare il controllo del territorio da parte del Giovanditto e dei montanari.
Intercettazioni ambientali confermerebbero che il Giovanditto avesse una attività organizzata facente capo al gruppo Li Bergolis di contrabbando di sigarette. Questo conferma che gli omicidi non sono stati solo dovuti all'astio del Giovanditto nei confronti dei Fania, ma anche a quanto indicato dall'accusa.
Il fatto e le indagini.
Il cadavere di Vincenzo Fania veniva scoperto dopo le 20. Il corpo giaceva a terra all'interno di uno dei due plessi che costituivano la masseria dei Fania. La morte era stata causata da tre colpi di lupara, uno dei quali esploso alla tempia. Sembra probabile che la scena del delitto fosse stata sistemata per simulare che la vittima fosse stata colta di sopresa mentre si stava cambiando.
Solo all'alba veniva ritrovato il corpo di Angelo Fania, figlio di Vincenzo, a circa mezzo chilometro di distanza, poco distante da una macchina con le chiavi ancora nel quadro. Si ipotizzava che avesse cercato la fuga senza successo. Anche lui era stato ucciso con tre colpi di lupara, l'ultimo dei quali alla testa.
Le modalità di esecuzione sono tali da evidenziare come l'operazione sia stata preparata con cura.
Sin dalle prime indagini si evidenzia come i Fania fossero estranei al giro mafioso. Si viene a sapere che tre giovani sono stati visti sul posto quel giorno in un fuoristrada, ma inizialmente non si riesce a scoprire di più.
Si notava come la zona fosse favorevole per operazioni di contrabbando e come in passato queste fossero effettivamente avvenute. Si scopre inoltre che il Giovanditto avesse in affitto il secondo plesso della masseria, e avesse quindi un controllo diretto del posto. Si ipotizza immediatamente un coinvolgimento del Giovanditto nel fatto, e si cerca di accertare il suo alibi per il periodo in cui si stima potesse essere successo il fatto, tra le 15 e le 18 e 30.
La presenza del Giovanditto sul luogo del crimine.
Secondo Domenico Fania, il fratello Vincenzo era una persona pacifica e non aveva mai avuto problemi. A proposito del Giovanditto confermava che il fratello aveva dato i pascoli in affitto alla sua famiglia. Riferisce poi che, due giorni dopo il fatto, un vicino lo fermava vicino al mulino e poi gli diceva di aver visto il Giovanditto che, il giorno prima dell'omicidio e in compagnia di un altro, andava in macchina verso la masseria del fratello. Il giorno dell'omicidio aveva visto di nuovo il Giovanditto, questa volta su un fuoristrada e in compagnia di altre tre persone.
Nazario Fania, figlio di Vincenzo, ha chiarito l'importanza strategica della masseria i cui terreni si affacciano sul mare ed é ben collegata alla locale superstrada. La perquisizione del 1999 operata dai carabinieri nella loro campagna aveva colpito i Fania che pensavano di intervenire sulla viabilità all'interno dei loro terreni per rendere impraticabile il passaggio ai trafficanti.
Altre sue dichiarazioni e intercettazioni ambientali portano ad affermare che il Giovanditto fosse affiliato ai Li Bergolis e facesse contrabbando con modalità mafiose via mare appoggiandosi alla zona della masseria dei Fania.
De relato il teste afferma che qualche giorno prima del fatto ci sarebbe stato un duro litigio tra il fratello Angelo e il Giovanditto.
Il tutto porta a pensare che Vincenzo, e soprattutto Angelo, si fossero decisi a contrastare l'uso improprio della loro masseria da parte del Giovanditto, e questo sia stato all'origine del duplice omicidio.
Gennaro Giovanditto dichiarava di essere stato in compagnia di amici nel periodo indicato ma, come ha osservato il PM: "le numerose e significative contraddizioni emerse dalle dichiarazioni [...] costituiscono al contrario ulteriori elementi indiziari a carico dell'imputato che aveva evidentemente spinto l'amica a dare una versione diversa al fine di precostituirsi un alibi del delitto commesso". In ogni caso il Giovanditto stesso dà una versione ancora diversa rispetto a quella delle testi.
Altre indagini.
Si é indagato sul traffico telefonico del cellulare del Giovanditto. Si é rilevato un significativo flusso di contatti con tre altri numeri proprio il giorno del duplice omicidio con un anomalo picco di traffico tra le 16 e le 18:18, in corrispondenza dell'ora del delitto.
Uno dei numeri contattati conducevano a Giuseppe Li Bergolis, che negava di conoscere il Giovanditto, ma confermava di aver comprato il telefono compreso di utenza da Giuseppe Lauriola. Dichiarava di aver poi smarrito l'apparecchio senza poi preoccuparsi di denunciarne la scomparsa o bloccare il numero.
Secondo il PM il senso di questo traffico é che "Giovanditto si nascondeva tra la vegetazione antistante l'aia della casa rurale comunicando telefonicamente con gli altri componenti del gruppo per stabilire e coordinare i rispettivi movimenti al fine della migliore riuscita dell'azione criminale".
Le intercettazioni.
Viene riportata una intercettazione dall'utenza del Giovanditto attribuita alla moglie che parlava a persona non identificata. La conversazione è ritenuta importante per valutare la pessima fama del Giovanditto, e per sostenere quanto sia poco credibile un alibi facente riferimento alle dichiarazioni della signora.
Donna: Ha detto fatti una nuova vita, lascialo perdere che è troppo delinquente quello. [...]
Donna: No, io ti ho detto deve nascere l'uomo della mia vita [...]
Uomo: Sono io! Hai capito! Ti voglio e ti vorrò [...] quando vuoi ma il male che ti ha fatto lui non te lo farò mai, hai capito! [...]
Donna: No, io ci credevo [...] però ora l'ho visto con gli occhi miei [...] quello è un animale, me la devo chiudere [...]
Donna: E' un animale proprio!
Uomo: Io fino a che non parlavo con te.. [...] Fino a che non parlavo con te e
controllavo e tutto, non pensavo che era così, a volte mi fa proprio schifo!
Donna: Fa schifo! [...] Che animale madonna, chi lo immaginava che mi doveva portare fino qua [...]
Uomo: Al funerale sei andata?
Donna: No però l'ho visto di andare
Uomo: Ma lui è andato?
Donna: Lui sì
Uomo: Con quella faccia è andato pure! [...]
Uomo: Per come cammina il paese [...] subito uccidono.. [...]
Donna: Ma lui lo sai da quando [...] l'ha scampata, è stato il padre che ha dovuto
pagare [...] 10 milioni una volta che ha fatto proprio un danno grosso, capito, lo dovevano proprio uccidere, il padre ha pagato dieci milioni per farsi perdonare [...]
Donna: Di lui non me ne frega proprio niente [...]
Uomo: E perciò! Senti a me! Hai capito? Se c'è qualche problema con lui noi ce ne andiamo, di lui non ce ne frega niente.
Da una intercettazione ambientale emergerebbe chiaramente il contesto operativo del Giovanditto che, all'interno del gruppo dei Li Bergolis, si dedicava in quel periodo al contrabbando di sigarette con uso di gommoni.
Il coinvolgimento del Giovanditto nel duplice omicidio emerge da un'altra intercettazione ambientale tra due uomini identificati come il Giovanditto e Giuseppe De Cato. Si fa notare l'arroganza del Giovanditto che considera la masseria cosa sua e il riferimento ad un tiretto che é stato colpito da un colpo di fucile.
Uomo: Lo devi far sapere proprio a lui?
Gennaro : Sì, è cretino.
Uomo: No, Nazario è bravo. E' un poco furioso, è.
[...]
Uomo: Ti vai a ficcare là?
Gennaro: Io mi vado a coricare nella casetta di quello. Ora mi vado a coricare. E per quale motivo non mi devo andare a coricare? Che... perché, sono stato io?
Uomo: (ride)
Gennaro: (canticchia) Devo mettere pure la roba nel tiretto là. Quello lo devo fare tutto un appartamento. Questo merda! [...]
Inoltre il Giovanditto dice al suo interlocutore:
Nazario il fatto della jeep non ho capito perché voleva negare. Ha detto: "A te chi te l'ha detto?". Hai visto? Si sa il fatto della jeep. Me l'ha detto il Maresciallo
Confermando la versione del Fania in cui l'imputato parla della Jeep senza che lui ne avesse fatto prima menzione.
In un'altra intercettazione sono stati identificati Gennaro Giovanditto e Leonardo Clemente che parlano chiaramente dell'arma del delitto.
Gennaro: Eh. Ha detto così che non ci devono andare neanche loro che raccolgono le olive. Hai capito? Forse gli sbirri... che cazzo devono voler fare? Qualche perquisizione attorno, attorno, attorno? O devono trovare il fucile?!
Leonardo: Là lo tieni?
Gennaro: Intorno a là, lo tengo nella macèr (macerie) [...]
Leonardo: All'anima di Cristo in Croce! Non si può levare di notte?
Gennaro: Aeh! La notte ti vai a mettere 'mpizz là? Tu sei malato! Allora non hai capito che là stanno fissi, da là? [...]
Leonardo: Tu devi andare... all'imbrunire devi stare... al calare del sole, quando è fatto scuro, devi fare il servizio! Alla puttana di Cristo, Genna'?! Mettono le macchinette e cose, all'anima della Madonna troia!
Gennaro: Meh, con le macchinette! Una volta che hanno trovato il fucile che cazzo ne so di chi è? Della buon'anima? Di chi è? [...]
Leonardo: E tu che ne sai se ci sta qualche impronta, in faccia là?
Gennaro: Seh! Da allora dovevano rimanere le impronte? Con l'acquarecc, piove. È andata l'acqua sopra i sacchetti e cose!
Leonardo: All'anima di Cristo! Tu che ne sai se in un percussore, in un coso... non si scherza.
Gennaro: Sì, ma non è il fucile vrett, eh. E' pulito!
Leonardo: Ah, è pulito è?
Gennaro: E che cazzo, l'automatico non doveva rimanere cose a terra? Che cazzo,
quello l'ho unto e l'ho rimasto... prima che facevo il servizio. Là... eh! Senti che
testa, senti!
Leonardo: Meno male
Il fatto che il Giovanditto parli senza remore dell'arma del delitto, mentre il Clementse si mostra preoccupato in relazione al timore del suo ritrovamento, lascia intendere come come vi fosse un interesse al delitto che va oltre il mero interesse
personale del Giovanditto.
Un'altra intercettazione ambientale, in cui sono identificati il Giovanditto e Ferrandino Nicandro, porta ulteriori elementi a carico dell'imputato che mostra di temere che le indagini possano condurre a lui. Tale timore viene ancor meglio espresso in una seguente intercettazione ambientare, in cui sono identificati il Giovanditto e tale non meglio specificata Concetta. "Basta che non trovano qualche cosa... qualche cosa da là. Se trovano qualche cosa mi devono inguaiare".
Una intercettazione ambientale in cui sono identificati Carmine Tarantino e Antonio Pucciacchio Daniele, i due parlano di diversi omicidi commessi nel territorio di Sannicandro Garganico fra cui quello dei due Fania, attribuito al Giovanditto e al suo gruppo.
Carmine: il bastardo, lo tenevamo in mezzo a noi
Antonio: chi è?
