E' stato arrestato Salvatore Russo, latitante dal 1995 come il fratello Pasquale, tuttora irreperibile. Un tempo erano al vertice del clan guidato da Carmine 'o 'ntufato Alfieri, oggi pentito. Gli inizi di carriera dei fratelli Russo sono negli anni Settanta, e sono legati ai nomi di Mario Fabbrocino e Michele Zaza.
Al vertice del loro clan, egemone nell'agro nolano e uno dei più potenti nel napoletano, sarebbe rimasto dunque il fratello Pasquale Russo.
Fonti: stampa, agi
Iscaro-Saburo: ipotesi accusatoria
E' stata depositata il 5 giugno 2009 la sentenza del procedimento penale contro Andrea Barbarino e altri 23, comunemente noto come processo Iscaro-Saburo, che si é concluso con l'udienza del 7 marzo presso la corte di assise di Foggia.
L'ipotesi accusatoria.
Il procedimento in questione é il risultato della fusione di due indagini, la prima nota come Iscaro, e la seconda come Saburo. Scopo delle indagini é stato quello di fare luce sulla cosiddetta faida del Gargano tra i Li Bergolis e i Primosa-Alfieri. Si é scelto di raggruppare i procedimenti allo scopo di dare una lettura dei fenomeni investigati come relativi alle vicende di un unica associazione di stampo mafioso definito dall'accusa come "una associazione mafiosa, armata, (...) formata da numerosissimi soggetti con legami anche con pezzi della 'ndrangheta calabrese, e con altre mafie territoriali, operante nei comuni di Manfredonia, San Nicandro, Monte S. Angelo, Apricena, Cagnano Varano ed in generale nella Provincia di Foggia, avente la finalità di controllare il territorio dal punto di vista economico e (...) militare, facendo ricorso alla violenza ed alla intimidazione, creando una struttura gerarchica con vincoli di assoggettamento, con ruoli ben delineati, volta a realizzare (...) omicidi, di tentati omicidi, di attentati alla vita altrui, di estorsioni, di detenzione e possesso di armi, anche da guerra, di detenzione e cessione di ingenti quantità di sostanza stupefacente (...), reati contro il patrimonio, colludendo, al fine di garantirsi l'impunità, con esponenti compiacenti e consapevoli delle forze dell'ordine, garantendosi ed assicurandosi protezioni contro l'attività investigativa".
Si ipotizza che i Li Bergolis, noti anche come i montanari siano capeggiati da Armando Li Bergolis e Franco Romito e operino sull'intero territorio garganico, con un centro di comando stabilito nella masseria Orti Frenti in Manfredonia.
Posizioni direttive sarebbero coperte anche da Gennaro Giovanditto, Franco Li Bergolis, Matteo Li Bergolis e Giovanni Prencipe. Altri associati sarebbero Andrea Barbarino, Leonardo Clemente, Giuseppe Tomaiuolo, Rosa Lidia Di Fiore, Nicandro Ferrandino, Costantino Folla e Carmine Grimaldi.
Secondo l'accusa, la mafiosità dell'associazione sarebbe dimostrata dalla forza d'intimidazione derivante dal vincolo associativo e dsll'omertà che ne deriva e dai forti vincoli familiari che caratterizzerebbero i componenti del gruppo.
Le componenti dell'associazione sarebbero strutturate su basi familistiche, con i Li Bergolis, capeggiati da Armando che si avvarrebbe della collaborazione dei fratelli Franco e Matteo, e, fino al giorno del suo omicidio, nel settembre 2003, di Michele Santoro.
La famiglia Romito avrebbe a capo Francesco ciccillone, e vedrebbe attivi i suoi figli Franco, Mario e Michele. Questa componente sarebbe maggiormente collegata alla società civile.
A un livello più basso ci sarebbero i Ciavarrella, legati ai Li Bergolis-Romito da figure di riferimento quali il Giovanditto, e storicamente contrapposti ai Tarantino. In sede di giudizio é sembrata prevalente l'ipotesi che i Ciavarrella mantengano una loro indipendenza dai montanari.
E' stata inoltre notata la posizione ambigua dei Romito, che sono stati usati dai carabinieri come confidenti o agenti provocatori.
Fonte: Studio Legale Vaira
L'ipotesi accusatoria.
Il procedimento in questione é il risultato della fusione di due indagini, la prima nota come Iscaro, e la seconda come Saburo. Scopo delle indagini é stato quello di fare luce sulla cosiddetta faida del Gargano tra i Li Bergolis e i Primosa-Alfieri. Si é scelto di raggruppare i procedimenti allo scopo di dare una lettura dei fenomeni investigati come relativi alle vicende di un unica associazione di stampo mafioso definito dall'accusa come "una associazione mafiosa, armata, (...) formata da numerosissimi soggetti con legami anche con pezzi della 'ndrangheta calabrese, e con altre mafie territoriali, operante nei comuni di Manfredonia, San Nicandro, Monte S. Angelo, Apricena, Cagnano Varano ed in generale nella Provincia di Foggia, avente la finalità di controllare il territorio dal punto di vista economico e (...) militare, facendo ricorso alla violenza ed alla intimidazione, creando una struttura gerarchica con vincoli di assoggettamento, con ruoli ben delineati, volta a realizzare (...) omicidi, di tentati omicidi, di attentati alla vita altrui, di estorsioni, di detenzione e possesso di armi, anche da guerra, di detenzione e cessione di ingenti quantità di sostanza stupefacente (...), reati contro il patrimonio, colludendo, al fine di garantirsi l'impunità, con esponenti compiacenti e consapevoli delle forze dell'ordine, garantendosi ed assicurandosi protezioni contro l'attività investigativa".
Si ipotizza che i Li Bergolis, noti anche come i montanari siano capeggiati da Armando Li Bergolis e Franco Romito e operino sull'intero territorio garganico, con un centro di comando stabilito nella masseria Orti Frenti in Manfredonia.
Posizioni direttive sarebbero coperte anche da Gennaro Giovanditto, Franco Li Bergolis, Matteo Li Bergolis e Giovanni Prencipe. Altri associati sarebbero Andrea Barbarino, Leonardo Clemente, Giuseppe Tomaiuolo, Rosa Lidia Di Fiore, Nicandro Ferrandino, Costantino Folla e Carmine Grimaldi.
Secondo l'accusa, la mafiosità dell'associazione sarebbe dimostrata dalla forza d'intimidazione derivante dal vincolo associativo e dsll'omertà che ne deriva e dai forti vincoli familiari che caratterizzerebbero i componenti del gruppo.
Le componenti dell'associazione sarebbero strutturate su basi familistiche, con i Li Bergolis, capeggiati da Armando che si avvarrebbe della collaborazione dei fratelli Franco e Matteo, e, fino al giorno del suo omicidio, nel settembre 2003, di Michele Santoro.
La famiglia Romito avrebbe a capo Francesco ciccillone, e vedrebbe attivi i suoi figli Franco, Mario e Michele. Questa componente sarebbe maggiormente collegata alla società civile.
A un livello più basso ci sarebbero i Ciavarrella, legati ai Li Bergolis-Romito da figure di riferimento quali il Giovanditto, e storicamente contrapposti ai Tarantino. In sede di giudizio é sembrata prevalente l'ipotesi che i Ciavarrella mantengano una loro indipendenza dai montanari.
E' stata inoltre notata la posizione ambigua dei Romito, che sono stati usati dai carabinieri come confidenti o agenti provocatori.
Fonte: Studio Legale Vaira
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SCU-pugliesi
Alfa e Beta: conclusioni
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Gli spunti indiziari a sostegno dell'ipotesi accusatoria sono stati considerati incerti e frammentari e quindi non si é dato il mandato a compiere ulteriori approfondimenti.
La ricerca di nuovi contatti e nuovi equilibri fu perseguita da cosa nostra a tutto campo per mezzo di diverse iniziative dopo che, ai loro occhi, i vecchi refenti politici li avevano abbandonati. La creazione di movimenti separatistici, come Sicilia Libera, va letta come carta estrema da giocare nel caso che fallissero tutte le altre possibili soluzioni di collateralismo politico, da sempre preferite da cosa nostra.
I collaboratori maggiormente in grado di fornire informazioni precise sulle trattative sono quelli che erano ai tempi nella Commissione, Salvatore Cancemi, reggente di Porta Nuova, e Giovanni Brusca, reggente di San Giuseppe Jato.
Le dichiarazioni di Cancemi sono però considerate anguillose e spesso volte a ridimensionare il proprio ruolo nei fatti in discussione. Brusca é spesso apparso reticente.
Dunque il quadro indiziario viene considerato friabile e si dispone quindi l'archiviazione del procedimento in data 3 maggio 2002.
Fonte: società civile
Gli spunti indiziari a sostegno dell'ipotesi accusatoria sono stati considerati incerti e frammentari e quindi non si é dato il mandato a compiere ulteriori approfondimenti.
La ricerca di nuovi contatti e nuovi equilibri fu perseguita da cosa nostra a tutto campo per mezzo di diverse iniziative dopo che, ai loro occhi, i vecchi refenti politici li avevano abbandonati. La creazione di movimenti separatistici, come Sicilia Libera, va letta come carta estrema da giocare nel caso che fallissero tutte le altre possibili soluzioni di collateralismo politico, da sempre preferite da cosa nostra.
I collaboratori maggiormente in grado di fornire informazioni precise sulle trattative sono quelli che erano ai tempi nella Commissione, Salvatore Cancemi, reggente di Porta Nuova, e Giovanni Brusca, reggente di San Giuseppe Jato.
Le dichiarazioni di Cancemi sono però considerate anguillose e spesso volte a ridimensionare il proprio ruolo nei fatti in discussione. Brusca é spesso apparso reticente.
Dunque il quadro indiziario viene considerato friabile e si dispone quindi l'archiviazione del procedimento in data 3 maggio 2002.
Fonte: società civile
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Cosa nostra
Omicidio di Mariano Bacioterracino
L'11 maggio scorso Mariano Bacioterracino, 53 anni considerato vicino ai Misso, é stato ucciso in pieno giorno nel rione Sanità a Napoli.
I carabinieri hanno ora diffuso il filmato allo scopo di sollecitare la collaborazione di chiunque sia in grado di fornire informazioni utili all'identificazione del killer e del suo complice.
Da youtube, il video dell'esecuzione commentato da Roberto Saviano:
Altre fonti: mattino, repubblica
I carabinieri hanno ora diffuso il filmato allo scopo di sollecitare la collaborazione di chiunque sia in grado di fornire informazioni utili all'identificazione del killer e del suo complice.
Da youtube, il video dell'esecuzione commentato da Roberto Saviano:
Altre fonti: mattino, repubblica
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Camorra
Omicidio di Francesco Libergolis
La famiglia Libergolis (o anche "Li Bergolis", sono citati nei due modi, spesso anche su documenti ufficiali) ha perso il suo capo storico.
Francesco Ciccillo Libergolis é stato eliminato all'età di 67 anni con una rosa di pallini alla schiena e finito con sei colpi di pistola in faccia, in quella che ha tutti gli elementi per essere considerata una perfetta esecuzione in stile mafioso.
La vittima aveva con sé una pistola con matricola abrasa, forse segno che aveva fiutato un pericolo.
Le cronache hanno parlato a livello nazionale dei Libergolis per la faida del Gargano, iniziata negli anni settanta, che ha avuto ramificazioni in Piemonte e Lombardia, e che ha causato in trent'anni quaranta morti o forse più.
Ciccillo 'u calcarulo e il fratello Pasquale erano a capo dello schieramento dei Libergolis-Romito, i montanari, che si contrapponeva agli Alfieri-Primosa. Inizialmente lo scontro era nato contese territoriali per pascoli e abigeato per diventare in seguito un vero e proprio scontro tra organizzazioni mafiose. Nei vari processi istruiti in seguito ai reati contestati alle due fazioni, gli investigatori hanno ricostruito un collegamento con le organizzazioni mafiose foggiane.
Tra i principali fatti di sangue che hanno costellato la faida si ricordano l'omicidio di Lorenzo Ricucci nel '78, a cui sarebbero seguite le sparatorie degli anni ottanta, culminate con l'assassinio di Peppino e Pietro Alfieri, avvenuto il primo marzo dell'89, un mese dopo un agguato fallito a Pasquale Libergolis. Questi venne catturato nell'agosto '92, condannato a 25 anni di reclusione in primo grado per il duplice omicidio, e quindi assolto nel '95 in appello. Il 16 giugno '95 morì in un agguato.
Il comando dei Libergolis sarebbe passato ai figli di Pasquale, Franco, Matteo e Armando, dopo un periodo in cui il potere sarebbe stato gestito dal solo Francesco. A capo dei Libergolis ora ci sarebbe Franco, che si é dato alla latitanza dopo il verdetto della corte di assise di Foggia del marzo scorso che lo condannava all'ergastolo.
Arrestato nel maggio 2005 dopo un anno di latitanza, in quanto coinvolto nella maxi operazione Iscaro-Saburo che ha portato all'arresto di 99 persone, il Libergolis era stato assolto dalle accuse di concorso in associazione mafiosa e omicidio e nell'agosto 2006 era stato scarcerato.
Al momento si ritiene che l'omicidio sia stato organizzato o dagli Alfieri-Primosa, in uno strascico della lunga faida che ha colpito nel dicembre scorso Giuseppe Palumbo, considerato vicino a questi ultimi, oppure dai Romito, ufficialmente alleati dei Libergolis ma ultimamente in rotta, come si desumerebbe dall'omicidio di Francesco Romito e del suo autista avvenuto nell'aprile scorso.