Carmine: il figlio di scalfone
Antonio: lui è? [...]
Antonio: ha chiamato i montanari?
Carmine: Ha chiamato i montanari
Antonio: chi ha chiamato, ai Lombardi?
Carmine: e non so a chi cazzo ... sono loro, sono quelli che hanno fatto il servizio a ...
Antonio: a ... alla superstrada
[...]
Antonio: no dico ma ... questi qua, diciamo, che hanno fatto alla buon'anima di tuo nipote, diciamo, chi erano, i Lombardi? [...]
Carmine: quelli che fuggivano, che se la facevano dentro il Monte D'Elio
[...]
Carmine: sono cinque persone, quelle che so io
Antonio: cinque che si sono fatti ... compreso quello sul Monte D'Elio
Carmine: e u'Monte d'Elio
Antonio: uhmm
Carmine: quelli tre sull'autostrada e due sette, e uno è otto
Antonio: là se stavano, là, se stava Libergolis, stavano pure loro. Perché quelli stanno accosì con Libergolis. Sono parenti, sono cugini
Carmine: sì
Antonio: Con quel Calgarulo questi Lombardi stanno stretti, questo Matteo, questo Angiulin e quello ma i tre più pericolosi sono quell'Angelo, quel Matteo e quello piccolino.
Conclusioni.
Si affermata la responsabilità del Giovanditto nel duplice omicidio.
Si evidenzia che il delitto si inserisce nel quadro programmatico del gruppo Li Bergolis, in quanto rappresenta una riaffermazione del potere del clan e il controllo sul territorio.
C'é un'aggravante per il metodo mafioso con cui si é realizzato il duplice delitto: agguato, uso di potenti armi, il colpo alla testa. Si è voluta riaffermare la capacità di intimidazione per dare un monito barbaro per tutti coloro che, come i Fania, si contrapponessero ai voleri del clan.
Altra aggravante é quella della crudeltà, dato il modo barbaro con cui i due sono stati uccisi.
Inoltre l'omicidio deve dirsi aggravato dalla premeditazione.
Fonte: Studio Legale Vaira
Gli omicidi di Angelo e Vincenzo Fania.
L'ipotesi accusatoria contestata a Gennaro Giovanditto é stata quella di aver ucciso con premeditazione, con metodi mafiosi e in concorso con sconosciuti, Angelo e Vincenzo Fania in data 13 ottobre 1999. Secondo l'accusa il duplice omicidio fa parte di un disegno volto ad assicurare il controllo del territorio da parte del Giovanditto e dei montanari.
Intercettazioni ambientali confermerebbero che il Giovanditto avesse una attività organizzata facente capo al gruppo Li Bergolis di contrabbando di sigarette. Questo conferma che gli omicidi non sono stati solo dovuti all'astio del Giovanditto nei confronti dei Fania, ma anche a quanto indicato dall'accusa.
Il fatto e le indagini.
Il cadavere di Vincenzo Fania veniva scoperto dopo le 20. Il corpo giaceva a terra all'interno di uno dei due plessi che costituivano la masseria dei Fania. La morte era stata causata da tre colpi di lupara, uno dei quali esploso alla tempia. Sembra probabile che la scena del delitto fosse stata sistemata per simulare che la vittima fosse stata colta di sopresa mentre si stava cambiando.
Solo all'alba veniva ritrovato il corpo di Angelo Fania, figlio di Vincenzo, a circa mezzo chilometro di distanza, poco distante da una macchina con le chiavi ancora nel quadro. Si ipotizzava che avesse cercato la fuga senza successo. Anche lui era stato ucciso con tre colpi di lupara, l'ultimo dei quali alla testa.
Le modalità di esecuzione sono tali da evidenziare come l'operazione sia stata preparata con cura.
Sin dalle prime indagini si evidenzia come i Fania fossero estranei al giro mafioso. Si viene a sapere che tre giovani sono stati visti sul posto quel giorno in un fuoristrada, ma inizialmente non si riesce a scoprire di più.
Si notava come la zona fosse favorevole per operazioni di contrabbando e come in passato queste fossero effettivamente avvenute. Si scopre inoltre che il Giovanditto avesse in affitto il secondo plesso della masseria, e avesse quindi un controllo diretto del posto. Si ipotizza immediatamente un coinvolgimento del Giovanditto nel fatto, e si cerca di accertare il suo alibi per il periodo in cui si stima potesse essere successo il fatto, tra le 15 e le 18 e 30.
La presenza del Giovanditto sul luogo del crimine.
Secondo Domenico Fania, il fratello Vincenzo era una persona pacifica e non aveva mai avuto problemi. A proposito del Giovanditto confermava che il fratello aveva dato i pascoli in affitto alla sua famiglia. Riferisce poi che, due giorni dopo il fatto, un vicino lo fermava vicino al mulino e poi gli diceva di aver visto il Giovanditto che, il giorno prima dell'omicidio e in compagnia di un altro, andava in macchina verso la masseria del fratello. Il giorno dell'omicidio aveva visto di nuovo il Giovanditto, questa volta su un fuoristrada e in compagnia di altre tre persone.
Nazario Fania, figlio di Vincenzo, ha chiarito l'importanza strategica della masseria i cui terreni si affacciano sul mare ed é ben collegata alla locale superstrada. La perquisizione del 1999 operata dai carabinieri nella loro campagna aveva colpito i Fania che pensavano di intervenire sulla viabilità all'interno dei loro terreni per rendere impraticabile il passaggio ai trafficanti.
Altre sue dichiarazioni e intercettazioni ambientali portano ad affermare che il Giovanditto fosse affiliato ai Li Bergolis e facesse contrabbando con modalità mafiose via mare appoggiandosi alla zona della masseria dei Fania.
De relato il teste afferma che qualche giorno prima del fatto ci sarebbe stato un duro litigio tra il fratello Angelo e il Giovanditto.
Il tutto porta a pensare che Vincenzo, e soprattutto Angelo, si fossero decisi a contrastare l'uso improprio della loro masseria da parte del Giovanditto, e questo sia stato all'origine del duplice omicidio.
Gennaro Giovanditto dichiarava di essere stato in compagnia di amici nel periodo indicato ma, come ha osservato il PM: "le numerose e significative contraddizioni emerse dalle dichiarazioni [...] costituiscono al contrario ulteriori elementi indiziari a carico dell'imputato che aveva evidentemente spinto l'amica a dare una versione diversa al fine di precostituirsi un alibi del delitto commesso". In ogni caso il Giovanditto stesso dà una versione ancora diversa rispetto a quella delle testi.
Altre indagini.
Si é indagato sul traffico telefonico del cellulare del Giovanditto. Si é rilevato un significativo flusso di contatti con tre altri numeri proprio il giorno del duplice omicidio con un anomalo picco di traffico tra le 16 e le 18:18, in corrispondenza dell'ora del delitto.
Uno dei numeri contattati conducevano a Giuseppe Li Bergolis, che negava di conoscere il Giovanditto, ma confermava di aver comprato il telefono compreso di utenza da Giuseppe Lauriola. Dichiarava di aver poi smarrito l'apparecchio senza poi preoccuparsi di denunciarne la scomparsa o bloccare il numero.
Secondo il PM il senso di questo traffico é che "Giovanditto si nascondeva tra la vegetazione antistante l'aia della casa rurale comunicando telefonicamente con gli altri componenti del gruppo per stabilire e coordinare i rispettivi movimenti al fine della migliore riuscita dell'azione criminale".
Le intercettazioni.
Viene riportata una intercettazione dall'utenza del Giovanditto attribuita alla moglie che parlava a persona non identificata. La conversazione è ritenuta importante per valutare la pessima fama del Giovanditto, e per sostenere quanto sia poco credibile un alibi facente riferimento alle dichiarazioni della signora.
Donna: Ha detto fatti una nuova vita, lascialo perdere che è troppo delinquente quello. [...]
Donna: No, io ti ho detto deve nascere l'uomo della mia vita [...]
Uomo: Sono io! Hai capito! Ti voglio e ti vorrò [...] quando vuoi ma il male che ti ha fatto lui non te lo farò mai, hai capito! [...]
Donna: No, io ci credevo [...] però ora l'ho visto con gli occhi miei [...] quello è un animale, me la devo chiudere [...]
Donna: E' un animale proprio!
Uomo: Io fino a che non parlavo con te.. [...] Fino a che non parlavo con te e
controllavo e tutto, non pensavo che era così, a volte mi fa proprio schifo!
Donna: Fa schifo! [...] Che animale madonna, chi lo immaginava che mi doveva portare fino qua [...]
Uomo: Al funerale sei andata?
Donna: No però l'ho visto di andare
Uomo: Ma lui è andato?
Donna: Lui sì
Uomo: Con quella faccia è andato pure! [...]
Uomo: Per come cammina il paese [...] subito uccidono.. [...]
Donna: Ma lui lo sai da quando [...] l'ha scampata, è stato il padre che ha dovuto
pagare [...] 10 milioni una volta che ha fatto proprio un danno grosso, capito, lo dovevano proprio uccidere, il padre ha pagato dieci milioni per farsi perdonare [...]
Donna: Di lui non me ne frega proprio niente [...]
Uomo: E perciò! Senti a me! Hai capito? Se c'è qualche problema con lui noi ce ne andiamo, di lui non ce ne frega niente.
Da una intercettazione ambientale emergerebbe chiaramente il contesto operativo del Giovanditto che, all'interno del gruppo dei Li Bergolis, si dedicava in quel periodo al contrabbando di sigarette con uso di gommoni.
Il coinvolgimento del Giovanditto nel duplice omicidio emerge da un'altra intercettazione ambientale tra due uomini identificati come il Giovanditto e Giuseppe De Cato. Si fa notare l'arroganza del Giovanditto che considera la masseria cosa sua e il riferimento ad un tiretto che é stato colpito da un colpo di fucile.
Uomo: Lo devi far sapere proprio a lui?
Gennaro : Sì, è cretino.
Uomo: No, Nazario è bravo. E' un poco furioso, è.
[...]
Uomo: Ti vai a ficcare là?
Gennaro: Io mi vado a coricare nella casetta di quello. Ora mi vado a coricare. E per quale motivo non mi devo andare a coricare? Che... perché, sono stato io?
Uomo: (ride)
Gennaro: (canticchia) Devo mettere pure la roba nel tiretto là. Quello lo devo fare tutto un appartamento. Questo merda! [...]
Inoltre il Giovanditto dice al suo interlocutore:
Nazario il fatto della jeep non ho capito perché voleva negare. Ha detto: "A te chi te l'ha detto?". Hai visto? Si sa il fatto della jeep. Me l'ha detto il Maresciallo
Confermando la versione del Fania in cui l'imputato parla della Jeep senza che lui ne avesse fatto prima menzione.
In un'altra intercettazione sono stati identificati Gennaro Giovanditto e Leonardo Clemente che parlano chiaramente dell'arma del delitto.
Gennaro: Eh. Ha detto così che non ci devono andare neanche loro che raccolgono le olive. Hai capito? Forse gli sbirri... che cazzo devono voler fare? Qualche perquisizione attorno, attorno, attorno? O devono trovare il fucile?!
Leonardo: Là lo tieni?
Gennaro: Intorno a là, lo tengo nella macèr (macerie) [...]
Leonardo: All'anima di Cristo in Croce! Non si può levare di notte?
Gennaro: Aeh! La notte ti vai a mettere 'mpizz là? Tu sei malato! Allora non hai capito che là stanno fissi, da là? [...]
Leonardo: Tu devi andare... all'imbrunire devi stare... al calare del sole, quando è fatto scuro, devi fare il servizio! Alla puttana di Cristo, Genna'?! Mettono le macchinette e cose, all'anima della Madonna troia!
Gennaro: Meh, con le macchinette! Una volta che hanno trovato il fucile che cazzo ne so di chi è? Della buon'anima? Di chi è? [...]
Leonardo: E tu che ne sai se ci sta qualche impronta, in faccia là?
Gennaro: Seh! Da allora dovevano rimanere le impronte? Con l'acquarecc, piove. È andata l'acqua sopra i sacchetti e cose!
Leonardo: All'anima di Cristo! Tu che ne sai se in un percussore, in un coso... non si scherza.
Gennaro: Sì, ma non è il fucile vrett, eh. E' pulito!
Leonardo: Ah, è pulito è?
Gennaro: E che cazzo, l'automatico non doveva rimanere cose a terra? Che cazzo,
quello l'ho unto e l'ho rimasto... prima che facevo il servizio. Là... eh! Senti che
testa, senti!
Leonardo: Meno male
Il fatto che il Giovanditto parli senza remore dell'arma del delitto, mentre il Clementse si mostra preoccupato in relazione al timore del suo ritrovamento, lascia intendere come come vi fosse un interesse al delitto che va oltre il mero interesse
personale del Giovanditto.
Un'altra intercettazione ambientale, in cui sono identificati il Giovanditto e Ferrandino Nicandro, porta ulteriori elementi a carico dell'imputato che mostra di temere che le indagini possano condurre a lui. Tale timore viene ancor meglio espresso in una seguente intercettazione ambientare, in cui sono identificati il Giovanditto e tale non meglio specificata Concetta. "Basta che non trovano qualche cosa... qualche cosa da là. Se trovano qualche cosa mi devono inguaiare".
Una intercettazione ambientale in cui sono identificati Carmine Tarantino e Antonio Pucciacchio Daniele, i due parlano di diversi omicidi commessi nel territorio di Sannicandro Garganico fra cui quello dei due Fania, attribuito al Giovanditto e al suo gruppo.
Carmine: il bastardo, lo tenevamo in mezzo a noi
Antonio: chi è?
Carmine: il figlio di scalfone
Antonio: lui è? [...]
Antonio: ha chiamato i montanari?
Carmine: Ha chiamato i montanari
Antonio: chi ha chiamato, ai Lombardi?
Carmine: e non so a chi cazzo ... sono loro, sono quelli che hanno fatto il servizio a ...
Antonio: a ... alla superstrada
[...]
Antonio: no dico ma ... questi qua, diciamo, che hanno fatto alla buon'anima di tuo nipote, diciamo, chi erano, i Lombardi? [...]
Carmine: quelli che fuggivano, che se la facevano dentro il Monte D'Elio
[...]
Carmine: sono cinque persone, quelle che so io
Antonio: cinque che si sono fatti ... compreso quello sul Monte D'Elio
Carmine: e u'Monte d'Elio
Antonio: uhmm
Carmine: quelli tre sull'autostrada e due sette, e uno è otto
Antonio: là se stavano, là, se stava Libergolis, stavano pure loro. Perché quelli stanno accosì con Libergolis. Sono parenti, sono cugini
Carmine: sì
Antonio: Con quel Calgarulo questi Lombardi stanno stretti, questo Matteo, questo Angiulin e quello ma i tre più pericolosi sono quell'Angelo, quel Matteo e quello piccolino.
Conclusioni.
Si affermata la responsabilità del Giovanditto nel duplice omicidio.
Si evidenzia che il delitto si inserisce nel quadro programmatico del gruppo Li Bergolis, in quanto rappresenta una riaffermazione del potere del clan e il controllo sul territorio.
C'é un'aggravante per il metodo mafioso con cui si é realizzato il duplice delitto: agguato, uso di potenti armi, il colpo alla testa. Si è voluta riaffermare la capacità di intimidazione per dare un monito barbaro per tutti coloro che, come i Fania, si contrapponessero ai voleri del clan.
Altra aggravante é quella della crudeltà, dato il modo barbaro con cui i due sono stati uccisi.
Inoltre l'omicidio deve dirsi aggravato dalla premeditazione.
Fonte: Studio Legale Vaira
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Atti,
SCU-pugliesi
Iscaro-Saburo: Biagio Silvestri
Dalla sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo 2009 presso la corte di assise di Foggia.
L'omicidio di Biagio Silvestri.
Il 31 agosto 1998 alle ore 10 circa veniva ucciso, in agro di Monte Sant'Angelo nella Foresta Umbra, Biagio Silvestri.
Il fatto, secondo l'ipotesi accusatoria, sarebbe riconducibile ad Armando Li Bergolis che avrebbe sparato al Silvestri con un fucile calibro 12 caricato a pallettoni, e sarebbe stato eseguito in concorso con Matteo Lombardi, che avrebbe fornito le munizioni, e Francesco Ciccillo Li Bergolis, che avrebbe autorizzato l'azione.
Si era ipotizzata l'aggravante del metodo mafioso e che il fatto avrebbe agevolato e rafforzato l'egemonia dei montanari.
Il pubblico ministero definiva come precedente immediato l'imboscata del 17 aprile 1998 nel corso della quale Armando Li Bergolis veniva ferito da un colpo d'arma da fuoco. L'omicidio del Silvestri sarebbe la risposta a questo attentato.
Come prova di reità é stato portato il passaggio della intercettazione Orti Frenti del 2 dicembre 2003 di un vertice a cui parteciparono i rappresentanti dei Romito, Libergolis e Lombardi) in cui il Matteo Lombardi afferma "voi ne avete fatti tre-quattro", riferendosi a Pasquale Apicanese Silvestri, Giovanni Impagnatiello e Biagio Silvestri.
Si é stabilito che la ricostruzione fornita dal pubblico ministero non sia riscontrata nelle risultanze dibattimentali.
Il tenente Giuseppe Fratoni ha ricostruito il fatto e le indagini svolte. Tra l'altro si nota che il Silvestri é stato colpito da due colpi, uno dei quali alla testa. Sulla guancia sinistra era stato fatto un segno simile ad una croce. Si appurava che assieme al Silvestri era presente Pasquale Saracino , ma costui veniva considerato reticente, non fornendo alcun contributo utile.
L'azione criminosa viene identificata come tipicamente mafiosa: la vittima è stata colpita quando vulnerabile e isolata, da più persone che hanno finito la vittima con un colpo alla testa, usando la "lupara bianca" (fucili da caccia che rendono impossibile risalire alla identità dell'arma).
Ma non si riesce a determinare univocamente se la genesi dell'omicidio sia nell'appartenenza del Silvestri ad una fazione. Non si sono evidenziati elementi concreti ed effettivi che permettano di ricondurlo alla faida garganica se non un per analogia.
Si nota come il principale elemento di accusa è l'intercettazione ambientale presso la masseria Orti Frenti del 2 dicembre 2003, in cui, tra l'altro, il Francesco ciccill Li Bergolis avrebbe in un certo senso ammesso la sua volontà omicida dietro quello che qualificava come "un fatto vecchio".
Ma questa intercettazione ha una storia travagliata. La sua prima trascrizione è stata effettuata dai marescialli Russo e Rauseo, con la partecipazione di Michele Romito. La Pubblica Accusa imputa al Russo una condotta penalmente rilevante per aver omesso in tutto o in parte, la trascrizione di numerose altre captazioni ambientali per favorire i Romito.
Esaminando la seconda trascrizione si é valutato che "nulla lascia collegare tali riferimenti all'omicidio del Silvestri Biagio, per cui gli odierni imputati vanno mandati assolti per non aver commesso il fatto".
Questa parte del brano dell'intercettazione riportato nella sentenza:
5: Ma tu però ci hai ucciso un fratello nostro
2: Allora voi me ne avete uccisi dieci allora, se dobbiamo arrivare a stò punto. Me ne avete uccisi dieci di fratelli miei, ah, va bene cosi? Ah, allora tu mò, se vai a vedere, quelli ne hai fatto quattro dei miei. Allora io ne avanzo tre?
5: Io non ho fatto a nessuno
2: Ne avanzo tre? Ah, non hai fatto a nessuno? Sei venuto a prendere le cartucce da me, sei venuto a prendere
5: Non sono venuto a prendere niente
2: Da quando te le ho date io: "Domanda, parla con tuo zio". [...] Sei venuto a
prendere le cartucce... "Tu come dici?" "Che ti devo dire? Parla con tuo zio, parla con tuo zio" o ti ho detto di no? Ti ho detto di no? Parla! Dal primo momento, ti ho detto di non, non lo fare?
5: E' un fatto vecchio
2: Ah, è un fatto vecchio?
5: Io non ho fatto niente e non so niente
2: Questo è un fatto vecchio?
5: Parliamo da oggi, vediamo che dobbiamo fare
[...]
2: Ah non ti piace il discorso [...] Ma, po, posso essere io? No, sono stato io! Voi me ne avete fatti quattro e io ve ne ho fatto uno!
5: Ci metto la firma!
2: Appunto, sono stato io! Voi me ne avete fatti quattro e io ve ne ho fatto uno! A posto?
5: Noi non abbiamo fatto nessun quattro! Tu ci hai fatto uno a noi!
2: Ha, tre, me ne avete fatti tre?
5: Non abbiamo fatto niente!
2: Me ne avete fatti due!
5: Non abbiamo fatto niente!
2: Me ne avete fatti due. Lasciamo perdere a Giovanni Malfatto, sono due?
5: Non abbiamo fatto a nessuno, a nessuno abbiamo fatto!
Fonte: Studio Legale Vaira
L'omicidio di Biagio Silvestri.
Il 31 agosto 1998 alle ore 10 circa veniva ucciso, in agro di Monte Sant'Angelo nella Foresta Umbra, Biagio Silvestri.
Il fatto, secondo l'ipotesi accusatoria, sarebbe riconducibile ad Armando Li Bergolis che avrebbe sparato al Silvestri con un fucile calibro 12 caricato a pallettoni, e sarebbe stato eseguito in concorso con Matteo Lombardi, che avrebbe fornito le munizioni, e Francesco Ciccillo Li Bergolis, che avrebbe autorizzato l'azione.
Si era ipotizzata l'aggravante del metodo mafioso e che il fatto avrebbe agevolato e rafforzato l'egemonia dei montanari.
Il pubblico ministero definiva come precedente immediato l'imboscata del 17 aprile 1998 nel corso della quale Armando Li Bergolis veniva ferito da un colpo d'arma da fuoco. L'omicidio del Silvestri sarebbe la risposta a questo attentato.
Come prova di reità é stato portato il passaggio della intercettazione Orti Frenti del 2 dicembre 2003 di un vertice a cui parteciparono i rappresentanti dei Romito, Libergolis e Lombardi) in cui il Matteo Lombardi afferma "voi ne avete fatti tre-quattro", riferendosi a Pasquale Apicanese Silvestri, Giovanni Impagnatiello e Biagio Silvestri.