Fonti: ansa, corriere, repubblica
Francesco Ciccillo Libergolis é stato eliminato all'età di 67 anni con una rosa di pallini alla schiena e finito con sei colpi di pistola in faccia, in quella che ha tutti gli elementi per essere considerata una perfetta esecuzione in stile mafioso.
La vittima aveva con sé una pistola con matricola abrasa, forse segno che aveva fiutato un pericolo.
Le cronache hanno parlato a livello nazionale dei Libergolis per la faida del Gargano, iniziata negli anni settanta, che ha avuto ramificazioni in Piemonte e Lombardia, e che ha causato in trent'anni quaranta morti o forse più.
Ciccillo 'u calcarulo e il fratello Pasquale erano a capo dello schieramento dei Libergolis-Romito, i montanari, che si contrapponeva agli Alfieri-Primosa. Inizialmente lo scontro era nato contese territoriali per pascoli e abigeato per diventare in seguito un vero e proprio scontro tra organizzazioni mafiose. Nei vari processi istruiti in seguito ai reati contestati alle due fazioni, gli investigatori hanno ricostruito un collegamento con le organizzazioni mafiose foggiane.
Tra i principali fatti di sangue che hanno costellato la faida si ricordano l'omicidio di Lorenzo Ricucci nel '78, a cui sarebbero seguite le sparatorie degli anni ottanta, culminate con l'assassinio di Peppino e Pietro Alfieri, avvenuto il primo marzo dell'89, un mese dopo un agguato fallito a Pasquale Libergolis. Questi venne catturato nell'agosto '92, condannato a 25 anni di reclusione in primo grado per il duplice omicidio, e quindi assolto nel '95 in appello. Il 16 giugno '95 morì in un agguato.
Il comando dei Libergolis sarebbe passato ai figli di Pasquale, Franco, Matteo e Armando, dopo un periodo in cui il potere sarebbe stato gestito dal solo Francesco. A capo dei Libergolis ora ci sarebbe Franco, che si é dato alla latitanza dopo il verdetto della corte di assise di Foggia del marzo scorso che lo condannava all'ergastolo.
Arrestato nel maggio 2005 dopo un anno di latitanza, in quanto coinvolto nella maxi operazione Iscaro-Saburo che ha portato all'arresto di 99 persone, il Libergolis era stato assolto dalle accuse di concorso in associazione mafiosa e omicidio e nell'agosto 2006 era stato scarcerato.
Al momento si ritiene che l'omicidio sia stato organizzato o dagli Alfieri-Primosa, in uno strascico della lunga faida che ha colpito nel dicembre scorso Giuseppe Palumbo, considerato vicino a questi ultimi, oppure dai Romito, ufficialmente alleati dei Libergolis ma ultimamente in rotta, come si desumerebbe dall'omicidio di Francesco Romito e del suo autista avvenuto nell'aprile scorso.
Fonti: ansa, corriere, repubblica
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SCU-pugliesi
Cesare Pagano

Aggiornamento: arrestato l'8 luglio 2010.
Cesare Pagano era nell'elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità facenti parte del "Programma Speciale di Ricerca" selezionati dal Gruppo Integrato Interforze.
Dopo gli arresti effettuati nel corso dell'operazione C3 che ha colpito duramente gli Amato-Pagano, noti anche come gli scissionisti di Scampia, e il successivo arresto di Antonio Bastone, sarebbe ora lui a capo della suddetta organizzazione criminale.
Cesare è fratello di Vincenzo Pagano e di Ermelinda Pagano, moglie di Raffaele Amato.
Michele Antonio Varano

Nel 2000 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali.
Michele Antonio Varano é nell'elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità facenti parte del "Programma Speciale di Ricerca" selezionati dal Gruppo Integrato Interforze.
Si é parlato di lui come uno dei protagonisti della Montenegro Connection, noto con i nomi di Filippo, Antonio o Antonino, operava in Svizzera in contatto con gruppi criminali italiani. E' stato arrestato nel maggio scorso dalla polizia elvetica, a quanto si legge sul ticinese Mattino Online, non per il suo convolgimento nel processo Montecristo, stralcio locale della Montenegro Connection, ma per un traffico di marijuana ad alto contenuto di THC.
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Latitanti
Alfa e Beta: le indagini
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le indagini su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.
Si é cercata conferma alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia per quel che riguarda i rapporti o le connessioni di Silvio Berlusconi, Marcello Dell'Utri e persone ad essi collegate con la criminalità organizzata di tipo mafioso.
Una nota del 1994 dello SCO della Polizia di Stato evidenziava che nulla emergeva in relazione a Berlusconi, a proposito del quale veniva solo segnalato che era stato oggetto di investigazione per la sua appartenenza alla loggia massonica P2 e per i suoi accertati collegamenti con il faccendiere Flavio Carboni. Venivano viceversa evidenziati i rapporti dei fratelli Marcello e Alberto Dell'Utri con esponenti di cosa nostra siciliana, emersi nell’ambito di indagini per traffico di stupefacenti.
Successive investigazioni hanno accertato che Dell'Utri aveva rapporti con esponenti del mondo finanziario e politico (Aristide Gunnella e Bettino Craxi), ma anche con personaggi palermitani poi indagati per reati connessi con le attività di cosa nostra. Tra le figure che sarebbero collegabili ci sarebbero il commercialista Giuseppe Mandalari, Gaetano Cinà, poi coimputato con Dell'Utri in un procedimento a Palermo, e Vittorio Mangano.
La figura criminale di Vittorio Mangano é riconosciuta in numerosi procedimenti. Si cita come esempio un rapporto giudiziario del 1983, redatto dalle Criminalpol della Lombardia, del Lazio e della Sicilia, e dalla Questura di Roma a carico di Giuseppe Bono e altri 159 per associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Qui Mangano veniva indicato come capo di un gruppo dedito al traffico di stupefacenti su scala nazionale, saldamente collegato alla mafia palermitana.
Marcello Dell'Utri ha ammesso di aver conosciuto Mangano, di avere avuto con lui rapporti ottimi, di averlo segnalato a Berlusconi perché fosse assunto alle sue dipendenze; ha aggiunto di sapere che Mangano continuò a frequentare la scuderia di Arcore anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Ha infine riferito di averlo incontrato ancora altre volte tra la fine degli anni '80 e gli inizi degli anni '90, perché dopo la sua scarcerazione Mangano di tanto in tanto andava a trovarlo a Milano.
Vittorio Mangano ha confermato le circostanze, affermando che nel 1973 Marcello Dell'Utri e Gaetano Cinà gli proposero il lavoro ad Arcore presso Berlusconi, indicatogli come amico di Dell'Utri, che aveva bisogno di un fattore. Ha dichiarato inoltre che durante la sua permanenza ad Arcore fu arrestato e, dopo essere stato scarcerato, vi fece rientro. Ha negato invece gli incontri successivi al 1990, ma in modo che é sembrato inattendibile agli inquirenti, sia per le risultanze dell'agenda di Dell'Utri, sia per le dichiarazioni stesse del Dell'Utri.
Da annotazioni del Dell'Utri risulterebbero confermati i contatti di questi con l'avvocato catanese XXX, sottoposto ad indagine dalla DDA di Catania per traffico d'armi [come da commento, l'avvocato stesso segnala che si tratta di un errore presente nel decreto di archiviazione - vedi link a piè di pagina - del quale dava atto il GIP dottor Tona emettendo un decreto in data 10/08/05, cancellandone il nome].
Si sarebbe poi trovati, su un'altra sua agenda, numeri di telefono riconducibili a Perrin Patrick, persona in contatto con Licio Gelli, implicato in una vicenda di esportazione clandestina di pesetas, e oggetto di ricerche internazionali per la rapina di un portavalori insieme a Francesco Mangion e Giuseppe Strano, esponenti dei Santapaola di Catania.
Dall'analisi del traffico telefonico, sarebbero stati trovati contatti tra il Dell'Utri e personaggi considerati vicini a cosa nostra, come Salvatore Scardina e Rosario Cattafi.
In una nota del 1999, la DIA ha evidenziato elementi di correlazione tra alcune delle società di interesse degli indagati in questo contesto ed altre società facenti capo a soggetti con ruoli di primo piano nei settori più fortemente condizionati dagli interessi e dalle direttive di cosa nostra; in particolare si fanno i nomi di Filippo Salamone, Giovanni Miccichè e Salvatore Simonetti, che pur non essendo imparentato con Giovanni e Domenico Simonetti, anch'essi originari di San Giuseppe Jato e noti per la loro vicinanza a cosa nostra e aver fatto da prestanome per Riina e Brusca, risultava essere stato cointeressato in diverse società insieme a Salamone e Miccichè e anche a Giovanni Gentile, legato a Vincenzo Virga, noto capomafia di Trapani.
Il Salamone, come dichiarato da Angelo Siino e Giovanni Brusca, e confermato da altre autorità competenti, avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel patto del tavolino, in base al quale gli appalti in territorio siciliano venivano gestiti dallo stesso Salamone, da Antonino Buscemi (imprenditore vicino a Riina e titolare al 50% della Reale Costruzioni facente capo al gruppo Ferruzzi) e da Giovanni Bini (uomo di fiducia di Buscemi, quale rappresentante delle società facenti capo al gruppo Ferruzzi in Sicilia).
Vengono perciò considerate quantomeno non del tutto implausibili nè peregrine le ricostruzioni offerte dai diversi collaboratori di giustizia.
Inoltre altri soggetti comunque legati al gruppo Fininvest avevano intrattenuto rapporti di affari con personaggi di cosa nostra, si cita ad esempio Massimo Maria Berruti che, secondo Siino avrebbe fatto da intermediario con Berlusconi per una delle trattative di cui si é parlato.
Si conclude segnalando che non è stato possibile acquisire "elementi utili aventi carattere esaustivo" sui viaggi aerei effettuati da Marcello Dell'Utri tra Milano e Catania nel periodo in cui si sarebbe dovuto incontrare con referenti di cosa nostra.
Fonte: società civile
Le indagini su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.
Si é cercata conferma alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia per quel che riguarda i rapporti o le connessioni di Silvio Berlusconi, Marcello Dell'Utri e persone ad essi collegate con la criminalità organizzata di tipo mafioso.
Una nota del 1994 dello SCO della Polizia di Stato evidenziava che nulla emergeva in relazione a Berlusconi, a proposito del quale veniva solo segnalato che era stato oggetto di investigazione per la sua appartenenza alla loggia massonica P2 e per i suoi accertati collegamenti con il faccendiere Flavio Carboni. Venivano viceversa evidenziati i rapporti dei fratelli Marcello e Alberto Dell'Utri con esponenti di cosa nostra siciliana, emersi nell’ambito di indagini per traffico di stupefacenti.
Successive investigazioni hanno accertato che Dell'Utri aveva rapporti con esponenti del mondo finanziario e politico (Aristide Gunnella e Bettino Craxi), ma anche con personaggi palermitani poi indagati per reati connessi con le attività di cosa nostra. Tra le figure che sarebbero collegabili ci sarebbero il commercialista Giuseppe Mandalari, Gaetano Cinà, poi coimputato con Dell'Utri in un procedimento a Palermo, e Vittorio Mangano.
La figura criminale di Vittorio Mangano é riconosciuta in numerosi procedimenti. Si cita come esempio un rapporto giudiziario del 1983, redatto dalle Criminalpol della Lombardia, del Lazio e della Sicilia, e dalla Questura di Roma a carico di Giuseppe Bono e altri 159 per associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Qui Mangano veniva indicato come capo di un gruppo dedito al traffico di stupefacenti su scala nazionale, saldamente collegato alla mafia palermitana.
Marcello Dell'Utri ha ammesso di aver conosciuto Mangano, di avere avuto con lui rapporti ottimi, di averlo segnalato a Berlusconi perché fosse assunto alle sue dipendenze; ha aggiunto di sapere che Mangano continuò a frequentare la scuderia di Arcore anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Ha infine riferito di averlo incontrato ancora altre volte tra la fine degli anni '80 e gli inizi degli anni '90, perché dopo la sua scarcerazione Mangano di tanto in tanto andava a trovarlo a Milano.
Vittorio Mangano ha confermato le circostanze, affermando che nel 1973 Marcello Dell'Utri e Gaetano Cinà gli proposero il lavoro ad Arcore presso Berlusconi, indicatogli come amico di Dell'Utri, che aveva bisogno di un fattore. Ha dichiarato inoltre che durante la sua permanenza ad Arcore fu arrestato e, dopo essere stato scarcerato, vi fece rientro. Ha negato invece gli incontri successivi al 1990, ma in modo che é sembrato inattendibile agli inquirenti, sia per le risultanze dell'agenda di Dell'Utri, sia per le dichiarazioni stesse del Dell'Utri.
Da annotazioni del Dell'Utri risulterebbero confermati i contatti di questi con l'avvocato catanese XXX, sottoposto ad indagine dalla DDA di Catania per traffico d'armi [come da commento, l'avvocato stesso segnala che si tratta di un errore presente nel decreto di archiviazione - vedi link a piè di pagina - del quale dava atto il GIP dottor Tona emettendo un decreto in data 10/08/05, cancellandone il nome].
Si sarebbe poi trovati, su un'altra sua agenda, numeri di telefono riconducibili a Perrin Patrick, persona in contatto con Licio Gelli, implicato in una vicenda di esportazione clandestina di pesetas, e oggetto di ricerche internazionali per la rapina di un portavalori insieme a Francesco Mangion e Giuseppe Strano, esponenti dei Santapaola di Catania.
Dall'analisi del traffico telefonico, sarebbero stati trovati contatti tra il Dell'Utri e personaggi considerati vicini a cosa nostra, come Salvatore Scardina e Rosario Cattafi.
In una nota del 1999, la DIA ha evidenziato elementi di correlazione tra alcune delle società di interesse degli indagati in questo contesto ed altre società facenti capo a soggetti con ruoli di primo piano nei settori più fortemente condizionati dagli interessi e dalle direttive di cosa nostra; in particolare si fanno i nomi di Filippo Salamone, Giovanni Miccichè e Salvatore Simonetti, che pur non essendo imparentato con Giovanni e Domenico Simonetti, anch'essi originari di San Giuseppe Jato e noti per la loro vicinanza a cosa nostra e aver fatto da prestanome per Riina e Brusca, risultava essere stato cointeressato in diverse società insieme a Salamone e Miccichè e anche a Giovanni Gentile, legato a Vincenzo Virga, noto capomafia di Trapani.
Il Salamone, come dichiarato da Angelo Siino e Giovanni Brusca, e confermato da altre autorità competenti, avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel patto del tavolino, in base al quale gli appalti in territorio siciliano venivano gestiti dallo stesso Salamone, da Antonino Buscemi (imprenditore vicino a Riina e titolare al 50% della Reale Costruzioni facente capo al gruppo Ferruzzi) e da Giovanni Bini (uomo di fiducia di Buscemi, quale rappresentante delle società facenti capo al gruppo Ferruzzi in Sicilia).
Vengono perciò considerate quantomeno non del tutto implausibili nè peregrine le ricostruzioni offerte dai diversi collaboratori di giustizia.
Inoltre altri soggetti comunque legati al gruppo Fininvest avevano intrattenuto rapporti di affari con personaggi di cosa nostra, si cita ad esempio Massimo Maria Berruti che, secondo Siino avrebbe fatto da intermediario con Berlusconi per una delle trattative di cui si é parlato.
Si conclude segnalando che non è stato possibile acquisire "elementi utili aventi carattere esaustivo" sui viaggi aerei effettuati da Marcello Dell'Utri tra Milano e Catania nel periodo in cui si sarebbe dovuto incontrare con referenti di cosa nostra.
Fonte: società civile
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Cosa nostra
Alfa e Beta: Maurizio Avola
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Maurizio Avola.
Maurizio Avola, prima di diventare collaboratore di giustizia, aveva militato nei Santapaola di Catania, in particolare si é accertata la sua vicinanza ad Aldo Ercolano e a Benedetto Nitto Santapaola. In occasione del processo contro Mariano Agate e altri 26 per la strage di via D'Amelio ha dichiarato di essere stato in contatto con la cosa nostra palermitana per mezzo di Marcello D'Agata. Avrebbe contribuito alla preparazione di attentati che si sarebbero dovuti eseguire a Firenze tra il 1992 e il 1993.
Nel mese di settembre 1992 (o, secondo un'altra versione, nel febbraio/marzo dello stesso anno) avrebbe partecipato ad una riunione a Catania, zona Zia Lisa, dove trascorreva la latitanza Nitto Santapaola, con Salvatore Totò Riina, Eugenio Gallea, Marcello D'Agata, Aldo Ercolano e Alfio Fichera, che aveva come scopo la nascita di un nuovo partito.
Ha riferito inoltre di una riunione tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993 nell'albergo romano Excelsior, alla quale avrebbero partecipato D'Agata, Gallea e Pacini Battaglia e allo scopo di discutere dell'eliminazione di Antonio Di Pietro
per fare un favore a Bettino Craxi. Non si é trovata una conferma di questa circostanza, anche se Giovanni Brusca ha riferito dello stesso progetto in termini compatibili.
Nel corso di un interrogatorio nel 1999 l'Avola ha fatto dichiarazioni sulla strategia che condusse alle stragi di Capaci e di via D'Amelio, nonché a quelle successive commesse nel nord Italia. "Tutto deriva dai contatti fra Alfano e Dell'Utri. A Messina alla fine del 1991, ci sono stati degli incontri cui hanno partecipato Alfano, Sparacio, Dell'Utri ed alcuni uomini d’onore della famiglia catanese di cosa nostra"
Michelangelo Alfano, secondo Avola, fece da mediatore per conto dei Santapaola con Marcello Dell'Utri dopo gli attentati alla Standa di Catania, entrando in rapporto diretto con lui.
Marcello D'Agata avrebbe detto all'Avola a fine 1991 che cosa nostra voleva appoggiare una nuova forza politica perchè la rappresentasse dopo il tradimento dei precedenti referenti. Il progetto prevedeva l'eliminazione di noti politici e magistrati.
Il collaboratore Luigi Sparacio ha confermato l'esistenza dei rapporti tra Alfano e il Dell'Utri, ma fornendo una ricostruzione dei fatti a volte contraddittoria.
Si nota come le informazioni riportate da Avola siano basate su quanto gli é stato detto dal D'Agata, occorrerebbero quindi elementi di riscontro particolarmente robusti per poter dare loro valenza probatoria.
Fonte: società civile
Le dichiarazioni di Maurizio Avola.
Maurizio Avola, prima di diventare collaboratore di giustizia, aveva militato nei Santapaola di Catania, in particolare si é accertata la sua vicinanza ad Aldo Ercolano e a Benedetto Nitto Santapaola. In occasione del processo contro Mariano Agate e altri 26 per la strage di via D'Amelio ha dichiarato di essere stato in contatto con la cosa nostra palermitana per mezzo di Marcello D'Agata. Avrebbe contribuito alla preparazione di attentati che si sarebbero dovuti eseguire a Firenze tra il 1992 e il 1993.
Nel mese di settembre 1992 (o, secondo un'altra versione, nel febbraio/marzo dello stesso anno) avrebbe partecipato ad una riunione a Catania, zona Zia Lisa, dove trascorreva la latitanza Nitto Santapaola, con Salvatore Totò Riina, Eugenio Gallea, Marcello D'Agata, Aldo Ercolano e Alfio Fichera, che aveva come scopo la nascita di un nuovo partito.
Ha riferito inoltre di una riunione tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993 nell'albergo romano Excelsior, alla quale avrebbero partecipato D'Agata, Gallea e Pacini Battaglia e allo scopo di discutere dell'eliminazione di Antonio Di Pietro
per fare un favore a Bettino Craxi. Non si é trovata una conferma di questa circostanza, anche se Giovanni Brusca ha riferito dello stesso progetto in termini compatibili.
Nel corso di un interrogatorio nel 1999 l'Avola ha fatto dichiarazioni sulla strategia che condusse alle stragi di Capaci e di via D'Amelio, nonché a quelle successive commesse nel nord Italia. "Tutto deriva dai contatti fra Alfano e Dell'Utri. A Messina alla fine del 1991, ci sono stati degli incontri cui hanno partecipato Alfano, Sparacio, Dell'Utri ed alcuni uomini d’onore della famiglia catanese di cosa nostra"
Michelangelo Alfano, secondo Avola, fece da mediatore per conto dei Santapaola con Marcello Dell'Utri dopo gli attentati alla Standa di Catania, entrando in rapporto diretto con lui.
Marcello D'Agata avrebbe detto all'Avola a fine 1991 che cosa nostra voleva appoggiare una nuova forza politica perchè la rappresentasse dopo il tradimento dei precedenti referenti. Il progetto prevedeva l'eliminazione di noti politici e magistrati.
Il collaboratore Luigi Sparacio ha confermato l'esistenza dei rapporti tra Alfano e il Dell'Utri, ma fornendo una ricostruzione dei fatti a volte contraddittoria.
Si nota come le informazioni riportate da Avola siano basate su quanto gli é stato detto dal D'Agata, occorrerebbero quindi elementi di riscontro particolarmente robusti per poter dare loro valenza probatoria.
Fonte: società civile
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Cosa nostra
Alfa e Beta: Tullio Cannella
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Tullio Cannella.
Si é accertato che Tullio Cannella fondò nell'ottobre 1993 il movimento Sicilia Libera a Palermo. Leoluca Bagarella si sarebbe subito interessato a questo movimento, promise appoggio per mezzo di uomini della famiglia di Brancaccio, e avrebbe messo il Cannella in contatto con trapanesi e di catanesi per le elezioni politiche nazionali.
Antonino Calvaruso, che era l'amministratore del villaggio Euromare, formalmente intestato a Cannella in quanto prestanome dei fratelli Graviano, gli disse più tardi che Brusca e Bagarella avevano deciso di appoggiare Forza Italia. Calvaruso ha confermato di essere a conoscenza degli interessi per Sicilia Libera di Bagarella, che gli avrebbe motivato la cosa in quanto sarebbe rimasto, dopo l'arresto di Salvatore Totò Riina, con i soli agganci politici mediati dai fratelli Graviano.
Si nota che Giuseppe e Filippo Graviano erano all'epoca latitanti nel milanese, e furono catturati nel gennaio 1994 in una trattoria del posto assieme ad alcuni soggetti che ne favorivano la latitanza, come il palermitano Giuseppe D'Agostino, cher era a Milano perché si aspettava che il figlio fosse ingaggiato nelle squadre giovanili del Milan.
Calvaruso sostiene che il Bagarella nel 1994 si disinteressò di Sicilia Libera, deducendone che si fosse orientato a sostenere Forza Italia.
Cannella sostiene che Bagarella "era già perfettamente a conoscenza che era in cantiere la discesa in campo di Silvio Berlusconi a capo di un nuovo movimento politico che ci avrebbe assicurato, in virtù di impegni preesistenti, di risolvere le questioni che più stavano a cuore a cosa nostra e cioè: pentiti, carcere duro e reato di associazione mafiosa (...) queste erano, per così dire, le priorità che l'accordo con Berlusconi ci avrebbe consentito a breve termine di affrontare e risolvere. Questa strategia non escludeva, anzi camminava di pari passo con quella
separatista di cui ho già parlato, che era caldeggiata principalmente da Bagarella e da Nitto Santapaola a Catania tramite Alfio Fichera, ma per la quale si prevedeva una realizzazione solo in un futuro non immediato"
Secondo Cannella il Bagarella gli avrebbe detto che "a Roma si era costituito un ottimo rapporto con il costruttore Franco Caltagirone, a sua volta in rapporto con Giulio Andreotti (...) i Graviano avevano ripreso un vecchio rapporto che il Caltagirone aveva avuto con cosa nostra sin dai tempi di Stefano Bontade. A Milano i rapporti (...) erano stati costituiti da Marcello Dell'Utri con cui i Graviano si incontravano personalmente (...). La nascita ed il consolidarsi delle relazioni di cui ho appena detto concretizzò definitivamente un rapporto di amicizia e di collaborazione su tutti i fronti con Dell'Utri e conseguentemente con Berlusconi. Questa non è solo una mia deduzione ma fu oggetto di numerose conversazioni con Leoluca Bagarella, oltre che con altri uomini di cosa nostra"
Cannella ha poi parlato di attività svolte da uomini di cosa nostra per sostenere Berlusconi nella elezioni del 1994 e ha detto che Calvaruso gli riferì che Giovanni Brusca si stava impegnando in questo senso.
Brusca nega la circostanza ma Giuseppe Monticciolo, considerato a lui molto vicino, dichiarò che il boss di San Giuseppe Jato avrebbe apprezzato alcuni esponenti di Forza Italia, anche per il loro impegno contro il 41bis. Brusca avrebbe sollecitato i suoi ad appoggiare Forza Italia cercando voti a panza 'n terra.
Cannella dice poi che "quando Berlusconi tenne l'ultimo comizio della sua campagna elettorale a Palermo (...) ero presente su incarico di Bagarella. Riferii, poi, allo stesso Bagarella di una frase di Berlusconi in cui si manifestava un vago proposito di utilizzare i voti ‘contro la delinquenza’. Bagarella mi disse che era una frase ‘obbligata’ per l'opinione pubblica e per i giornalisti, dato che era stato contestato al Berlusconi che non parlava mai di mafia; ma in quella stessa occasione mi assicurò, ancora una volta, che lo stesso aveva preso ‘impegni seri’ con noi intendendo con tutta cosa nostra"
Cesare Lupo, indicato dal Cannella come una delle sue fonti, é persona il cui spessore criminale all'interno di cosa nostra é stato accertato da approfondite indagini.
Fonte: società civile
Le dichiarazioni di Tullio Cannella.
Si é accertato che Tullio Cannella fondò nell'ottobre 1993 il movimento Sicilia Libera a Palermo. Leoluca Bagarella si sarebbe subito interessato a questo movimento, promise appoggio per mezzo di uomini della famiglia di Brancaccio, e avrebbe messo il Cannella in contatto con trapanesi e di catanesi per le elezioni politiche nazionali.
Antonino Calvaruso, che era l'amministratore del villaggio Euromare, formalmente intestato a Cannella in quanto prestanome dei fratelli Graviano, gli disse più tardi che Brusca e Bagarella avevano deciso di appoggiare Forza Italia. Calvaruso ha confermato di essere a conoscenza degli interessi per Sicilia Libera di Bagarella, che gli avrebbe motivato la cosa in quanto sarebbe rimasto, dopo l'arresto di Salvatore Totò Riina, con i soli agganci politici mediati dai fratelli Graviano.