Si é stabilito che la ricostruzione fornita dal pubblico ministero non sia riscontrata nelle risultanze dibattimentali.
Il tenente Giuseppe Fratoni ha ricostruito il fatto e le indagini svolte. Tra l'altro si nota che il Silvestri é stato colpito da due colpi, uno dei quali alla testa. Sulla guancia sinistra era stato fatto un segno simile ad una croce. Si appurava che assieme al Silvestri era presente Pasquale Saracino , ma costui veniva considerato reticente, non fornendo alcun contributo utile.
L'azione criminosa viene identificata come tipicamente mafiosa: la vittima è stata colpita quando vulnerabile e isolata, da più persone che hanno finito la vittima con un colpo alla testa, usando la "lupara bianca" (fucili da caccia che rendono impossibile risalire alla identità dell'arma).
Ma non si riesce a determinare univocamente se la genesi dell'omicidio sia nell'appartenenza del Silvestri ad una fazione. Non si sono evidenziati elementi concreti ed effettivi che permettano di ricondurlo alla faida garganica se non un per analogia.
Si nota come il principale elemento di accusa è l'intercettazione ambientale presso la masseria Orti Frenti del 2 dicembre 2003, in cui, tra l'altro, il Francesco ciccill Li Bergolis avrebbe in un certo senso ammesso la sua volontà omicida dietro quello che qualificava come "un fatto vecchio".
Ma questa intercettazione ha una storia travagliata. La sua prima trascrizione è stata effettuata dai marescialli Russo e Rauseo, con la partecipazione di Michele Romito. La Pubblica Accusa imputa al Russo una condotta penalmente rilevante per aver omesso in tutto o in parte, la trascrizione di numerose altre captazioni ambientali per favorire i Romito.
Esaminando la seconda trascrizione si é valutato che "nulla lascia collegare tali riferimenti all'omicidio del Silvestri Biagio, per cui gli odierni imputati vanno mandati assolti per non aver commesso il fatto".
Questa parte del brano dell'intercettazione riportato nella sentenza:
5: Ma tu però ci hai ucciso un fratello nostro
2: Allora voi me ne avete uccisi dieci allora, se dobbiamo arrivare a stò punto. Me ne avete uccisi dieci di fratelli miei, ah, va bene cosi? Ah, allora tu mò, se vai a vedere, quelli ne hai fatto quattro dei miei. Allora io ne avanzo tre?
5: Io non ho fatto a nessuno
2: Ne avanzo tre? Ah, non hai fatto a nessuno? Sei venuto a prendere le cartucce da me, sei venuto a prendere
5: Non sono venuto a prendere niente
2: Da quando te le ho date io: "Domanda, parla con tuo zio". [...] Sei venuto a
prendere le cartucce... "Tu come dici?" "Che ti devo dire? Parla con tuo zio, parla con tuo zio" o ti ho detto di no? Ti ho detto di no? Parla! Dal primo momento, ti ho detto di non, non lo fare?
5: E' un fatto vecchio
2: Ah, è un fatto vecchio?
5: Io non ho fatto niente e non so niente
2: Questo è un fatto vecchio?
5: Parliamo da oggi, vediamo che dobbiamo fare
[...]
2: Ah non ti piace il discorso [...] Ma, po, posso essere io? No, sono stato io! Voi me ne avete fatti quattro e io ve ne ho fatto uno!
5: Ci metto la firma!
2: Appunto, sono stato io! Voi me ne avete fatti quattro e io ve ne ho fatto uno! A posto?
5: Noi non abbiamo fatto nessun quattro! Tu ci hai fatto uno a noi!
2: Ha, tre, me ne avete fatti tre?
5: Non abbiamo fatto niente!
2: Me ne avete fatti due!
5: Non abbiamo fatto niente!
2: Me ne avete fatti due. Lasciamo perdere a Giovanni Malfatto, sono due?
5: Non abbiamo fatto a nessuno, a nessuno abbiamo fatto!
Fonte: Studio Legale Vaira
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Gotha: le condanne
Dalla sentenza di rito abbreviato del processo che, avendo colpito i vertici di cosa nostra é noto col nome di Gotha, e si é concluso con l'udienza del 21 gennaio 2008 presso il tribunale di Palermo.
Le condanne
Filippo Annatelli é stato accusato di:
Le condanne
- Andrea Adamo, nato a Palermo il 25.12.1962: 12 anni;
- Salvatore Alfano, nato a Casteldaccia il 12.02.1956: 10 anni;
- Angelo Badagliacca, nato a Palermo il 26.05.1972: 7 anni;
- Gaetano Badagliacca, nato a Palermo il 14.09.1945: 10 anni;
- Pietro Badagliacca, nato a Palermo il 03.01.1944: 12 anni;
- Bonura Francesco, nato a Palermo il 27.03.1942: 20 anni;
- Vincenzo Brusca, nato a Torretta (PA) il 01.01.1944: 10 anni;
- Carmelo Cancemi, nato a Palermo il 05.02.1942: 7 anni;
- Giovanni Cancemi, nato a Palermo il 10.09.1970: 7 anni;
- Giuseppe Cappello, nato a Palermo il 25.11.1937: 10 anni;
- Vincenzo Di Maio, nato a Palermo il 29.10.1944: 16 anni;
- Pietro Pierino Di Napoli, nato a Palermo il 15.03.1939: 15 anni;
- Salvatore Gioeli, nato a Palermo il 01.09.1966: 10 anni;
- Francesco Inzerillo, nato a Palermo il 12.02.1955: 10 anni;
- Francesco Inzerillo, nato a Palermo il 10.01.1956: 7 anni;
- Rosario Inzerillo, nato a Palermo il 7.04.1944: 10 anni;
- Tommaso Inzerillo, nato a Palermo il 26.08.1949: 10 anni;
- Emanuele Vittorio Lipari, nato a Palermo il 27.06.1961: 10 anni;
- Alessandro Mannino, nato a Palermo il 27.11.1960: 10 anni;
- Calogero Mannino, nato a Palermo il 18.04.1940: 16 anni;
- Giovanni Marcianò, nato a Palermo il 10.10.1942: 10 anni;
- Vincenzo Marcianò, nato a Palermo il 02.01.1945: 16 anni;
- Nicolò Milano, nato a Palermo il 28.05.1974: 7 anni;
- Nunzio Milano, nato a Palermo il 26.08.1949: 10 anni;
- Settimo Mineo, nato a Palermo il 28.11.1938: 10 anni;
- Giovanni Nicchi, nato a Torinoil 16 febbraio 1981, latitante: 15 anni;
- Giovanni Nicoletti, nato a Palermo l’08.12.1950: 12 anni;
- Michele Oliveri, nato a Palermo il 01.02.1931: 10 anni;
- Angelo Rosario Parisi, nato a Palermo il 28.07.1955: 7 anni;
- Pietro Parisi, nato a Palermo il 9.10.1950: 7 anni;
- Francesco Picone, nato a Palermo il 6.09.1940: 10 anni;
- Antonino Pipitone, nato a Palermo il 2.10.1929: 16 anni;
- Salvatore Pispicia, nato a Palermo il 14.07.1965: 10 anni;
- Antonino Rotolo, nato a Palermo il 03.01.1946: 20 anni;
- Gaetano Sansone, nato a Palermo il 23.03.1941: 12 anni;
- Giuseppe Sansone, nato a Palermo il 03.01.1948: 10 anni;
- Giuseppe Savoca, nato a Lampedusa il 10.09.1934: 12 anni;
- Giovanni Sirchia, nato a Palermo il 29.03.1973: 7 anni;
- Francesco Stassi, nato a Palermo il 25.01.1934: 8 anni;
- Mario Salvatore Grizzaffi, nato a Corleone il 21.03.1966: 8 anni;
Filippo Annatelli é stato accusato di:
- avere diretto la famiglia mafiosa di Corso Calatafimi;
- aver mantenuto contatti diretti e indiretti con altri associati a cosa nostra, svolgendo funzioni direttive per l’organizzazione.
- avere diretto la famiglia mafiosa di Rocca Mezzo Monreale;
- aver fatto da riferimento, su incarico di Antonino Rotolo, per i rapporti tra le famiglie palermitane e quelle trapanesi;
- per aver mantenuto un costante collegamento con gli altri associati, svolgendo
- funzioni direttive per l’organizzazione;
- avere diretto cosa nostra, anche in quanto sottocapo della famiglia di Uditore, operando direttamente in alcuni mandamenti, tra cui Boccadifalco;
- aver mantenuto contatti con gli altri capi dell'organizzazione, svolgendo funzioni direttive per l'organizzazione e di programmazione di gravi delitti, e contribuendo a delineare le linee strategiche di cosa nostra in Palermo;
- avere diretto la famiglia mafiosa di Torretta;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Vincenzo Marcianò, Salvatore Lo Piccolo e altri.
- avere diretto la famiglia mafiosa di Borgo Molara;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Antonino Rotolo e altri, in particolare avrebbe assunto, su indicazione di Nicolò Ingarao, la reggenza del mandamento di Porta Nuova, in sostituzione di Agostino Badalamenti.
- avere diretto operativamente, in accordo con Antonino Pipitone, la famiglia dell'Acquasanta;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Francesco Bonura e altri.
- avere diretto e organizzato il mandamento della Noce, coordinando l'operato di quelle famiglie con altre, tra cui S.Maria di Gesù, Belmonte Mezzagno, Villabate, S.Lorenzo, Porta Nuova, Pagliarelli;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Antonino Rotolo e altri.
- avere diretto la famiglia mafiosa di Porta Nuova;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Nicolò Ingarao e altri.
- avere diretto la famiglia mafiosa di Altarello;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Antonino Rotolo e Vincenzo Marcianò.
- avere diretto e organizzato il mandamento di Boccadifalco, fino alla sua sostituzione con il fratello Giovanni Marcianò;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Antonino Rotolo e Francesco Bonura.
- avere diretto e organizzato il mandamento di Boccadifalco, sostituendo il fratello Vincenzo Marcianò;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Antonino Rotolo e Francesco Bonura.
- avere diretto la famiglia di Pagliarelli, coordinando le attività con quelle di altre famiglie, tra cui S.Maria di Gesù, Belmonte Mezzagno, Villabate, S.Lorenzo, Porta Nuova;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Antonino Rotolo e altri, e assumendo, su indicazione di Nicolò Ingarao, la carica di reggente del mandamento di Porta Nuova al posto di Agostino Badalamenti.
- avere diretto la famiglia dell'Acquasanta, lasciando le questioni operative a Vincenzo Di Maio;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Francesco Bonura.
- avere diretto la famiglia di Palermo Centro;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Nicolò Ingarao.
- avere diretto cosa nostra a Palermo, governando il mandamento di Pagliarelli e incidendo sulla struttura di altri mandamenti, come Boccadifalco e Porta Nuova;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Francesco Bonura, Antonino Cinà e Bernardo Provenzano, e contribuendo a delineare le linee strategiche di cosa nostra a Palermo.
- avere diretto la famiglia di Uditore;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Antonino Rotolo, Francesco Bonura, Giovanni Marcianò, Vincenzo Marcianò e altri.