Si nota che Giuseppe e Filippo Graviano erano all'epoca latitanti nel milanese, e furono catturati nel gennaio 1994 in una trattoria del posto assieme ad alcuni soggetti che ne favorivano la latitanza, come il palermitano Giuseppe D'Agostino, cher era a Milano perché si aspettava che il figlio fosse ingaggiato nelle squadre giovanili del Milan.
Calvaruso sostiene che il Bagarella nel 1994 si disinteressò di Sicilia Libera, deducendone che si fosse orientato a sostenere Forza Italia.
Cannella sostiene che Bagarella "era già perfettamente a conoscenza che era in cantiere la discesa in campo di Silvio Berlusconi a capo di un nuovo movimento politico che ci avrebbe assicurato, in virtù di impegni preesistenti, di risolvere le questioni che più stavano a cuore a cosa nostra e cioè: pentiti, carcere duro e reato di associazione mafiosa (...) queste erano, per così dire, le priorità che l'accordo con Berlusconi ci avrebbe consentito a breve termine di affrontare e risolvere. Questa strategia non escludeva, anzi camminava di pari passo con quella
separatista di cui ho già parlato, che era caldeggiata principalmente da Bagarella e da Nitto Santapaola a Catania tramite Alfio Fichera, ma per la quale si prevedeva una realizzazione solo in un futuro non immediato"
Secondo Cannella il Bagarella gli avrebbe detto che "a Roma si era costituito un ottimo rapporto con il costruttore Franco Caltagirone, a sua volta in rapporto con Giulio Andreotti (...) i Graviano avevano ripreso un vecchio rapporto che il Caltagirone aveva avuto con cosa nostra sin dai tempi di Stefano Bontade. A Milano i rapporti (...) erano stati costituiti da Marcello Dell'Utri con cui i Graviano si incontravano personalmente (...). La nascita ed il consolidarsi delle relazioni di cui ho appena detto concretizzò definitivamente un rapporto di amicizia e di collaborazione su tutti i fronti con Dell'Utri e conseguentemente con Berlusconi. Questa non è solo una mia deduzione ma fu oggetto di numerose conversazioni con Leoluca Bagarella, oltre che con altri uomini di cosa nostra"
Cannella ha poi parlato di attività svolte da uomini di cosa nostra per sostenere Berlusconi nella elezioni del 1994 e ha detto che Calvaruso gli riferì che Giovanni Brusca si stava impegnando in questo senso.
Brusca nega la circostanza ma Giuseppe Monticciolo, considerato a lui molto vicino, dichiarò che il boss di San Giuseppe Jato avrebbe apprezzato alcuni esponenti di Forza Italia, anche per il loro impegno contro il 41bis. Brusca avrebbe sollecitato i suoi ad appoggiare Forza Italia cercando voti a panza 'n terra.
Cannella dice poi che "quando Berlusconi tenne l'ultimo comizio della sua campagna elettorale a Palermo (...) ero presente su incarico di Bagarella. Riferii, poi, allo stesso Bagarella di una frase di Berlusconi in cui si manifestava un vago proposito di utilizzare i voti ‘contro la delinquenza’. Bagarella mi disse che era una frase ‘obbligata’ per l'opinione pubblica e per i giornalisti, dato che era stato contestato al Berlusconi che non parlava mai di mafia; ma in quella stessa occasione mi assicurò, ancora una volta, che lo stesso aveva preso ‘impegni seri’ con noi intendendo con tutta cosa nostra"
Cesare Lupo, indicato dal Cannella come una delle sue fonti, é persona il cui spessore criminale all'interno di cosa nostra é stato accertato da approfondite indagini.
Fonte: società civile
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Cosa nostra
Alfa e Beta: Vincenzo La Piana
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Vincenzo La Piana.
Il La Piana é un collaboratore di giustizia che ha operato nell'ambito della cosa nostra palermitana, mantenendo rapporti considerati "qualificati" con Gerlando Alberti. Dichiara di aver conosciuto Vittorio Mangano da molto tempo e di essere entrato in relazione a lui tramite un suo genero, tale Enrico, per ottenere l'autorizzazione ad operare nel territorio di Mangano, che si conferma essere stato il reggente di Porta Nuova, fino al momento del suo arresto, quando gli subentrò Salvatore Cucuzza.
Il La Piana avrebbe cercato di intervenire a favore del Mangano, con il fine minimo di ottenere il suo trasferimento dal carcere di Pianosa ad uno meno duro. In particolare ha narrato un suo viaggio a Milano con l'Enrico di cui sopra al fine di contattare Dell'Utri. Si sarebbero incontrati in un ristorante nella zona di piazzale Corvetto e il Dell'Utri avrebbe promesso di darsi da fare.
Tempo dopo il La Piana chiese a Enrico come era andata a finire e gli fu risposto che i problemi si stavano aggravando perché la vicenda di Mangano aveva avuto progressiva notorietà ed era sempre più difficile intervenire.
Fonte: società civile
Le dichiarazioni di Vincenzo La Piana.
Il La Piana é un collaboratore di giustizia che ha operato nell'ambito della cosa nostra palermitana, mantenendo rapporti considerati "qualificati" con Gerlando Alberti. Dichiara di aver conosciuto Vittorio Mangano da molto tempo e di essere entrato in relazione a lui tramite un suo genero, tale Enrico, per ottenere l'autorizzazione ad operare nel territorio di Mangano, che si conferma essere stato il reggente di Porta Nuova, fino al momento del suo arresto, quando gli subentrò Salvatore Cucuzza.
Il La Piana avrebbe cercato di intervenire a favore del Mangano, con il fine minimo di ottenere il suo trasferimento dal carcere di Pianosa ad uno meno duro. In particolare ha narrato un suo viaggio a Milano con l'Enrico di cui sopra al fine di contattare Dell'Utri. Si sarebbero incontrati in un ristorante nella zona di piazzale Corvetto e il Dell'Utri avrebbe promesso di darsi da fare.
Tempo dopo il La Piana chiese a Enrico come era andata a finire e gli fu risposto che i problemi si stavano aggravando perché la vicenda di Mangano aveva avuto progressiva notorietà ed era sempre più difficile intervenire.
Fonte: società civile
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Cosa nostra
Alfa e Beta: Salvatore Cucuzza
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Salvatore Cucuzza.
Salvatore Cucuzza, associato a Porta Nuova, ha confermato che Cancemi é stato il reggente di quel mandamento per conto di Pippo Calò e che tale ruolo fu poi assegnato a Vittorio Mangano.
Calò, lo incaricò di far sapere che egli non si sentiva adeguatamente rappresentato da Mangano e Cucuzza afferma di essersi incontrato con Brusca e Bagarella per portare questa ambasciata. I due risposero garantendo personalmente per Mangano, portando ad una soluzione di compromesso con una coreggenza di Mangano e Cucuzza.
Secondo Cucuzza, Mangano era coperto da Brusca e Bagarella per i suoi agganci "a livello politico" ben noti in cosa nostra, e dei quali si era vantato anche con lui: "mi disse, quando sono uscito, che aveva avuto degli agganci anche mesi prima che io uscissi con Dell'Utri... e quindi aveva avuto assicurazioni che, insomma, si sarebbe interessato per cosa nostra").
Mangano avrebbe raccontato al Cucuzza di aver lavorato presso la tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi e che lì aveva addirittura organizzato un sequestro di persona ai danni del padre dell’imprenditore. Berlusconi allontanò il Mangano ma, afferma Cucuzza: "ha paura, ecco, e quindi si aggancia ad altre persone", e quindi avrebbe girato soldi prima a Bontate, poi a Teresi infine a Giovan Battista Pullarà.
Quando viene scarcerato nel '94, Cucuzza sarebbe venuto a sapere da Mangano che era ancora in contatto con Dell'Utri e che "poteva influenzare qualche cosa (...) di interesse naturalmente di cosa nostra". Mangano avrebbe avuto l'uso di un ufficio a Como, ove si sarebbe incontrato con Dell'Utri e avrebbe riferito al Cucuzza che il Dell'Utri gli avrebbe detto: "Non fate rumore, perché altrimenti ci mettete in una condizione di non potere fare niente (...) Sì, faremo, faremo, però stiamo attenti, non facciamo succedere cose".
Anche il Cucuzza parla della fallita trattativa parallela che avrebbe usato la consegna di quadri al fine di accreditare una persona come intermediario tra mafia e lo Stato.
Dunque Cucuzza sostiene che il Brusca abbia avuto un ruolo più importante di quanto ammesso dallo stesso nella gestione della fase stragista di cosa nostra. Il Brusca ha di conseguenza cambiato leggermente la propria versione, ammettendo parzialmente quanto riferito dal Cucuzza, ad esempio sul punto dell'appoggio che diede al Mangano, motivandolo come "un problema di fiducia", senza spiegare meglio da dove questa fiducia derivasse.
Fonte: società civile
Le dichiarazioni di Salvatore Cucuzza.
Salvatore Cucuzza, associato a Porta Nuova, ha confermato che Cancemi é stato il reggente di quel mandamento per conto di Pippo Calò e che tale ruolo fu poi assegnato a Vittorio Mangano.
Calò, lo incaricò di far sapere che egli non si sentiva adeguatamente rappresentato da Mangano e Cucuzza afferma di essersi incontrato con Brusca e Bagarella per portare questa ambasciata. I due risposero garantendo personalmente per Mangano, portando ad una soluzione di compromesso con una coreggenza di Mangano e Cucuzza.
Secondo Cucuzza, Mangano era coperto da Brusca e Bagarella per i suoi agganci "a livello politico" ben noti in cosa nostra, e dei quali si era vantato anche con lui: "mi disse, quando sono uscito, che aveva avuto degli agganci anche mesi prima che io uscissi con Dell'Utri... e quindi aveva avuto assicurazioni che, insomma, si sarebbe interessato per cosa nostra").
Mangano avrebbe raccontato al Cucuzza di aver lavorato presso la tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi e che lì aveva addirittura organizzato un sequestro di persona ai danni del padre dell’imprenditore. Berlusconi allontanò il Mangano ma, afferma Cucuzza: "ha paura, ecco, e quindi si aggancia ad altre persone", e quindi avrebbe girato soldi prima a Bontate, poi a Teresi infine a Giovan Battista Pullarà.
Quando viene scarcerato nel '94, Cucuzza sarebbe venuto a sapere da Mangano che era ancora in contatto con Dell'Utri e che "poteva influenzare qualche cosa (...) di interesse naturalmente di cosa nostra". Mangano avrebbe avuto l'uso di un ufficio a Como, ove si sarebbe incontrato con Dell'Utri e avrebbe riferito al Cucuzza che il Dell'Utri gli avrebbe detto: "Non fate rumore, perché altrimenti ci mettete in una condizione di non potere fare niente (...) Sì, faremo, faremo, però stiamo attenti, non facciamo succedere cose".
Anche il Cucuzza parla della fallita trattativa parallela che avrebbe usato la consegna di quadri al fine di accreditare una persona come intermediario tra mafia e lo Stato.
Dunque Cucuzza sostiene che il Brusca abbia avuto un ruolo più importante di quanto ammesso dallo stesso nella gestione della fase stragista di cosa nostra. Il Brusca ha di conseguenza cambiato leggermente la propria versione, ammettendo parzialmente quanto riferito dal Cucuzza, ad esempio sul punto dell'appoggio che diede al Mangano, motivandolo come "un problema di fiducia", senza spiegare meglio da dove questa fiducia derivasse.
Fonte: società civile
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Cosa nostra
Alfa e Beta: Giovanni Brusca
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Giovanni Brusca.
Brusca ha confermato che si pensava di uccidere Giovanni Falcone dalla fine del 1990. Dopo la sentenza di appello del maxi-processo Salvatore Totò Riina gli aveva detto che bisognava stare tranquilli in attesa della Cassazione, lo avrebbe mandato in più occasioni da Ignazio Salvo "per contattare i canali Lima, Andreotti, Carnevale" ma il Salvo "rispondeva picche (...) che non erano più i tempi di una volta". Sarebbero queste risposte a far nascere in Riina l'idea di eliminare il Salvo.
In una riunione del '92 Brusca dichiara che si discusse "di un progetto di
eliminare (...) Lima prima e Falcone (...) Si parla di personaggi politici, non politici, amici o ex amici, persone che si erano messe a disposizione e che avevano tradito (...) perché noi dovevamo stroncare l'attività politica o la corrente politica di Andreotti in Sicilia, in quanto lui non si era interessato per il maxi processo"
Dopo la strage di Capaci Brusca si sarebbe dovuto occupare di uccidere Calogero Mannino ma, andato a consultare Biondino e Riina sulle modalità dell'agguato, gli dissero che "erano sotto lavoro", si presume alludessero alla strage di Via D'Amelio. Dice: "non mi è stato mai richiesto: -che ne pensi, se vuoi uccidere il dottor Borsellino o meno- o cose varie, non mi è stato chiesto, quindi io non è che potevo dire un parere, sì o no. Uno: perché non mi è stato chiesto; due: se mi veniva chiesto io avrei detto sì"
Riina gli parlò in una di quelle riunioni del papello, il messaggio a personaggi istituzionali che conteneva le condizioni di cosa nostra allo Stato. Gli interlocutori gli erano sembrati inizialmente disponibili, ma poi avevano interrotto le trattative considerando le condizioni troppo gravose.