- avere diretto e organizzato il mandamento di Brancaccio, coordinandolo con le altre famiglie di cosa nostra tra cui S.Lorenzo, Porta Nuova, Pagliarelli, Boccadifalco;
- aver svolto funzioni direttive per cosa nostra interagendo con Antonino Rotolo e con Salvatore Lo Piccolo e altri.
- aver fatto da canale di comunicazioni privilegiato tra gli esponenti del mandamento di Brancaccio e Salvatore Lo Piccolo, mantenendo rapporti con altri esponenti mafiosi, tra cui Filippo Annatelli e Nicolò Milano
- avere favorito, in quanto affiliato alla famiglia di Porta Nuova, l'accreditamento di Nicola Ingarao alla reggenza del mandamento di Porta Nuova.
- aver operato per conto delle famiglie della Noce, mantenendo rapporti con esponenti mafiosi quali Giovanni Nicchi.
- aver fatto da canale di comunicazioni tra Antonino Rotolo e suo padre, Pietro Badagliacca.
- avere favorito, in quanto affiliato alla famiglia di Rocca Mezzo Monreale, l'accreditamento di Nicola Ingarao alla reggenza del mandamento di Porta Nuova;
- aver fatto da canale di comunicazioni tra Antonino Rotolo e suo fratello Pietro Badagliacca.
- aver mantenuto i contatti con Antonino Rotolo, Filippo Annatelli, Giuseppe Cappello e altri per conto delle famiglie del mandamento di Pagliarelli.
- aver compiuto reati nell'interesse delle famiglie del mandamento di Pagliarelli;
- aver mantenuto i contatti con Antonino Rotolo, Filippo Annatelli, Giuseppe Cappello e altri per conto di dette famiglie.
- aver mantenuto i contatti con Alessandro Mannino, Vincenzo Marcianò e altri per conto della famiglia di Boccadifalco, a cui sarebbe appartenuto.
- aver mantenuto i contatti con i suoi congiunti Francesco Inzerillo (nato nel 1956), Rosario Inzerillo, Tommaso Inzerillo, in particolare per ottenere il permesso al rientro in Italia degli ultimi due da parte di Alessandro Mannino, Francesco Pastoia (nel frattempo deceduto), Nicola Mandalà, Vincenzo Brusca, Lorenzo Di Maggio, Calogero Caruso, Salvatore Lo Piccolo.
- aver tenuto contatti, quali affiliati alla famiglia di Boccadifalco, con esponenti mafiosi, in particolare per ottenere il permesso al rientro in Italia da parte di Alessandro Mannino, Francesco Pastoia (nel frattempo deceduto), Nicola Mandalà, Vincenzo Brusca, Lorenzo Di Maggio, Calogero Caruso, Salvatore Lo Piccolo.
- essere affiliato alla famiglia di Boccadifalco, ottenendo una retribuzione mensile durante la sua detenzione, per il tramite di Calogero Mannino.
- essere affiliato alla famiglia di Porta Nuova e aver posto in essere contatti con esponenti come Giovanni Nicchi e altri al fine di realizzare affari illeciti per conto di cosa nostra.
- aver operato nell'interesse della famiglia di Boccadifalco;
- aver preso parte al dibattito relativo al rientro degli Inzerillo in Italia;
- aver trattato affari illeciti di cosa nostra con Vincenzo Marcianò, Nicola Mandalà, Antonino Rotolo e altri.
- aver operato nell'interesse della famiglia di Boccadifalco;
- aver preso parte al dibattito relativo al rientro degli Inzerillo in Italia;
- aver trattato affari illeciti di cosa nostra con Vincenzo Marcianò, Antonino Rotolo e altri;
- essersi occupato del mantenimento in carcere di Tommaso Inzerillo
- aver operato nell'interesse della famiglia di Porta Nuova, partecipando a più riunioni con diversi esponenti mafiosi tra cui Giovanni Nicchi.
- aver contribuito con una serie di contatti indiretti con Antonino Rotolo alla ridefinizione dell'organigramma di vertice delle famiglie del mandamento di Porta Nuova, intrattenendo sul punto contatti diretti con Giovanni Nicchi
- aver operato nell'interesse di cosa nostra;
- aver mantenuto rapporti per la definizione di affari illeciti con Antonino Rotolo e con esponenti della famiglia di Corso dei Mille.
- aver agito da canale di comunicazioni tra Antonino Rotolo e cosa nostra, trattando per conto del Rotolo la ristrutturazione dei vertici di mandamenti mafiosi di Boccadifalco e Porta Nuova, e numerosi altri affari illeciti.
- aver operato per conto di cosa nostra e in particolare per le famiglie del mandamento della Noce, prendendo parte a più riunioni.
- aver mantenuto contatti con Antonino Rotolo e Antonino Cinà, e con Giovanni Cancemi e Giovanni Nicchi;
- aver operato perché cosa nostra supportass la candidatura alle elezioni per il consiglio comunale di Palermo del proprio nipote Marcello Parisi.
- aver mantenuto contatti con Antonino Rotolo allo scopo di organizzare i rapporti del Rotolo con Salvatore Lo Piccolo;
- aver messo a disposizione di cosa nostra gli uffici della società Edilizia 93 di Pietro Parisi e C. per incontri di appartenenti a cosa nostra;
- aver partecipato a riunioni con esponenti mafiosi quali Carmelo Cancemi, Antonino Rotolo, Nicolò Ingarao, Giovanni Nicchi, Angelo Rosario Parisi, e Carmelo Cangemi.
- aver operato per conto di cosa nostra, in particolare con l'organizzazione nel quartiere Noce.
- aver partecipato a riunioni con importanti esponenti di cosa nostra, tra i quali Antonino Rotolo e Francesco Bonura.
- aver partecipato a riunioni con importanti esponenti di cosa nostra, tra i quali Antonino Rotolo.
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Arresto di Domenico Raccuglia
Già uomo di fiducia di Giovanni Brusca, conosciuto con i soprannoni di dottore e veterinario, Domenico Mimmo Raccuglia é stato arrestato in una palazzina nel centro storico di Calatafimi.
Ricercato per tre condanne all'ergastolo, una delle quali per l'omicidio di Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo.
Considerato dominante a Partinico, era al secondo posto tra le priorità d'arresto delle forze dell'ordine nei confronti di cosa nostra, dopo Matteo Messina Denaro.
Dopo il suo arresto assumerebbero ancora maggior importanza le figure di Giovanni Nicchi e il Messina Denaro.
Fonti: sole24ore, repubblica, live sicilia
Ricercato per tre condanne all'ergastolo, una delle quali per l'omicidio di Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo.
Considerato dominante a Partinico, era al secondo posto tra le priorità d'arresto delle forze dell'ordine nei confronti di cosa nostra, dopo Matteo Messina Denaro.
Dopo il suo arresto assumerebbero ancora maggior importanza le figure di Giovanni Nicchi e il Messina Denaro.
Fonti: sole24ore, repubblica, live sicilia
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Arresto di Mario Luciano Romito
Mario Luciano Romito, 42 anni, ritenuto esponente di spicco dei Romito, una delle famiglie coinvolte con i Li Bergolis nella faida del Gargano, è stato arrestato a Manfredonia.
Coinvolto nel blitz dei carabinieri nel 2004 volto a intervenire sui partecipanti alla faida, ne uscì assolto da tutte le accuse due anni dopo.
Tra gli ultimi fatti che hanno coinvolto il Romito si segnala un attentato dinamitardo, da lui subito il 18 settembre.
Suo fratello, Franco Romito, anche lui considerato ai vertici della famiglia, é stato ucciso insieme a Giuseppe Trotta, suo autista, il 21 aprile scorso.
Fonte: corriere
Post correlati: Omicidio di Francesco Li Bergolis, Iscaro-Saburo
Coinvolto nel blitz dei carabinieri nel 2004 volto a intervenire sui partecipanti alla faida, ne uscì assolto da tutte le accuse due anni dopo.
Tra gli ultimi fatti che hanno coinvolto il Romito si segnala un attentato dinamitardo, da lui subito il 18 settembre.
Suo fratello, Franco Romito, anche lui considerato ai vertici della famiglia, é stato ucciso insieme a Giuseppe Trotta, suo autista, il 21 aprile scorso.
Fonte: corriere
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Iscaro-Saburo: i Ciavarrella
Dalla sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo 2009 presso la corte di assise di Foggia.
L'associazione mafiosa dei Ciavarrella.
Nella sentenza del Giudice dell'udienza preliminare i Ciavarrella vengono definiti come "un gruppo familiare che fonda sulle attività illecite la sua sussistenza" e si parla di "pieno coinvolgimento di Matteo, Marco" e anche della madre, Maria Cursio.
Si definiscono i Ciavarrella come una cosca mafiosa in ragione non solo dei loro traffici illeciti ma soprattutto per la maniera con cui vengono fisicamente eliminati gli oppositori.
Si identifica in Gennaro Giovanditto il tramite tra i Ciavarrella e i "montanari" Libergolis.
Tra i collaboratori di giustizia che hanno chiarito il quadro indiziario nei confronti dei Ciavarrella si segnalano Rosa Lidia Di Fiore e Antonio Pizzarelli.
La Di Fiore ha indicato il motivo del contrasto con i Tarantino nel fatto che Giuseppe Tarantino, fratello di Pietro e cognato della imputata, abbia ucciso cinque elementi dei Ciavarrella. Si nota che questo contrasto si é stemperato nel tempo, al punto che la Di Fiore aveva conosciuto Matteo Ciavarrella in quanto amico del marito Pietro Tarantino.
La morte di Antonio Ciavarrella venne però attribuita dal figlio Matteo di nuovo ai Tarantino, e in particolare a Carmine. Da cui il riesplodere delle tensioni tra i due gruppi criminali.
Il Pizzarelli parla anche della posizione del Giovanditto, che inizialmente sarebbe stato vicino ai Tarantino, da cui il suo soprannome di 'u musc lo stesso di Carmine Tarantino, ma successivamente si era messo in proprio, avvicinandosi a Matteo Ciavarrella.
Più tardi i Ciavarrella iniziarono a pensare che il Giovanditto facesse il doppio gioco per conto dei Li Bergolis, al punto da convincersi che l'omicidio di Antonio Ciavarrella fosse attribuibile a lui e ai Li Bergolis. Il motivo sarebbe stato che i Li Bergolis avrebbero voluto eliminare sia i Tarantino sia i Ciavarrella, per ragioni di gestione dei traffici.
Le dichiarazioni di Grazia Miscia supportano la tesi secondo cui Matteo Ciavarrella volesse eliminare tutti i Tarantino, addirittura prima che passasse un anno dalla morte del padre, Antonio Ciavarrella: "Per Matteo, che prima che faceva un anno del padre che era morto doveva uccidere tutti i Tarantino".
Fonte: Studio Legale Vaira
L'associazione mafiosa dei Ciavarrella.
Nella sentenza del Giudice dell'udienza preliminare i Ciavarrella vengono definiti come "un gruppo familiare che fonda sulle attività illecite la sua sussistenza" e si parla di "pieno coinvolgimento di Matteo, Marco" e anche della madre, Maria Cursio.
Si definiscono i Ciavarrella come una cosca mafiosa in ragione non solo dei loro traffici illeciti ma soprattutto per la maniera con cui vengono fisicamente eliminati gli oppositori.
Si identifica in Gennaro Giovanditto il tramite tra i Ciavarrella e i "montanari" Libergolis.
Tra i collaboratori di giustizia che hanno chiarito il quadro indiziario nei confronti dei Ciavarrella si segnalano Rosa Lidia Di Fiore e Antonio Pizzarelli.
La Di Fiore ha indicato il motivo del contrasto con i Tarantino nel fatto che Giuseppe Tarantino, fratello di Pietro e cognato della imputata, abbia ucciso cinque elementi dei Ciavarrella. Si nota che questo contrasto si é stemperato nel tempo, al punto che la Di Fiore aveva conosciuto Matteo Ciavarrella in quanto amico del marito Pietro Tarantino.
La morte di Antonio Ciavarrella venne però attribuita dal figlio Matteo di nuovo ai Tarantino, e in particolare a Carmine. Da cui il riesplodere delle tensioni tra i due gruppi criminali.
Il Pizzarelli parla anche della posizione del Giovanditto, che inizialmente sarebbe stato vicino ai Tarantino, da cui il suo soprannome di 'u musc lo stesso di Carmine Tarantino, ma successivamente si era messo in proprio, avvicinandosi a Matteo Ciavarrella.
Più tardi i Ciavarrella iniziarono a pensare che il Giovanditto facesse il doppio gioco per conto dei Li Bergolis, al punto da convincersi che l'omicidio di Antonio Ciavarrella fosse attribuibile a lui e ai Li Bergolis. Il motivo sarebbe stato che i Li Bergolis avrebbero voluto eliminare sia i Tarantino sia i Ciavarrella, per ragioni di gestione dei traffici.
Le dichiarazioni di Grazia Miscia supportano la tesi secondo cui Matteo Ciavarrella volesse eliminare tutti i Tarantino, addirittura prima che passasse un anno dalla morte del padre, Antonio Ciavarrella: "Per Matteo, che prima che faceva un anno del padre che era morto doveva uccidere tutti i Tarantino".
Fonte: Studio Legale Vaira
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Raffaele Cutolo e l'omicidio Tripodo
Il 16 ottobre 2007 la quarta sezione della corte di assise di Napoli ha pronunciato la sentenza contro Raffaele Cutolo, nato a Ottaviano il 10 dicembre 1941 imputato quale mandante dell'omicidio di Domenico Mico Tripodo avvenuto nel 1976 nel carcere di Poggioreale. Il reato é considerato aggravato da premeditazione e da motivi abietti di supremazia mafiosa. Il Cutolo é dichiarato colpevole e viene condannato all'ergastolo.
Ai tempi del fatto Cutolo era indicato come soggetto in formazione nell'ambito malavitoso.
Nel corso dell'udienza del 30 aprile 2007, Giacomo Ubaldo Lauro ha dichiarato che il Cutolo "é stato affiliato dai reggini ... Ciccio Canale, detto Gnuri ..., Vincenzo Mammoliti, Egidio Muraca"
Anche Gaetano Costa ha riferito dell'inserimento del Cutolo nella 'ndrangheta: "ha avuto il grado di santista, i referenti che l'hanno portato avanti ... Paolo Di Stefano, ... Egidio Muraca di San Biasi, ... Giuseppe Mammoliti".
Alla luce di ciò la corte ha ritenuto verosimile che il Cutolo a quei tempi si prestasse a fare "favori" per migliorare la propria collocazione nella società criminale. Tutte le fonti concordano nell'affermare che l'omicidio del Tripodo sia un "favore" del Cutolo a Paolo Di Stefano.
Pasquale D'Amico, indicato come braccio destro di Cutolo, dichiara che "i rapporti tra camorra e 'ndrangheta sono stati intensi almeno fino alla fine del 1982 ... Cutolo fece uccidere in carcere, a richiesta del De Stefano, Mico Tripodo ... da Agrippino Effice e da Salvatore Esposito che allora non erano ancora legalizzati."
Giuseppe Scriva, dell'omonima 'ndrina, ha sostanzialmente confermato la versione dei fatti, di cui sarebbe venuto a conoscenza direttamente dal Cutolo.
Carmine Alfieri sarebbe giunto alla conclusione che l'omicidio fosse stato commesso su ordine del Cutolo per ragionamento personale, essendo Effice ed Esposito vicini a Cutolo.
Grazie al racconto fatto da Giacomo Ubaldo Lauro si chiariscono anche i motivi dello scontro che ha portato all'omicidio. Avrebbe infatti appreso direttamente da Paolo De Stefano che il Cutolo era stato incaricato dell'omicidio. Il Lauro era tendenzialmente dalla parte del Tripodo ma, essendo la sua parte in fase perdente, si era atteggiato ad una formale equidistanza, seguendo lo schema classico dei conflitti mafiosi rappresentato dal detto "imbasciati iunco che cala la china".
Gaetano Costa ricorda infine come a metà degli anni ottanta il Mammoliti "disse che non poteva esprimersi contro Cutolo in quanto gli era riconoscente per quello che aveva fatto in ordine all'omicidio di Mico Tripodo".
Fonte: Camera Penale Irpina
Ai tempi del fatto Cutolo era indicato come soggetto in formazione nell'ambito malavitoso.
Nel corso dell'udienza del 30 aprile 2007, Giacomo Ubaldo Lauro ha dichiarato che il Cutolo "é stato affiliato dai reggini ... Ciccio Canale, detto Gnuri ..., Vincenzo Mammoliti, Egidio Muraca"
Anche Gaetano Costa ha riferito dell'inserimento del Cutolo nella 'ndrangheta: "ha avuto il grado di santista, i referenti che l'hanno portato avanti ... Paolo Di Stefano, ... Egidio Muraca di San Biasi, ... Giuseppe Mammoliti".
Alla luce di ciò la corte ha ritenuto verosimile che il Cutolo a quei tempi si prestasse a fare "favori" per migliorare la propria collocazione nella società criminale. Tutte le fonti concordano nell'affermare che l'omicidio del Tripodo sia un "favore" del Cutolo a Paolo Di Stefano.
Pasquale D'Amico, indicato come braccio destro di Cutolo, dichiara che "i rapporti tra camorra e 'ndrangheta sono stati intensi almeno fino alla fine del 1982 ... Cutolo fece uccidere in carcere, a richiesta del De Stefano, Mico Tripodo ... da Agrippino Effice e da Salvatore Esposito che allora non erano ancora legalizzati."
Giuseppe Scriva, dell'omonima 'ndrina, ha sostanzialmente confermato la versione dei fatti, di cui sarebbe venuto a conoscenza direttamente dal Cutolo.
Carmine Alfieri sarebbe giunto alla conclusione che l'omicidio fosse stato commesso su ordine del Cutolo per ragionamento personale, essendo Effice ed Esposito vicini a Cutolo.
Grazie al racconto fatto da Giacomo Ubaldo Lauro si chiariscono anche i motivi dello scontro che ha portato all'omicidio. Avrebbe infatti appreso direttamente da Paolo De Stefano che il Cutolo era stato incaricato dell'omicidio. Il Lauro era tendenzialmente dalla parte del Tripodo ma, essendo la sua parte in fase perdente, si era atteggiato ad una formale equidistanza, seguendo lo schema classico dei conflitti mafiosi rappresentato dal detto "imbasciati iunco che cala la china".
Gaetano Costa ricorda infine come a metà degli anni ottanta il Mammoliti "disse che non poteva esprimersi contro Cutolo in quanto gli era riconoscente per quello che aveva fatto in ordine all'omicidio di Mico Tripodo".
Fonte: Camera Penale Irpina
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Operazione Rebus - parte terza
Nuovi sviluppi in relazione all'operazione Rebus. Il 2 novembre sono stati sequestrati immobili, terreni ed esercizi commerciali a Palermo per un valore di 15 milioni di euro.
Il patrimonio era ufficialmente proprietà di una rete di prestanome dietro cui si nascondevano i reali responsabili, Francesco Madonia e Francesco di Trapani, entrambi deceduti ma che erano ai tempi capo e reggente del mandamento di Resuttana.
Un servizio di Sky sulla vicenda:
Il patrimonio era ufficialmente proprietà di una rete di prestanome dietro cui si nascondevano i reali responsabili, Francesco Madonia e Francesco di Trapani, entrambi deceduti ma che erano ai tempi capo e reggente del mandamento di Resuttana.
Un servizio di Sky sulla vicenda:
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Arresto di Luigi Esposito
Aveva assunto l'identità di Fabrizio Caliendo ed era in una villetta a Posillipo. Si trattava in realtà di Luigi Esposito, considerato vicino ad Angelo Nuvoletta.
E' stato arrestato dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli che hanno così posto fine alla sua latitanza.
Fonti: corriere, repubblica, rainews24
E' stato arrestato dai Carabinieri del Nucleo investigativo di Napoli che hanno così posto fine alla sua latitanza.
Fonti: corriere, repubblica, rainews24
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Il caso Fondi ad Annozero
La puntata del 5 novembre 2009 di Annozero é stata dedicata a Fondi, cittadina in provincia di Latina dove sono in corso indagini sulla presenza dei casalesi.
Iscaro-Saburo: i precendenti
Dalla sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo 2009 presso la corte di assise di Foggia.
I precedenti.
Per ricostruire i precedenti al processo Iscaro-Saburo, ci si riferisce alla sentenza del processo Gargano.
Nella sentenza di primo grado, Armando Li Bergolis, Matteo Li Bergolis, Francesco Li Bergolis, Francesco Romito, Franco Romito, Mario Luciano Romito, Matteo Lombardi, Giuseppe Pacilli, Ludovico Pacilli, e Pasquale Ricucci sono stati ritenuti far parte di una associazione per delinquere contrapposta agli Alfieri-Primosa, di cui facevano parte anche Francesco Prencipe e Giuseppe Quitadamo uccisi nel 2001 all'interno della faida del Gargano.
Detta faida sarebbe iniziata a fine 1978 con l'omicidio di Lorenzo Ricucci, considerato affiliato ai Primosa-Alfieri. Un'anno dopo toccava a Raffaele Primosa, rimasto paralizzato in seguito ad uno scontro a fuoco, e che indicò in Francesco ciccillo Li Bergolis il responsabile.
Nell'agosto 1980 Raffaele Primosa e ciccillo Li Bergolis si ferirono reciprocamente in uno scontro a fuoco, e, meno di un mese dopo, il Primosa subiva un nuovo attentato mentre era in compagnia di Michele calcarulacchio Li Bergolis, anch'egli sarebbe stato affiliato ai Primosa-Alfieri. A commettere il fatto sarebbero stati i fratelli Li Bergolis: Francesco e Pasquale.
A fine 1980 veniva ucciso Giuseppe Li Bergolis, fratello di Francesco e Pasquale.
Due anni dopo veniva rapito e ucciso Libero Vergura. Giuseppe Quitadamo e Luciano Stipulante, dei Primosa-Alfieri, sono stati condannati in via definitiva per questo fatto.
Nel maggio 1985 Angelo Di Bari, personaggio riconducibile ai Primosa-Alfieri, veniva ritrovato carbonizzato in una vettura rubata abbandonata nelle campagne del Gargano.