Nel corso di due riunioni che si tennero a casa di Guddo, in seguito alla sentenza del maxi-processo in Cassazione si sarebbe discusso dell'eliminazione di Ignazio Salvo, per la quale Brusca si mise a disposizione, e poi dei suoi aspetti esecutivi. Il piano fu rimandato ma nel frattempo si sarebbe passati a studiare l'omicidio di Salvo Lima; l'attentato a Giovanni Falcone; un possibile omicidio del questore Arnaldo La Barbera, secondo loro troppo attivo contro la mafia; di Carlo Vizzini e Calogero Mannino, che sarebbero stati responsabili di non aver favorito cosa nostra dopo averne preso i voti; e di Paolo Borsellino.
Dopo l'omicidio Lima, Salvatore Biondino avrebbe chiesto a Brusca di fare qualche attentato a sezioni della Democrazia Cristiana e Brusca si offrì di farlo a Monreale.
Si passò poi, sempre a casa di Guddo, a preparare la strage di Capaci. Brusca avrebbe fatto notare a Riina che quell'attentato avrebbe impedito a Giulio Andreotti di diventare Presidente della Repubblica e i due si sarebbero compiaciuti del fatto che la morte di Falcone sarebbe servita anche per dare un'ulteriore "lezione" ad Andreotti e alla sua corrente per aver disinvoltamente voltato le spalle a cosa nostra.
Dopo la strage di Capaci, Brusca dice di aver ripreso a preparare un attentato a Mannino ma venne interrotto da Biondino. Si dedicò perciò a occuparsi di Ignazio Salvo "non ho premura di farlo, me lo faccio quando mi viene più comodo".
In una delle riunioni a casa di Guddo, Brusca avrebbe chiesto a Riina come procedevano i tentativi di contatti con le istituzioni: "con sorpresa mi fa: Dice mi vogliono portare a Bossi… mi vogliono portare a Bossi tanti avvocati. E mi dice: ma questo è un pazzo, cioè poco affidabile cioè non ci ho (...) fiducia". In un altro incontro gli avrebbe detto: "Si sono fatti sotto, gli ho fatto un papello così"
Non é chiaro in quale periodo sarebbero state fatte queste dichiarazioni, probabilmente poco prima della strage di via d'Amelio, come dice Brusca in una sua dichiarazione del '99: "io non ero sicuro se era avvenuto prima la strage Borsellino o dopo; sono riuscito a potere mettere dei paletti con certezza a causa delle accuse che mi faceva il Mario Santo Di Matteo, e quindi io, siccome poi in quel periodo mi sono trasferito nel trapanese per commettere anche reati lì, ho potuto stabilire che era (...) dopo la strage di Capaci e prima di quella del dott. Borsellino. Sarà stato una settimana prima, saranno stati dieci giorni, quindici giorni, però, nell'arco di questo tempo, prima sicuramente della strage del dottor Borsellino"
Anche Brusca parla, come aveva fatto anche Salvatore Cancemi, di una trattativa basata sulla restituzione da parte di cosa nostra di opere trafugate in cambio di un trattamento di favore per alcuni mafiosi detenuti, tra i quali Giuseppe Pippo Calò. A far partire questa operazione sarebbe stato un tal Bellini, legato ad Antonino Gioè. La cosa comunque si concluse con un nulla di fatto.
Brusca ha anche fatto luce sugli accordi tra i corleonesi e cosa nostra catanese, in particolare Eugenio Gallea e Santo Mazzei. Si parlò del sequestro di Giuseppe Cambria, finanziatore dei Salvo; di attentati contro Pietro Grasso, Salvo Andò, e Claudio Martelli. I due socialisti erano considerati traditori da cosa nostra, in quanto si sarebbero aspettati da loro benefici che poi non erano arrivati: "c'era l'onorevole Andò che nei suoi comizi (...) gridava per garantismo, cioè per una serie di fatti generali, ma ne usufruiva cosa nostra! E noi gli davamo questa interpretazione". Martelli era accusato di essersi alleato con Giovanni Falcone "per rifarsi una verginità".
Secondo Brusca, "il fine comune era di portare lo Stato a trattare con cosa nostra (...) e nello stesso tempo loro per i fatti suoi io non so per quale motivo, si volevano togliere qualche spina o qualche cosa dalla scarpa".
Brusca afferma che Antonino Cinà sarebbe stato il consigliere politico di Salvatore Riina, ma afferma di non sapere niente di certo sui contatti politici di cosa nostra. Come pure ha affermato di non poter dire nulla in base alla sua diretta esperienza sui rapporti che cosa nostra avrebbe intrattenuto con Dell'Utri e Berlusconi. Dice di non saper nulla degli interessi dei fratelli Graviano nel nord Italia. Avrebbe chiesto, tra la fine del '93 e l'inizio del '94, a Vittorio Mangano se fosse vero quanto si leggeva dei suoi rapporti con Berlusconi, ricevendone conferma.
I rapporti tra Brusca e Mangano erano molto buoni a causa di un soggiorno comune in carcere, in seguito a ciò il Brusca aveva aiutato il Mangano ad assumere la reggenza della famiglia di Porta Nuova, dopo la defezione di Salvatore Cancemi. Brusca avrebbe quindi chiesto a Mangano di farsi da intermediario presso Berlusconi per la trattativa che mirava ad ottenere, tra l'altro, l'abrogazione del regime detentivo speciale per i mafiosi e la loro ammissione ai benefici della legge Gozzini.
Dice il Brusca: "chiedo a Vittorio Mangano se era vero o non era vero (...) e quello mi conferma tutto paro paro: sì, vero è. Allora dico: sei in condizioni di ripristinare, cioè di riprendere un'altra volta i contatti con Berlusconi? Dice sì, dico: fammi vedere. Va a Milano, torna e mi porta la risposta che è a disposizione, cioè c'è il contatto di potere riprendere con Silvio Berlusconi, però non gli domando tramite chi". "Io glieli ho mandati a dire un po' tutti assieme, però nel tempo, se non con la minaccia, se non avrei continuato le stragi... se loro non avrebbero fatto niente. Dice no, no, no e mi manda a dire, tramite Vittorio Mangano, cioè di stare calmo piano piano che ora si va vedendo. Ma poi subito tutto finì lì perché Vittorio Mangano poi viene arrestato, io non avevo più contatti, il governo Berlusconi subito dopo è caduto, quindi i contatti miei sono finiti qua".
Brusca avrebbe informato di questa sua iniziativa solo Leoluca Bagarella che si occupava del movimento "Sicilia Libera" e che contava sul contributo dei fratelli Graviano, che invece si defilarono. Brusca lo avrebbe capito quando Ienna, imprenditore vicino ai Graviano, mise a disposizione il suo hotel San Paolo Palace per l'inaugurazione di un club Forza Italia, senza che Bagarella ne venisse informato.
Nel '99, Brusca dichiarò di aver ricordato che nel corso degli anni 82-83 Ignazio Pullarà, reggente della famiglia di Santa Maria di Gesù dopo l'arresto del fratello Giovan Battista, gli disse che a Berlusconi e a Canale 5 "gli faceva uscire i picciuli", essendo subentrato in un rapporto instaurato da Stefano Bontade.
Brusca ha recisamente negato che si fosse parlato di Berlusconi e Dell'Utri nelle riunioni a cui lui partecipò prima della strage di Capaci, anzi, di non aver mai partecipato ad attività che coinvolgessero i due: "non è stato mai per dire Berlusconi ha mandato questo, Dell'Utri ha mandato questo, o c’è questo canale, alla mia presenza non c'è mai stato perché (...) non ha niente a che fare con i problemi della città, quindi sicuramente i discorsi sono stati fatti però io non ne so nulla..."
Secondo i giudici della Corte di Assise di Firenze: "Brusca dice il vero quando afferma che la richiesta di trattare, formulata da un organismo istituzionale a lui sconosciuto (oggi si sa che erano gli uomini del ROS), indusse Riina a pensare (e a comunicare ai suoi accoliti) che quelli si erano fatti sotto. Lo indusse cioè a ritenere che le stragi di Capaci e di via D'Amelio, da poco avvenute, avevano completamente disarmato gli uomini dello Stato; li avevano convinti dell'invincibilità di cosa nostra; li avevano indotti a rinunciare all'idea del muro contro muro e a fare sostanziali concessioni all'organizzazione criminale cui apparteneva"
Fonte: società civile
Le dichiarazioni di Giovanni Brusca.
Brusca ha confermato che si pensava di uccidere Giovanni Falcone dalla fine del 1990. Dopo la sentenza di appello del maxi-processo Salvatore Totò Riina gli aveva detto che bisognava stare tranquilli in attesa della Cassazione, lo avrebbe mandato in più occasioni da Ignazio Salvo "per contattare i canali Lima, Andreotti, Carnevale" ma il Salvo "rispondeva picche (...) che non erano più i tempi di una volta". Sarebbero queste risposte a far nascere in Riina l'idea di eliminare il Salvo.
In una riunione del '92 Brusca dichiara che si discusse "di un progetto di
eliminare (...) Lima prima e Falcone (...) Si parla di personaggi politici, non politici, amici o ex amici, persone che si erano messe a disposizione e che avevano tradito (...) perché noi dovevamo stroncare l'attività politica o la corrente politica di Andreotti in Sicilia, in quanto lui non si era interessato per il maxi processo"
Dopo la strage di Capaci Brusca si sarebbe dovuto occupare di uccidere Calogero Mannino ma, andato a consultare Biondino e Riina sulle modalità dell'agguato, gli dissero che "erano sotto lavoro", si presume alludessero alla strage di Via D'Amelio. Dice: "non mi è stato mai richiesto: -che ne pensi, se vuoi uccidere il dottor Borsellino o meno- o cose varie, non mi è stato chiesto, quindi io non è che potevo dire un parere, sì o no. Uno: perché non mi è stato chiesto; due: se mi veniva chiesto io avrei detto sì"
Riina gli parlò in una di quelle riunioni del papello, il messaggio a personaggi istituzionali che conteneva le condizioni di cosa nostra allo Stato. Gli interlocutori gli erano sembrati inizialmente disponibili, ma poi avevano interrotto le trattative considerando le condizioni troppo gravose.
Nel corso di due riunioni che si tennero a casa di Guddo, in seguito alla sentenza del maxi-processo in Cassazione si sarebbe discusso dell'eliminazione di Ignazio Salvo, per la quale Brusca si mise a disposizione, e poi dei suoi aspetti esecutivi. Il piano fu rimandato ma nel frattempo si sarebbe passati a studiare l'omicidio di Salvo Lima; l'attentato a Giovanni Falcone; un possibile omicidio del questore Arnaldo La Barbera, secondo loro troppo attivo contro la mafia; di Carlo Vizzini e Calogero Mannino, che sarebbero stati responsabili di non aver favorito cosa nostra dopo averne preso i voti; e di Paolo Borsellino.
Dopo l'omicidio Lima, Salvatore Biondino avrebbe chiesto a Brusca di fare qualche attentato a sezioni della Democrazia Cristiana e Brusca si offrì di farlo a Monreale.
Si passò poi, sempre a casa di Guddo, a preparare la strage di Capaci. Brusca avrebbe fatto notare a Riina che quell'attentato avrebbe impedito a Giulio Andreotti di diventare Presidente della Repubblica e i due si sarebbero compiaciuti del fatto che la morte di Falcone sarebbe servita anche per dare un'ulteriore "lezione" ad Andreotti e alla sua corrente per aver disinvoltamente voltato le spalle a cosa nostra.
Dopo la strage di Capaci, Brusca dice di aver ripreso a preparare un attentato a Mannino ma venne interrotto da Biondino. Si dedicò perciò a occuparsi di Ignazio Salvo "non ho premura di farlo, me lo faccio quando mi viene più comodo".
In una delle riunioni a casa di Guddo, Brusca avrebbe chiesto a Riina come procedevano i tentativi di contatti con le istituzioni: "con sorpresa mi fa: Dice mi vogliono portare a Bossi… mi vogliono portare a Bossi tanti avvocati. E mi dice: ma questo è un pazzo, cioè poco affidabile cioè non ci ho (...) fiducia". In un altro incontro gli avrebbe detto: "Si sono fatti sotto, gli ho fatto un papello così"
Non é chiaro in quale periodo sarebbero state fatte queste dichiarazioni, probabilmente poco prima della strage di via d'Amelio, come dice Brusca in una sua dichiarazione del '99: "io non ero sicuro se era avvenuto prima la strage Borsellino o dopo; sono riuscito a potere mettere dei paletti con certezza a causa delle accuse che mi faceva il Mario Santo Di Matteo, e quindi io, siccome poi in quel periodo mi sono trasferito nel trapanese per commettere anche reati lì, ho potuto stabilire che era (...) dopo la strage di Capaci e prima di quella del dott. Borsellino. Sarà stato una settimana prima, saranno stati dieci giorni, quindici giorni, però, nell'arco di questo tempo, prima sicuramente della strage del dottor Borsellino"
Anche Brusca parla, come aveva fatto anche Salvatore Cancemi, di una trattativa basata sulla restituzione da parte di cosa nostra di opere trafugate in cambio di un trattamento di favore per alcuni mafiosi detenuti, tra i quali Giuseppe Pippo Calò. A far partire questa operazione sarebbe stato un tal Bellini, legato ad Antonino Gioè. La cosa comunque si concluse con un nulla di fatto.