Nel gennaio 1989 Pasquale Li Bergolis subiva un attentato mentre era in macchina con i suoi figli. Tre settimane più tardi veniva prima ucciso Luciano Stipulante. Dieci giorni più tardi ci fu un nuovo attentato alla volta di Pasquale Li Bergolis e suo figlio Matteo. Un mese più tardi venivano uccisi Pietro e Giuseppe Alfieri. A fine anno cadeva Giuseppe Li Bergolis, fratello del calcarulacchio.
Nel 1990 Vittorio e Francesco Carbonelli, in aprile, e a novembre Antonio Del Nobile.
Nel marzo 1992 veniva ucciso Matteo Li Bergolis, cugino omonimo dell'imputato in questo procedimento. Nel luglio Pasquale Li Bergolis veniva ferito in un ennesimo attentato, nonostante fosse a bordo di una vettura blindata. Subito dopo veniva eliminato Matteo Scirpoli, considerato collegato ai Primosa-Alfieri. A ferragosto si sparò a Michele Primosa, figlio di Raffaele, e La Torre Bartolomeo; e dopo tre giorni toccò a Antonio Miucci, cognato di ciccillo Li Bergolis.
A settembre cadeva Nicolino Primosa, figlio di Raffaele. Seguivano le morti di Raffaele Palena e Raffaele Carbonelli, entrambi indicati come legati ai Li Bergolis.
Tra gli innumerevoli fatti seguenti si ricordano:
Fonte: Studio Legale Vaira
I precedenti.
Per ricostruire i precedenti al processo Iscaro-Saburo, ci si riferisce alla sentenza del processo Gargano.
Nella sentenza di primo grado, Armando Li Bergolis, Matteo Li Bergolis, Francesco Li Bergolis, Francesco Romito, Franco Romito, Mario Luciano Romito, Matteo Lombardi, Giuseppe Pacilli, Ludovico Pacilli, e Pasquale Ricucci sono stati ritenuti far parte di una associazione per delinquere contrapposta agli Alfieri-Primosa, di cui facevano parte anche Francesco Prencipe e Giuseppe Quitadamo uccisi nel 2001 all'interno della faida del Gargano.
Detta faida sarebbe iniziata a fine 1978 con l'omicidio di Lorenzo Ricucci, considerato affiliato ai Primosa-Alfieri. Un'anno dopo toccava a Raffaele Primosa, rimasto paralizzato in seguito ad uno scontro a fuoco, e che indicò in Francesco ciccillo Li Bergolis il responsabile.
Nell'agosto 1980 Raffaele Primosa e ciccillo Li Bergolis si ferirono reciprocamente in uno scontro a fuoco, e, meno di un mese dopo, il Primosa subiva un nuovo attentato mentre era in compagnia di Michele calcarulacchio Li Bergolis, anch'egli sarebbe stato affiliato ai Primosa-Alfieri. A commettere il fatto sarebbero stati i fratelli Li Bergolis: Francesco e Pasquale.
A fine 1980 veniva ucciso Giuseppe Li Bergolis, fratello di Francesco e Pasquale.
Due anni dopo veniva rapito e ucciso Libero Vergura. Giuseppe Quitadamo e Luciano Stipulante, dei Primosa-Alfieri, sono stati condannati in via definitiva per questo fatto.
Nel maggio 1985 Angelo Di Bari, personaggio riconducibile ai Primosa-Alfieri, veniva ritrovato carbonizzato in una vettura rubata abbandonata nelle campagne del Gargano.
Nel gennaio 1989 Pasquale Li Bergolis subiva un attentato mentre era in macchina con i suoi figli. Tre settimane più tardi veniva prima ucciso Luciano Stipulante. Dieci giorni più tardi ci fu un nuovo attentato alla volta di Pasquale Li Bergolis e suo figlio Matteo. Un mese più tardi venivano uccisi Pietro e Giuseppe Alfieri. A fine anno cadeva Giuseppe Li Bergolis, fratello del calcarulacchio.
Nel 1990 Vittorio e Francesco Carbonelli, in aprile, e a novembre Antonio Del Nobile.
Nel marzo 1992 veniva ucciso Matteo Li Bergolis, cugino omonimo dell'imputato in questo procedimento. Nel luglio Pasquale Li Bergolis veniva ferito in un ennesimo attentato, nonostante fosse a bordo di una vettura blindata. Subito dopo veniva eliminato Matteo Scirpoli, considerato collegato ai Primosa-Alfieri. A ferragosto si sparò a Michele Primosa, figlio di Raffaele, e La Torre Bartolomeo; e dopo tre giorni toccò a Antonio Miucci, cognato di ciccillo Li Bergolis.
A settembre cadeva Nicolino Primosa, figlio di Raffaele. Seguivano le morti di Raffaele Palena e Raffaele Carbonelli, entrambi indicati come legati ai Li Bergolis.
Tra gli innumerevoli fatti seguenti si ricordano:
- la sparatoria del 1993 tra Matteo Rinaldi e Matteo Li Bergolis;
- l'omicidio nel 1995 di Pasquale Li Bergolis e Matteo Ciuffreda con il conseguente ferimento di Armando Li Bergolis per cui si ipotizzò la responsabilità di Francesco Prencipe e Michele Primosa;
- l'omicidio di Francesco Fischetti nel 1996 nei pressi della frequentata Basilica di San Michele, attribuito a Matteo Lombardi e Pasquale Ricucci;
- l'omicidio di Michele Brigida nel 1997;
- il tentato omicidio di Armando Li Bergolis del 1998.
Fonte: Studio Legale Vaira
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Atti,
SCU-pugliesi
Operazione Agorà
Sette arresti a Foggia nell'ambito dell'operazione Agorà, rivolta a colpire due bande contrapposte della "società" foggiana in lotta tra loro.
Si tratta dei Moretti-Lanza-Pellegrino, che sarebbero capeggiati da Vito Lanza e dei Sinesi-Francavilla di Roberto Sinesi.
Sarebbero da ascrivere a questa guerra di mafia il tentato omicidio di Claudio Russo e di Angelo Bruno, e l'omicidio di Antonio Bernardo.
Gli arrestati sono:
Vito Bruno Lanza, 56 anni, accusato di essere il mandante dei tentativi di omicidio di Claudio Russo e di Angelo Bruno;
Antonio Racano, 49 anni;
Salvatore Veneziano di 22 anni.
L'ordinanza di custodia cautelare é stata notificata in carcere a:
Savino Lanza, 26 anni, figlio di Vito Lanza;
Leonardo Lanza, 30 anni;
Claudio Russo;
Alessandro Aprile, 25 anni, ritenuto il responsabile del tentato omicidio di Antonio Capantica Pellegrino;
Fonti: corriere, repubblica, teleradioerre
Si tratta dei Moretti-Lanza-Pellegrino, che sarebbero capeggiati da Vito Lanza e dei Sinesi-Francavilla di Roberto Sinesi.
Sarebbero da ascrivere a questa guerra di mafia il tentato omicidio di Claudio Russo e di Angelo Bruno, e l'omicidio di Antonio Bernardo.
Gli arrestati sono:
Vito Bruno Lanza, 56 anni, accusato di essere il mandante dei tentativi di omicidio di Claudio Russo e di Angelo Bruno;
Antonio Racano, 49 anni;
Salvatore Veneziano di 22 anni.
L'ordinanza di custodia cautelare é stata notificata in carcere a:
Savino Lanza, 26 anni, figlio di Vito Lanza;
Leonardo Lanza, 30 anni;
Claudio Russo;
Alessandro Aprile, 25 anni, ritenuto il responsabile del tentato omicidio di Antonio Capantica Pellegrino;
Fonti: corriere, repubblica, teleradioerre
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SCU-pugliesi
Operazione Dioscuri
L'operazione Dioscuri ha colpito prevalentemente i Melodia di Alcamo, noti per il loro appoggio a Matteo Messina Denaro. Dieci le ordinanze di custodia cautelare che sono state eseguite.
Tra gli arrestati spiccano i nomi dei due fratelli Nicolò Cola, 85 anni, e Diego, 74 anni, Melodia, pregiudicati di 85 e 74 anni, ritenuti reggenti della cosca, rispettivamente padre e zio di Antonino Melodia, che era a capo del mandamento fino al suo arresto, e di suo fratello Ignazio 'u dutturi (che deve il suo soprannome alla sua qualifica di medico), entrambi in carcere con condanne per associazione mafiosa ed estorsione.
I due fratelli Cola e Diego Melodia sarebbero stati in competizione per il comando della cosca, inizialmente assunto da Nicolò, ma contestato da Diego, che avrebbe ottenuto l'appoggio di diversi membri influenti della famiglia.
Anna Maria Accurso, 46 anni, moglie di Antonino Melodia, é stata arrestata in quanto avrebbe gestito i proventi delle estorsioni e di altre attività della cosca.
Anna Greco, 49 anni, si sarebbe occupata di estorsioni. La Greco sarebbe figlia di un mafioso di recente incluso tra i nomi considerati vicini al Messina Denaro.
Filippo Di Maria, 49 anni, e Gaetano Scarpulla, 40 anni, sono ritenuti uomini di fiducia di Nicolò Melodia, si sarebbero occupati della riscossione delle tangenti.
Il Di Maria avrebbe anche tenuto i collegamenti con la politica per conto della famiglia.
Arrestato anche Tommaso Vilardi, 66 anni.
Notificati in carcere i provvedimenti a Lorenzo Greco, 77 anni, Felice Vallone, 41 anni, e Stefano Regina, 45 anni.
Fonti: agi, ansa, repubblica
Tra gli arrestati spiccano i nomi dei due fratelli Nicolò Cola, 85 anni, e Diego, 74 anni, Melodia, pregiudicati di 85 e 74 anni, ritenuti reggenti della cosca, rispettivamente padre e zio di Antonino Melodia, che era a capo del mandamento fino al suo arresto, e di suo fratello Ignazio 'u dutturi (che deve il suo soprannome alla sua qualifica di medico), entrambi in carcere con condanne per associazione mafiosa ed estorsione.
I due fratelli Cola e Diego Melodia sarebbero stati in competizione per il comando della cosca, inizialmente assunto da Nicolò, ma contestato da Diego, che avrebbe ottenuto l'appoggio di diversi membri influenti della famiglia.
Anna Maria Accurso, 46 anni, moglie di Antonino Melodia, é stata arrestata in quanto avrebbe gestito i proventi delle estorsioni e di altre attività della cosca.
Anna Greco, 49 anni, si sarebbe occupata di estorsioni. La Greco sarebbe figlia di un mafioso di recente incluso tra i nomi considerati vicini al Messina Denaro.
Filippo Di Maria, 49 anni, e Gaetano Scarpulla, 40 anni, sono ritenuti uomini di fiducia di Nicolò Melodia, si sarebbero occupati della riscossione delle tangenti.
Il Di Maria avrebbe anche tenuto i collegamenti con la politica per conto della famiglia.
Arrestato anche Tommaso Vilardi, 66 anni.
Notificati in carcere i provvedimenti a Lorenzo Greco, 77 anni, Felice Vallone, 41 anni, e Stefano Regina, 45 anni.
Fonti: agi, ansa, repubblica
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Cosa nostra
Operazione Parco Sud
L'operazione Parco Sud ha colpito i Barbaro-Papalia e ha mostrato il livello di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico imprenditoriale e istituzionale lombardo. Tra gli affari esaminati dagli investigatori spiccano i cantieri per il raddoppio della linea ferroviaria Milano-Mortara e della Tav.
Coinvolti nell'inchiesta imprenditori edili, immobiliaristi, amministratori e personale di Comuni.
Quarantotto le persone indagate e diciassette le ordinanze di custodia cautelare in carcere, tra cui spicca quella per Domenico l'Australiano Barbaro, 72 anni, già in carcere e sotto processo a Milano per associazione mafiosa.
Raggiunti in carcere da una nuova misura cautelare anche Rosario e Salvatore Barbaro, figli di Domenico e anch'essi coinvolti nel medesimo processo del padre.
Tra gli arrestati anche loro cugino, Francesco Barbaro; gli imprenditori Andrea Madaffari e Alfredo Iorio.
Arrestati per reati che variano dal traffico di droga, corruzione, falso, ricettazione ad altri: Franco Michele Mazzone, Nicola Carbone, Giuseppe D'Aloja, Achille Frontini, Alfredo Iorio, Giuseppe Liuni, Paolo Salvaggio, Claudio Triglione, Fortunato Startari.
Lo Startari è accusato di aver nascosto il latitante Paolo Platì, che é stato arrestato nel giugno 2008 ad Assago.
Si parla di una cosca spuria, che opera nel mondo imprenditoriale, e pure in quello della droga e delle armi.
I sequestri hanno riguardato armi, tra cui mitragliatori e fucili a canne mozze, pistole, silenziatori, munizioni e una bomba a mano; stupefacenti, oltre a 4 chili di cocaina; manche 5 milioni di euro in beni immobili, quote societarie e contanti.
Inoltre, alcuni imprenditori da minacciati sarebbero poi diventati favoreggiatori e fiancheggiatori della cosca.
Fonti: ansa, affari italiani, giorno, repubblica, apcom
Coinvolti nell'inchiesta imprenditori edili, immobiliaristi, amministratori e personale di Comuni.
Quarantotto le persone indagate e diciassette le ordinanze di custodia cautelare in carcere, tra cui spicca quella per Domenico l'Australiano Barbaro, 72 anni, già in carcere e sotto processo a Milano per associazione mafiosa.
Raggiunti in carcere da una nuova misura cautelare anche Rosario e Salvatore Barbaro, figli di Domenico e anch'essi coinvolti nel medesimo processo del padre.
Tra gli arrestati anche loro cugino, Francesco Barbaro; gli imprenditori Andrea Madaffari e Alfredo Iorio.
Arrestati per reati che variano dal traffico di droga, corruzione, falso, ricettazione ad altri: Franco Michele Mazzone, Nicola Carbone, Giuseppe D'Aloja, Achille Frontini, Alfredo Iorio, Giuseppe Liuni, Paolo Salvaggio, Claudio Triglione, Fortunato Startari.
Lo Startari è accusato di aver nascosto il latitante Paolo Platì, che é stato arrestato nel giugno 2008 ad Assago.
Si parla di una cosca spuria, che opera nel mondo imprenditoriale, e pure in quello della droga e delle armi.
I sequestri hanno riguardato armi, tra cui mitragliatori e fucili a canne mozze, pistole, silenziatori, munizioni e una bomba a mano; stupefacenti, oltre a 4 chili di cocaina; manche 5 milioni di euro in beni immobili, quote societarie e contanti.
Inoltre, alcuni imprenditori da minacciati sarebbero poi diventati favoreggiatori e fiancheggiatori della cosca.
Fonti: ansa, affari italiani, giorno, repubblica, apcom
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'ndrangheta
Iscaro-Saburo: collaboratori di giustizia
Dalla sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo 2009 presso la corte di assise di Foggia.
La valutazione dei collaboratori di giustizia.
In questo procedimento sono stati sentiti come collaboratori di giustizia Antonio Pizzarelli, Rosa Lidia Di Fiore, Antonio Riccardi, Antonio Catalano, Saverio Filannino, Grazia Miscia e Antonella De Luca.
Antonio Pizzarelli ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo il suo arresto per l'omicidio di Antonio Tarantino di cui si auto-accuserà come esecutore materiale. Le sue confessioni hanno coinvolto la famiglia Ciavarrella ed in particolare Matteo Ciavarrella, che a seguito di esse è stato condannato all'ergastolo.
Il Pizzarelli ha commesso l'omicidio in concorso con Matteo Ciavarrella (e ad altri, tra cui Pietro Centonza e Marco Ciavarrella) nell'ambito del programma criminoso dei Ciavarrella finalizzato allo sterminio della famiglia Tarantino.
Rosa Lidia Di Fiore è moglie di Pietro Tarantino e si è legata sentimentalmente a Matteo Ciavarrella , uno dei maggiori esponenti del gruppo avverso alla famiglia del marito. Ha partecipato direttamente alla vita del gruppo dei Ciavarrella, tanto che ha avuto un figlio con Matteo. Ha deciso di collaborare in seguito alle violenze su lei esercitate dal nuovo compagno.
Grazia Miscia é madre della Di Fiore, fornisce un importante riscontro alla tipologia dei rapporti fra la Di Fiore ed il Ciavarrella.
Il contributo di Antonio Riccardi é considerato limitato, il suo racconto ha riguardato prevalentemente la posizione dei Romito, con cui ha avuto i maggiori contatti.
La posizione di Antonio Catalano é considerata marginale. Ha riferito di aver fatto parte già dagli anni ottanta di una organizzazione mafiosa foggiana facente capo a
Sinesi Roberto. Ha fatto luce sulle prime rotture che hanno portato ad una evoluzione del sodalizio e che è stata determinata dalla morte di Mario Francavilla e dalla scomparsa di Vincenzo Parisi.
L'apporto di Saverio Filannino é limitato alla figura di Saverio Tucci. Yuri Allegretti, collaboratore di giustizia che ha parlato de La società foggiana, e del suo rapporto con Franco Vitagliano, di cui era nipote e guardaspalle, ha fornito un apporto minimale al dibattimento corrente.
L'apporto di Rita D'Onofrio é stato considerato troppo scarso.
La deposizione di Antonella De Luca riguarda specificamente i capi di imputazione relativi agli omicidi di Fiorentino ed Impagniatielli e la posizione di Giovanni Prencipe.
Fonte: Studio Legale Vaira
La valutazione dei collaboratori di giustizia.
In questo procedimento sono stati sentiti come collaboratori di giustizia Antonio Pizzarelli, Rosa Lidia Di Fiore, Antonio Riccardi, Antonio Catalano, Saverio Filannino, Grazia Miscia e Antonella De Luca.
Antonio Pizzarelli ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo il suo arresto per l'omicidio di Antonio Tarantino di cui si auto-accuserà come esecutore materiale. Le sue confessioni hanno coinvolto la famiglia Ciavarrella ed in particolare Matteo Ciavarrella, che a seguito di esse è stato condannato all'ergastolo.
Il Pizzarelli ha commesso l'omicidio in concorso con Matteo Ciavarrella (e ad altri, tra cui Pietro Centonza e Marco Ciavarrella) nell'ambito del programma criminoso dei Ciavarrella finalizzato allo sterminio della famiglia Tarantino.
Rosa Lidia Di Fiore è moglie di Pietro Tarantino e si è legata sentimentalmente a Matteo Ciavarrella , uno dei maggiori esponenti del gruppo avverso alla famiglia del marito. Ha partecipato direttamente alla vita del gruppo dei Ciavarrella, tanto che ha avuto un figlio con Matteo. Ha deciso di collaborare in seguito alle violenze su lei esercitate dal nuovo compagno.
Grazia Miscia é madre della Di Fiore, fornisce un importante riscontro alla tipologia dei rapporti fra la Di Fiore ed il Ciavarrella.
Il contributo di Antonio Riccardi é considerato limitato, il suo racconto ha riguardato prevalentemente la posizione dei Romito, con cui ha avuto i maggiori contatti.
La posizione di Antonio Catalano é considerata marginale. Ha riferito di aver fatto parte già dagli anni ottanta di una organizzazione mafiosa foggiana facente capo a
Sinesi Roberto. Ha fatto luce sulle prime rotture che hanno portato ad una evoluzione del sodalizio e che è stata determinata dalla morte di Mario Francavilla e dalla scomparsa di Vincenzo Parisi.
L'apporto di Saverio Filannino é limitato alla figura di Saverio Tucci. Yuri Allegretti, collaboratore di giustizia che ha parlato de La società foggiana, e del suo rapporto con Franco Vitagliano, di cui era nipote e guardaspalle, ha fornito un apporto minimale al dibattimento corrente.
L'apporto di Rita D'Onofrio é stato considerato troppo scarso.
La deposizione di Antonella De Luca riguarda specificamente i capi di imputazione relativi agli omicidi di Fiorentino ed Impagniatielli e la posizione di Giovanni Prencipe.
Fonte: Studio Legale Vaira
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SCU-pugliesi
Arresto di Pasquale Russo
Dopo il fratello, Salvatore, é stato arrestato anche Pasquale Russo, latitante dal 1993. Un tempo i due fratelli erano al vertice del clan guidato da Carmine 'o 'ntufato Alfieri, oggi pentito. Gli inizi di carriera dei Russo sono negli anni Settanta, e sono legati ai nomi di Mario Fabbrocino e Michele Zaza.
Insieme a Pasquale é stato arrestato anche un terzo fratello, Carmine Russo che era irreperibile dal maggio 2007. I due erano in un casolare nell'avellinese.
Pasquale Russo avrebbe difeso la sua latitanza usando visori notturni a infrarossi, scanner per intercettare le forze dell'ordine, rivelatori di microspie e apparecchiature gps, indicati come di prevalente origine polacca.
Sarebbero provate le sue relazioni con i capi della cosa nostra siciliana per i quali sarebbe stato il referente in Campania.
I Russo e i Casalesi sono le due sole organizzazioni camorristiche a struttura verticistica come quella della cosa nostra siciliana. I Russo hanno legami con i corleonesi, con i Moccia di Afragola, i Fabbrocino di San Giuseppe Vesuviano, i Cesarano a Pompei.
Salvatore teneva i contatti con Pasquale attraverso dei biglietti, e questo ha fatto sì che all'arresto del primo sia seguito immediatamente quello del secondo.
Fonti: sole24ore, nolano, agi
Insieme a Pasquale é stato arrestato anche un terzo fratello, Carmine Russo che era irreperibile dal maggio 2007. I due erano in un casolare nell'avellinese.
Pasquale Russo avrebbe difeso la sua latitanza usando visori notturni a infrarossi, scanner per intercettare le forze dell'ordine, rivelatori di microspie e apparecchiature gps, indicati come di prevalente origine polacca.
Sarebbero provate le sue relazioni con i capi della cosa nostra siciliana per i quali sarebbe stato il referente in Campania.
I Russo e i Casalesi sono le due sole organizzazioni camorristiche a struttura verticistica come quella della cosa nostra siciliana. I Russo hanno legami con i corleonesi, con i Moccia di Afragola, i Fabbrocino di San Giuseppe Vesuviano, i Cesarano a Pompei.
Salvatore teneva i contatti con Pasquale attraverso dei biglietti, e questo ha fatto sì che all'arresto del primo sia seguito immediatamente quello del secondo.
Fonti: sole24ore, nolano, agi
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