Brusca ha anche fatto luce sugli accordi tra i corleonesi e cosa nostra catanese, in particolare Eugenio Gallea e Santo Mazzei. Si parlò del sequestro di Giuseppe Cambria, finanziatore dei Salvo; di attentati contro Pietro Grasso, Salvo Andò, e Claudio Martelli. I due socialisti erano considerati traditori da cosa nostra, in quanto si sarebbero aspettati da loro benefici che poi non erano arrivati: "c'era l'onorevole Andò che nei suoi comizi (...) gridava per garantismo, cioè per una serie di fatti generali, ma ne usufruiva cosa nostra! E noi gli davamo questa interpretazione". Martelli era accusato di essersi alleato con Giovanni Falcone "per rifarsi una verginità".
Secondo Brusca, "il fine comune era di portare lo Stato a trattare con cosa nostra (...) e nello stesso tempo loro per i fatti suoi io non so per quale motivo, si volevano togliere qualche spina o qualche cosa dalla scarpa".
Brusca afferma che Antonino Cinà sarebbe stato il consigliere politico di Salvatore Riina, ma afferma di non sapere niente di certo sui contatti politici di cosa nostra. Come pure ha affermato di non poter dire nulla in base alla sua diretta esperienza sui rapporti che cosa nostra avrebbe intrattenuto con Dell'Utri e Berlusconi. Dice di non saper nulla degli interessi dei fratelli Graviano nel nord Italia. Avrebbe chiesto, tra la fine del '93 e l'inizio del '94, a Vittorio Mangano se fosse vero quanto si leggeva dei suoi rapporti con Berlusconi, ricevendone conferma.
I rapporti tra Brusca e Mangano erano molto buoni a causa di un soggiorno comune in carcere, in seguito a ciò il Brusca aveva aiutato il Mangano ad assumere la reggenza della famiglia di Porta Nuova, dopo la defezione di Salvatore Cancemi. Brusca avrebbe quindi chiesto a Mangano di farsi da intermediario presso Berlusconi per la trattativa che mirava ad ottenere, tra l'altro, l'abrogazione del regime detentivo speciale per i mafiosi e la loro ammissione ai benefici della legge Gozzini.
Dice il Brusca: "chiedo a Vittorio Mangano se era vero o non era vero (...) e quello mi conferma tutto paro paro: sì, vero è. Allora dico: sei in condizioni di ripristinare, cioè di riprendere un'altra volta i contatti con Berlusconi? Dice sì, dico: fammi vedere. Va a Milano, torna e mi porta la risposta che è a disposizione, cioè c'è il contatto di potere riprendere con Silvio Berlusconi, però non gli domando tramite chi". "Io glieli ho mandati a dire un po' tutti assieme, però nel tempo, se non con la minaccia, se non avrei continuato le stragi... se loro non avrebbero fatto niente. Dice no, no, no e mi manda a dire, tramite Vittorio Mangano, cioè di stare calmo piano piano che ora si va vedendo. Ma poi subito tutto finì lì perché Vittorio Mangano poi viene arrestato, io non avevo più contatti, il governo Berlusconi subito dopo è caduto, quindi i contatti miei sono finiti qua".
Brusca avrebbe informato di questa sua iniziativa solo Leoluca Bagarella che si occupava del movimento "Sicilia Libera" e che contava sul contributo dei fratelli Graviano, che invece si defilarono. Brusca lo avrebbe capito quando Ienna, imprenditore vicino ai Graviano, mise a disposizione il suo hotel San Paolo Palace per l'inaugurazione di un club Forza Italia, senza che Bagarella ne venisse informato.
Nel '99, Brusca dichiarò di aver ricordato che nel corso degli anni 82-83 Ignazio Pullarà, reggente della famiglia di Santa Maria di Gesù dopo l'arresto del fratello Giovan Battista, gli disse che a Berlusconi e a Canale 5 "gli faceva uscire i picciuli", essendo subentrato in un rapporto instaurato da Stefano Bontade.
Brusca ha recisamente negato che si fosse parlato di Berlusconi e Dell'Utri nelle riunioni a cui lui partecipò prima della strage di Capaci, anzi, di non aver mai partecipato ad attività che coinvolgessero i due: "non è stato mai per dire Berlusconi ha mandato questo, Dell'Utri ha mandato questo, o c’è questo canale, alla mia presenza non c'è mai stato perché (...) non ha niente a che fare con i problemi della città, quindi sicuramente i discorsi sono stati fatti però io non ne so nulla..."
Secondo i giudici della Corte di Assise di Firenze: "Brusca dice il vero quando afferma che la richiesta di trattare, formulata da un organismo istituzionale a lui sconosciuto (oggi si sa che erano gli uomini del ROS), indusse Riina a pensare (e a comunicare ai suoi accoliti) che quelli si erano fatti sotto. Lo indusse cioè a ritenere che le stragi di Capaci e di via D'Amelio, da poco avvenute, avevano completamente disarmato gli uomini dello Stato; li avevano convinti dell'invincibilità di cosa nostra; li avevano indotti a rinunciare all'idea del muro contro muro e a fare sostanziali concessioni all'organizzazione criminale cui apparteneva"
Fonte: società civile
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Atti,
Cosa nostra
Alfa e Beta: Angelo Siino
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Angelo Siino.
Secondo il collaboratore di giustizia Angelo Siino, l'avversione di cosa nostra nei confronti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino era condivisa da politici e imprenditori che erano in contatto o avevano interessi comuni con l'associazione criminale.
Siino ha riferito che alla fine degli anni '80 il gruppo Ferruzzi-Gardini aveva rilevato tutte le imprese di cosa nostra in Sicilia che avevano difficoltà economiche o che rischiavano il sequestro giudiziale. Nel 1987 cosa nostra avrebbe deciso di convogliare i propri voti verso il PSI in ragione dell'avvicinamento con quel gruppo imprenditoriale.
Siino sarebbe venuto a conoscenza per mezzo di colloqui con Giuseppe Pino Lipari, Giovanni Brusca, Salvo Lima, Ignazio Salvo e altri, che Claudio Martelli fosse considerato da cosa nostra come un traditore per il suo appoggio a Giovanni Falcone. Il trasferimento di Falcone agli uffici ministeriali era visto dai vertici di cosa nostra, come potenzialmente assai nocivo per gli interessi mafiosi.
Cosa nostra avrebbe voluto agganciare Bettino Craxi, al fine di usarlo contro Martelli e il gruppo di Andreotti, che avrebbe tradito le aspettative riguardo al maxiprocesso. Nino Gargano e Giuseppe Pippo/Piddu Madonia dissero a Siino: "Provenzano sta cercando di agganciare di nuovo Craxi! Se ci riusciamo...". Berlusconi sarebbe stato considerato un tramite per giungere a Craxi in seguito gli attentati alla Standa di Catania, avvenuti tra il 1990 e il 1991: "nel momento che il signor Berlusconi si veniva a lamentare: nuatri putivami... accussì videmu d’agganciari Craxi".
Siino avrebbe partecipato ad un incontro con Benedetto Nitto Santapaola, Eugenio Gallea, Vincenzo Aiello e Giovanni Brusca. Il Brusca, che negherà la circostanza, si sarebbe appartato con Santapaola e in seguito il Santapaola avrebbe riferito a Siino che Brusca gli aveva commissionato gli attentati alla Standa per stimolare un contatto con Craxi.
Siino riferisce inoltre di suoi colloqui con Antonino Gioè, sui nuovi assetti di cosa nostra. Gli disse che Leoluca Bagarella avrebbe dovuto incontrare Massimo Berruti, ex ufficiale della Guardia di Finanza che sarebbe stato in contatto con Totò Di Ganci (rappresentante della famiglia di Sciacca), per avviare dei contatti con Craxi.
Gioè avrebbe detto che Bagarella, che stava salendo nella gerarchia di cosa nostra dopo la cattura di Riina creando preoccupazioni anche a Bernardo Provenzano, pensava ad azioni dimostrative eclatanti, come danneggiare la Torre di Pisa. Il Bagarella si sarebbe mosso in accordo con i fratelli Graviano e mantenendo contatti e coperture con i servizi segreti. Berruti avrebbe indicato i possibili obiettivi dinamitardi al Bagarella, lo scopo sarebbe stato quello di favorire il movimento indipendentista siculo "Sicilia Libera" e indirizzare l'opinione pubblica verso la richiesta di un governo forte retto, direttamente o indirettamente, da Craxi.
Siino dichiara che avebbe appreso da Michele Camarda, considerato vicino a Gioè, che che le stragi del 1992 avevano avuto appoggi esterni e che cosa nostra era stata
"autorizzata" ad agire.
Il ruolo di Gioè, morto suicida in carcere, in cosa nostra e nella preparazione ed esecuzione della strategia stragista risulta anche dalle dichiarazioni di altri collaboratori e da elementi di prova esterni. I rapporti di Berruti con personaggi di cosa nostra, e in particolare con la famiglia di Sciacca, sarebbero comprovati da altre fonti.
Secondo Siino, Giovanni Brusca nel 1994 avrebbe dato inizialmente direttiva di sostenere elettoralmente "Sicilia Libera", per poi passare ad indicare "Forza Italia". Anche questa circostanza é stata negata da Brusca. Siino afferma che il Brusca negerebbe per il malanimo che avrebbe nei suoi confronti.
Fonte: società civile
Le dichiarazioni di Angelo Siino.
Secondo il collaboratore di giustizia Angelo Siino, l'avversione di cosa nostra nei confronti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino era condivisa da politici e imprenditori che erano in contatto o avevano interessi comuni con l'associazione criminale.
Siino ha riferito che alla fine degli anni '80 il gruppo Ferruzzi-Gardini aveva rilevato tutte le imprese di cosa nostra in Sicilia che avevano difficoltà economiche o che rischiavano il sequestro giudiziale. Nel 1987 cosa nostra avrebbe deciso di convogliare i propri voti verso il PSI in ragione dell'avvicinamento con quel gruppo imprenditoriale.
Siino sarebbe venuto a conoscenza per mezzo di colloqui con Giuseppe Pino Lipari, Giovanni Brusca, Salvo Lima, Ignazio Salvo e altri, che Claudio Martelli fosse considerato da cosa nostra come un traditore per il suo appoggio a Giovanni Falcone. Il trasferimento di Falcone agli uffici ministeriali era visto dai vertici di cosa nostra, come potenzialmente assai nocivo per gli interessi mafiosi.
Cosa nostra avrebbe voluto agganciare Bettino Craxi, al fine di usarlo contro Martelli e il gruppo di Andreotti, che avrebbe tradito le aspettative riguardo al maxiprocesso. Nino Gargano e Giuseppe Pippo/Piddu Madonia dissero a Siino: "Provenzano sta cercando di agganciare di nuovo Craxi! Se ci riusciamo...". Berlusconi sarebbe stato considerato un tramite per giungere a Craxi in seguito gli attentati alla Standa di Catania, avvenuti tra il 1990 e il 1991: "nel momento che il signor Berlusconi si veniva a lamentare: nuatri putivami... accussì videmu d’agganciari Craxi".
Siino avrebbe partecipato ad un incontro con Benedetto Nitto Santapaola, Eugenio Gallea, Vincenzo Aiello e Giovanni Brusca. Il Brusca, che negherà la circostanza, si sarebbe appartato con Santapaola e in seguito il Santapaola avrebbe riferito a Siino che Brusca gli aveva commissionato gli attentati alla Standa per stimolare un contatto con Craxi.
Siino riferisce inoltre di suoi colloqui con Antonino Gioè, sui nuovi assetti di cosa nostra. Gli disse che Leoluca Bagarella avrebbe dovuto incontrare Massimo Berruti, ex ufficiale della Guardia di Finanza che sarebbe stato in contatto con Totò Di Ganci (rappresentante della famiglia di Sciacca), per avviare dei contatti con Craxi.
Gioè avrebbe detto che Bagarella, che stava salendo nella gerarchia di cosa nostra dopo la cattura di Riina creando preoccupazioni anche a Bernardo Provenzano, pensava ad azioni dimostrative eclatanti, come danneggiare la Torre di Pisa. Il Bagarella si sarebbe mosso in accordo con i fratelli Graviano e mantenendo contatti e coperture con i servizi segreti. Berruti avrebbe indicato i possibili obiettivi dinamitardi al Bagarella, lo scopo sarebbe stato quello di favorire il movimento indipendentista siculo "Sicilia Libera" e indirizzare l'opinione pubblica verso la richiesta di un governo forte retto, direttamente o indirettamente, da Craxi.
Siino dichiara che avebbe appreso da Michele Camarda, considerato vicino a Gioè, che che le stragi del 1992 avevano avuto appoggi esterni e che cosa nostra era stata
"autorizzata" ad agire.
Il ruolo di Gioè, morto suicida in carcere, in cosa nostra e nella preparazione ed esecuzione della strategia stragista risulta anche dalle dichiarazioni di altri collaboratori e da elementi di prova esterni. I rapporti di Berruti con personaggi di cosa nostra, e in particolare con la famiglia di Sciacca, sarebbero comprovati da altre fonti.
Secondo Siino, Giovanni Brusca nel 1994 avrebbe dato inizialmente direttiva di sostenere elettoralmente "Sicilia Libera", per poi passare ad indicare "Forza Italia". Anche questa circostanza é stata negata da Brusca. Siino afferma che il Brusca negerebbe per il malanimo che avrebbe nei suoi confronti.
Fonte: società civile
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Alfa e Beta: Salvatore Cancemi
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Le dichiarazioni di Salvatore Cancemi.
Salvatore Cancemi ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo essere stato reggente del mandamento di Porta Nuova e quindi parte della Commissione Provinciale. Si é consegnato spontaneamente nel luglio '93 ai Carabinieri secondo alcuni, come Giovanni Brusca, il Cancemi si sarebbe reso conto di essere stato condannato a morte da cosa nostra per aver favorito i propri parenti, e avrebbe deciso di collaborare per sottrarsi alla sua imminente esecuzione. Le sue dichiarazioni sono state ritenute attendibili dalle Corti di Assise di Caltanissetta, anche se si é notata una sua certa difficoltà nel collaborare, negando a volte l'evidenza. Per spiegare il suo comportamento s'é descritto "come una vite arrugginita che ci vuole del tempo per svitarla"
Cancemi ha dichiarato che Ganci gli avrebbe confidato, giorni prima della strage di Capaci, che Riina aveva incontrato persone molto importanti, e avevano raggiunto la decisione di "mettere una bomba a Falcone. Queste persone importanti hanno promesso allo zù Totò che devono rifare il processo nel quale lui è stato condannato all’ergastolo"
Si riportano poi sue dichiarazioni, secondo le quali sarebbe stato convocato da Salvatore Totò Riina tra il 1990 e il 1991 a casa di Girolamo Guddo per un incontro con lui, con Raffaele Ganci e con Salvatore Biondino. Riina gli avrebbe ordinato di dire a Vittorio Mangano di farsi da parte rispetto a Berlusconi, dato che Riina, considerando il rapporto con Berlusconi "un bene per tutta cosa nostra", voleva gestirlo direttamente; se Mangano avesse fatto obiezioni, Cancemi avrebbe dovuto ricordargli uno sgarbo fatto a Riina, il regalo di un'arma al suo avversario Stefano Bontade.
Cancemi era reggente di Porta Nuova e come tale era referente di Mangano, per questo motivo Mangano gli avrebbe detto in precendenza di aver lavorato tra il 1973 e il 1974 nelle proprietà di Arcore dove avrebbero soggiornato anche latitanti come Nino Grado, Francesco Mafara e Salvatore Contorno.
Inoltre, secondo Cancemi, Riina "precisò che, secondo degli accordi stabiliti con Dell'Utri, che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l'anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne", e sarebbe certo che il rapporto tra Riina e Dell'Utri risalisse quantomeno al 1989.
I rapporti di cosa nostra con Dell'Utri e Berlusconi sarebbero stati gestiti in una prima fase da Stefano Bontate, Pietro Lo Iacono e Girolamo Teresi della famiglia della Guadagna, da cui il Mangano era entrato in contatto con i due. In modo poco chiaro il Cancemi ha anche detto di aver saputo da Mangano che anche Giovanni e Ignazio Pullarà avevano avuto rapporti con Berlusconi e Dell'Utri.
Dopo la strage di Capaci, nel corso di festeggiamenti a casa di Girolamo Guddo, Riina si sarebbe assunto tutta la responsabilità del fatto e avrebbe preannunciato l'eliminazione di Borsellino, e avrebbe inoltre affermato: "io mi sto giocando i denti, possiamo dormire tranquilli, ho Dell’Utri e Berlusconi nelle mani e questo è un bene per tutta cosa nostra".
In quel periodo Riina sarebbe stato al lavoro su di una lista di persone da uccidere, perché avevano delle "colpe" con cosa nostra; tra gli obiettivi sarebbero rientrati Pier Luigi Vigna, procuratore antimafia, il questore Arnaldo La Barbera, e il socialista Claudio Martelli.
Che la politica stragista di cosa nostra impostata da Riina destasse delle perplessità in esponenti mafiosi, viene evidenziato da questo commento attribuito dal Cancemi a Raffaele Ganci, dopo che Riina aveva espresso la sua volontà di eliminare Borsellino: "questo ci vuole rovinare tutti"
Si fa notare come le affermazioni di Cancemi siano a volte poco chiare, al punto da far nascere il sospetto che possa aver introdotto nei fatti da lui narrati elementi non facilmente verificabili allo scopo di far sopravvalutare la sua importanza. Si richiede quindi di valutare le sue dichiarazioni con la massima prudenza, e di utilizzarle solo in presenza di riscontri esterni.
Fonte: società civile
Le dichiarazioni di Salvatore Cancemi.
Salvatore Cancemi ha iniziato a collaborare con la giustizia dopo essere stato reggente del mandamento di Porta Nuova e quindi parte della Commissione Provinciale. Si é consegnato spontaneamente nel luglio '93 ai Carabinieri secondo alcuni, come Giovanni Brusca, il Cancemi si sarebbe reso conto di essere stato condannato a morte da cosa nostra per aver favorito i propri parenti, e avrebbe deciso di collaborare per sottrarsi alla sua imminente esecuzione. Le sue dichiarazioni sono state ritenute attendibili dalle Corti di Assise di Caltanissetta, anche se si é notata una sua certa difficoltà nel collaborare, negando a volte l'evidenza. Per spiegare il suo comportamento s'é descritto "come una vite arrugginita che ci vuole del tempo per svitarla"
Cancemi ha dichiarato che Ganci gli avrebbe confidato, giorni prima della strage di Capaci, che Riina aveva incontrato persone molto importanti, e avevano raggiunto la decisione di "mettere una bomba a Falcone. Queste persone importanti hanno promesso allo zù Totò che devono rifare il processo nel quale lui è stato condannato all’ergastolo"
Si riportano poi sue dichiarazioni, secondo le quali sarebbe stato convocato da Salvatore Totò Riina tra il 1990 e il 1991 a casa di Girolamo Guddo per un incontro con lui, con Raffaele Ganci e con Salvatore Biondino. Riina gli avrebbe ordinato di dire a Vittorio Mangano di farsi da parte rispetto a Berlusconi, dato che Riina, considerando il rapporto con Berlusconi "un bene per tutta cosa nostra", voleva gestirlo direttamente; se Mangano avesse fatto obiezioni, Cancemi avrebbe dovuto ricordargli uno sgarbo fatto a Riina, il regalo di un'arma al suo avversario Stefano Bontade.
Cancemi era reggente di Porta Nuova e come tale era referente di Mangano, per questo motivo Mangano gli avrebbe detto in precendenza di aver lavorato tra il 1973 e il 1974 nelle proprietà di Arcore dove avrebbero soggiornato anche latitanti come Nino Grado, Francesco Mafara e Salvatore Contorno.
Inoltre, secondo Cancemi, Riina "precisò che, secondo degli accordi stabiliti con Dell'Utri, che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l'anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne", e sarebbe certo che il rapporto tra Riina e Dell'Utri risalisse quantomeno al 1989.
I rapporti di cosa nostra con Dell'Utri e Berlusconi sarebbero stati gestiti in una prima fase da Stefano Bontate, Pietro Lo Iacono e Girolamo Teresi della famiglia della Guadagna, da cui il Mangano era entrato in contatto con i due. In modo poco chiaro il Cancemi ha anche detto di aver saputo da Mangano che anche Giovanni e Ignazio Pullarà avevano avuto rapporti con Berlusconi e Dell'Utri.
Dopo la strage di Capaci, nel corso di festeggiamenti a casa di Girolamo Guddo, Riina si sarebbe assunto tutta la responsabilità del fatto e avrebbe preannunciato l'eliminazione di Borsellino, e avrebbe inoltre affermato: "io mi sto giocando i denti, possiamo dormire tranquilli, ho Dell’Utri e Berlusconi nelle mani e questo è un bene per tutta cosa nostra".
In quel periodo Riina sarebbe stato al lavoro su di una lista di persone da uccidere, perché avevano delle "colpe" con cosa nostra; tra gli obiettivi sarebbero rientrati Pier Luigi Vigna, procuratore antimafia, il questore Arnaldo La Barbera, e il socialista Claudio Martelli.
Che la politica stragista di cosa nostra impostata da Riina destasse delle perplessità in esponenti mafiosi, viene evidenziato da questo commento attribuito dal Cancemi a Raffaele Ganci, dopo che Riina aveva espresso la sua volontà di eliminare Borsellino: "questo ci vuole rovinare tutti"
Si fa notare come le affermazioni di Cancemi siano a volte poco chiare, al punto da far nascere il sospetto che possa aver introdotto nei fatti da lui narrati elementi non facilmente verificabili allo scopo di far sopravvalutare la sua importanza. Si richiede quindi di valutare le sue dichiarazioni con la massima prudenza, e di utilizzarle solo in presenza di riscontri esterni.
Fonte: società civile
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Arresto di Pasquale Di Giovanni
Pasquale Di Giovanni, elemento di spicco dei Belforte Mazzacane inserito nell'elenco dei 100 latitanti più pericolosi, é stato arrestato dai carabinieri del NOE (Nucleo Operativo Ecologico) di Caserta.
Il Di Giovanni era sfuggito alla cattura nell'ambito dell'operazione Giudizio Finale che ha colpito i Belforte nelle loro attività formalmente legali nel settore dei rifiuti, utilizzate anche al fine di riciclare capitali di provenienza illecita.
Il clan operava nella zona di Marcianise e in altri centri limitrofi sottratti al controllo dei casalesi.
Il Di Giovanni sarebbe stato il "promotore e organizzatore dell'associazione a delinquere nei settori del traffico illecito organizzato dei rifiuti e nel riciclaggio e reimpiego di capitali di illecita provenienza, nonché partecipe nel settore delle estorsioni". Si sarebbe dimostrato che i vertici di gruppi camorristi, come Salvatore Belforte, a capo dei Mazzacane, gestiscano i rifiuti anche per mezzo di società che controllerebbero direttamente.
In questo caso si sarebbe dimostrato che il Di Giovanni avrebbe controllato la SEM, formalmente diretta da Giovanni Buttone, azienda si sarebbe mossa in sinergia con altre società del settore controllate da altri gruppi camorristici al fine di ottenere appalti pubblici, nonostante la mancanza delle necessarie autorizzazioni, contando sull'appoggio di pubblici funzionari.
Fonti: reuters, asca, affari italiani
Il Di Giovanni era sfuggito alla cattura nell'ambito dell'operazione Giudizio Finale che ha colpito i Belforte nelle loro attività formalmente legali nel settore dei rifiuti, utilizzate anche al fine di riciclare capitali di provenienza illecita.
Il clan operava nella zona di Marcianise e in altri centri limitrofi sottratti al controllo dei casalesi.
Il Di Giovanni sarebbe stato il "promotore e organizzatore dell'associazione a delinquere nei settori del traffico illecito organizzato dei rifiuti e nel riciclaggio e reimpiego di capitali di illecita provenienza, nonché partecipe nel settore delle estorsioni". Si sarebbe dimostrato che i vertici di gruppi camorristi, come Salvatore Belforte, a capo dei Mazzacane, gestiscano i rifiuti anche per mezzo di società che controllerebbero direttamente.
In questo caso si sarebbe dimostrato che il Di Giovanni avrebbe controllato la SEM, formalmente diretta da Giovanni Buttone, azienda si sarebbe mossa in sinergia con altre società del settore controllate da altri gruppi camorristici al fine di ottenere appalti pubblici, nonostante la mancanza delle necessarie autorizzazioni, contando sull'appoggio di pubblici funzionari.
Fonti: reuters, asca, affari italiani
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Alfa e Beta: fatti in oggetto
Dal decreto di archiviazione del maggio 2002, redatto dal gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
La ricostruzione dei fatti in oggetto secondo il gip.
Il 18 febbraio 1991 Giovanni Falcone veniva chiamato a dirigere l'Ufficio Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia retto da Claudio Martelli.
Nell'aprile seguente il governo Andreotti adottava un decreto legge per impedire le scarcerazioni per decorrenza dei termini, cosa che era andata a vantaggio di diversi mafiosi.
A fine anno si celebrava il terzo grado di giudizio presso la Prima Sezione della Corte di Cassazione per il maxiprocesso di Palermo ed il 30 gennaio 1992 veniva emessa una sentenza che annullava le assoluzioni dei personaggi di vertice dell’organizzazione, confermando le altre condanne.
Il 12 marzo 1992, nel corso della campagna elettorale per le politiche, veniva ucciso Salvo Lima, esponente della corrente andreottiana in Sicilia.
In quel periodo Elio Ciolini, condannato per depistaggio, forniva informazioni relativamente ad un piano destabilizzante che si stava preparando in Italia e che prefigurava gravi attentati a personaggi delle istituzioni nel periodo di marzo-luglio 1992.
Dopo le elezioni politiche, si dimettevano il 24 aprile il Presidente del Consiglio in carica, Giulio Andreotti, e, il giorno dopo, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
In questa situazione, e dopo un conflitto istituzionale tra il Ministro di Grazia e Giustizia Martelli e il CSM relativo alla nomina di Giovanni Falcone a Procuratore Nazionale Antimafia, il 23 maggio avveniva la strage di Capaci.
Due giorni dopo veniva eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, emergeva la candidatura di Paolo Borsellino a Procuratore Nazionale Antimafia.
Il 6 luglio 1992 trapelava la notizia del trasferimento degli imputati e dei condannati per associazione mafiosa nelle carceri di massima sicurezza di Pianosa e di Fossombrone.
Il 19 luglio 1992 veniva fatta esplodere l’autobomba di via D'Amelio.
Si adottavano a questo punto incisive iniziative legislative e di polizia nei confronti delle organizzazioni mafiose. In particolare si accelerava la conversione in legge del d.l. 8/6/1992 n.306 per il contrasto alla criminalità mafiosa, superando le precendenti opposizioni di alcune forze politiche.
Le stragi di Capaci e di via D'Amelio furono rivendicate dalla Falange Armata. Secondo i giudici della Corte di Assise di Firenze, come riportato nella sentenza a carico di Leoluca Bagarella e altri 25 in data 6 giugno 1998, uomini di cosa nostra organizzarono ed eseguirono gli attentati stragisti del 1993 mimetizzando la loro attività usando quella sigla, del resto attiva anche indipendentemente da loro.
La Corte di Assise di Caltanissetta ha sostenuto nella sentenza del via D’Amelio ter che:
"risulta quanto meno provato che la morte di Paolo Borsellino non era stata voluta solo per finalità di vendetta e di cautela preventiva, bensì anche per esercitare – cumulando i suoi effetti con quelli degli altri delitti eccellenti – una forte pressione sulla compagine governativa che aveva attuato una linea politica di contrasto alla mafia più intensa che nel passato ed indurre coloro che si fossero mostrati disponibili tra i possibili referenti, a farsi avanti per trattare un mutamento di quella linea politica [...] E proprio per agevolare la creazione di nuovi contatti politici occorreva eliminare persone che come Borsellino avrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo di approccio con _cosa nostra_."
Fonte: società civile
La ricostruzione dei fatti in oggetto secondo il gip.
Il 18 febbraio 1991 Giovanni Falcone veniva chiamato a dirigere l'Ufficio Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia retto da Claudio Martelli.
Nell'aprile seguente il governo Andreotti adottava un decreto legge per impedire le scarcerazioni per decorrenza dei termini, cosa che era andata a vantaggio di diversi mafiosi.
A fine anno si celebrava il terzo grado di giudizio presso la Prima Sezione della Corte di Cassazione per il maxiprocesso di Palermo ed il 30 gennaio 1992 veniva emessa una sentenza che annullava le assoluzioni dei personaggi di vertice dell’organizzazione, confermando le altre condanne.
Il 12 marzo 1992, nel corso della campagna elettorale per le politiche, veniva ucciso Salvo Lima, esponente della corrente andreottiana in Sicilia.
In quel periodo Elio Ciolini, condannato per depistaggio, forniva informazioni relativamente ad un piano destabilizzante che si stava preparando in Italia e che prefigurava gravi attentati a personaggi delle istituzioni nel periodo di marzo-luglio 1992.
Dopo le elezioni politiche, si dimettevano il 24 aprile il Presidente del Consiglio in carica, Giulio Andreotti, e, il giorno dopo, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
In questa situazione, e dopo un conflitto istituzionale tra il Ministro di Grazia e Giustizia Martelli e il CSM relativo alla nomina di Giovanni Falcone a Procuratore Nazionale Antimafia, il 23 maggio avveniva la strage di Capaci.
Due giorni dopo veniva eletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, emergeva la candidatura di Paolo Borsellino a Procuratore Nazionale Antimafia.
Il 6 luglio 1992 trapelava la notizia del trasferimento degli imputati e dei condannati per associazione mafiosa nelle carceri di massima sicurezza di Pianosa e di Fossombrone.
Il 19 luglio 1992 veniva fatta esplodere l’autobomba di via D'Amelio.
Si adottavano a questo punto incisive iniziative legislative e di polizia nei confronti delle organizzazioni mafiose. In particolare si accelerava la conversione in legge del d.l. 8/6/1992 n.306 per il contrasto alla criminalità mafiosa, superando le precendenti opposizioni di alcune forze politiche.
Le stragi di Capaci e di via D'Amelio furono rivendicate dalla Falange Armata. Secondo i giudici della Corte di Assise di Firenze, come riportato nella sentenza a carico di Leoluca Bagarella e altri 25 in data 6 giugno 1998, uomini di cosa nostra organizzarono ed eseguirono gli attentati stragisti del 1993 mimetizzando la loro attività usando quella sigla, del resto attiva anche indipendentemente da loro.
La Corte di Assise di Caltanissetta ha sostenuto nella sentenza del via D’Amelio ter che:
"risulta quanto meno provato che la morte di Paolo Borsellino non era stata voluta solo per finalità di vendetta e di cautela preventiva, bensì anche per esercitare – cumulando i suoi effetti con quelli degli altri delitti eccellenti – una forte pressione sulla compagine governativa che aveva attuato una linea politica di contrasto alla mafia più intensa che nel passato ed indurre coloro che si fossero mostrati disponibili tra i possibili referenti, a farsi avanti per trattare un mutamento di quella linea politica [...] E proprio per agevolare la creazione di nuovi contatti politici occorreva eliminare persone che come Borsellino avrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo di approccio con _cosa nostra_."
Fonte: società civile
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Cosa nostra
Alfa e Beta: archiviazione
Società civile mette a disposizione l'ordinanza d'archiviazione del Gip di Caltanissetta per le stragi Falcone e Borsellino nei confronti degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
Si tratta di un documento risalente al maggio 2002 quando il caso é stato considerato chiuso dal gip Tona. Come si legge nel corriere di quei tempi, il punto fondamentale dell'ordinanza é che il quadro indiziario nei confronti degli indagati s'é dimostrato friabile, e ciò ha imposto l'archiviazione del procedimento.
Origine del procedimento
Nel luglio 1998, il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta disponeva l'iscrizione nel registro degli indagati di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri in base ad una serie di risultanze che delineavano una notizia di reato a loro carico quali mandanti delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. La fonte principale di questa iscrizione sarebbero state le dichiarazioni Salvatore Cancemi a proposito di "persone importanti" che avrebbero concorso a decidere l’eliminazione
fisica di Falcone e Borsellino; e a proposito di rapporti gestiti prima Vittorio Mangano e poi da Salvatore Riina con i vertici di Fininvest.
Il PM riteneva inoltre che anche le dichiarazioni di Tullio Cannella e di Gioacchino La Barbera sui contatti di cosa nostra con imprenditori del nord Italia, le dichiarazioni di Gioacchino Pennino ed Angelo Siino chi avrebbe avuto interesse ad eliminare i due magistrati, e gli esiti delle investigazioni della DIA e del Gruppo "Falcone e Borsellino" sui rapporti di Berlusconi e dell'Utri con cosa nostra, conducessero verso l'ipotesi investigativa di un coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri nei fatti.
Per ragioni di segretezza i due indagati venivano indicati nel nuovo fascicolo aperto dal PM come alfa e beta.
Nel marzo 2001 le esigenze di segretezza sono venute a cadere, e quindi nel resto del documento si citano i due indagati con le loro effettive generalità.
Si tratta di un documento risalente al maggio 2002 quando il caso é stato considerato chiuso dal gip Tona. Come si legge nel corriere di quei tempi, il punto fondamentale dell'ordinanza é che il quadro indiziario nei confronti degli indagati s'é dimostrato friabile, e ciò ha imposto l'archiviazione del procedimento.
Origine del procedimento
Nel luglio 1998, il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta disponeva l'iscrizione nel registro degli indagati di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri in base ad una serie di risultanze che delineavano una notizia di reato a loro carico quali mandanti delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. La fonte principale di questa iscrizione sarebbero state le dichiarazioni Salvatore Cancemi a proposito di "persone importanti" che avrebbero concorso a decidere l’eliminazione
fisica di Falcone e Borsellino; e a proposito di rapporti gestiti prima Vittorio Mangano e poi da Salvatore Riina con i vertici di Fininvest.
Il PM riteneva inoltre che anche le dichiarazioni di Tullio Cannella e di Gioacchino La Barbera sui contatti di cosa nostra con imprenditori del nord Italia, le dichiarazioni di Gioacchino Pennino ed Angelo Siino chi avrebbe avuto interesse ad eliminare i due magistrati, e gli esiti delle investigazioni della DIA e del Gruppo "Falcone e Borsellino" sui rapporti di Berlusconi e dell'Utri con cosa nostra, conducessero verso l'ipotesi investigativa di un coinvolgimento di Berlusconi e Dell’Utri nei fatti.
Per ragioni di segretezza i due indagati venivano indicati nel nuovo fascicolo aperto dal PM come alfa e beta.
Nel marzo 2001 le esigenze di segretezza sono venute a cadere, e quindi nel resto del documento si citano i due indagati con le loro effettive generalità.
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Montenegro Connection: intercettazioni telefoniche
Il ruolo delle intercettazioni telefoniche nell'inchiesta "Montenegro Connection".
Le conversazioni telefoniche intercettate in Svizzera sull'utenza del cellulare in uso a Gerardo Cuomo evidenzierebbero concretamente, secondo gli investigatori, il suo ruolo all'interno della cupola dell'organizzazione. Il Cuomo manteneva contatti con Ciro Armento, con i brindisini Santo Vantaggiato, Marcello Morleo e Francesco Nardelli riconducibili alla fornitura di ingenti quantitativi di tabacchi lavorati esteri, da contrabbandare in Italia, e a recapitare in Svizzera le ingenti somme di denaro ottenute dal traffico per il tramite di corrieri dell'organizzazione, dedita al riciclaggio e rimpiego di capitali illeciti, promossa da Vittorio Gregis e Eros Vanini.
Si scopre dalle intercettazioni che il Cuomo era a conocenza con un mese di anticipo di una operazione che avrebbe portato all'arresto, il 28 settembre 1999, di:
"che entro due, tre giorni, questi li prendono e li mandano via. Però per la fine del mese [...] a fine mese, faranno una bella pulizia che neanche io sono al corrente del tutto [...] globale [...] è sottosopra, tutto, lì il Montenegro [...] comunque ti farò sapere questi sviluppi come andranno a finire"
Fonte: publicintegrity.org
Le conversazioni telefoniche intercettate in Svizzera sull'utenza del cellulare in uso a Gerardo Cuomo evidenzierebbero concretamente, secondo gli investigatori, il suo ruolo all'interno della cupola dell'organizzazione. Il Cuomo manteneva contatti con Ciro Armento, con i brindisini Santo Vantaggiato, Marcello Morleo e Francesco Nardelli riconducibili alla fornitura di ingenti quantitativi di tabacchi lavorati esteri, da contrabbandare in Italia, e a recapitare in Svizzera le ingenti somme di denaro ottenute dal traffico per il tramite di corrieri dell'organizzazione, dedita al riciclaggio e rimpiego di capitali illeciti, promossa da Vittorio Gregis e Eros Vanini.
Si scopre dalle intercettazioni che il Cuomo era a conocenza con un mese di anticipo di una operazione che avrebbe portato all'arresto, il 28 settembre 1999, di:
- Donato Laraspata (SCU);
- Carmine Taurisano (SCU);
- Francesco Sparaccio (SCU);
- Enrico Rispoli (camorra);
- Giuseppe Tedesco (SCU);
- Maurizio Coffa (SCU);
- Erminio Cavaliere (pugliesi);
- Domenico Colucello (pugliesi);
- Diego Vastarella (camorra);
- Fabio Riso (camorra);
- Giovanni Sardella (SCU);
- Leonardo Cucinelli (SCU);
- Massimo Buccolieri (SCU);
- Raffaele Nacci (SCU);
- Francesco Alfarano (pugliesi);
- Marcello Cincinnato (SCU);
- Rocco Montalto (SCU);
- Carmine Condussi (camorra);
- Salvatore Sodano (camorra);
- Ferdinando Lago (camorra);
- Mario Orso (camorra);
- Umberto D'Arienzo (camorra);
- Salvatore Borrelli (camorra);
- Salvatore Puglia (camorra);
- Fausto Conte (pugliesi);
- Rocco Conte (pugliesi);
- Vito Simini;
- Giovanni Leone;
"che entro due, tre giorni, questi li prendono e li mandano via. Però per la fine del mese [...] a fine mese, faranno una bella pulizia che neanche io sono al corrente del tutto [...] globale [...] è sottosopra, tutto, lì il Montenegro [...] comunque ti farò sapere questi sviluppi come andranno a finire"
Fonte: publicintegrity.org
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Montenegro Connection: sentenza n.626/01
Stralcio Sentenza n. 626/01 R.G. Sent. della Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale Civile e Penale di Bari, pronunciata in data 17.7.2001, dai verbali della "Montenegro Connection".
[...] emerge dagli atti come la penisola Balcanica fosse divenuta rifugio privilegiato per taluni appartenenti alle associazioni mafiose già operanti nel territorio nazionale, consentendo da un lato il controllo e la direzione di ingenti traffici internazionali di generi di contrabbando, di armi e di sostanze stupefacenti, dall’altro l’indisturbata latitanza di pericolosissimi promotori e dirigenti delle dette associazioni mafiose.
[...] In particolare [...] è emerso l'insediamento delle associazioni mafiose in due cittadine del Montenegro, Bar’ e Zelenica, dove si trovava il gruppo composto, fra gli altri, dai latitanti Benedetto Stano, arrestato nel novembre 1996 e poi divenuto collaboratore di giustizia, Santo Vantaggiato - ucciso nel settembre 1998 - entrambi affiliati alla Sacra Corona Unita (frangia di Salvatore Buccarella), Francesco Sparaccio, anch'egli aderente alla SCU, Giuseppe Cellamare, esponente di un pericoloso clan operante nel quartiere Carrassi a Bari poi arrestato e divenuto collaboratore di giustizia, nonché i fratelli Laraspata, dirigenti dell’omonimo clan calabrese (due dei quali poi arrestati e anch'essi collaboratori di giustizia) ed infine il gruppo di Francesco Prudentino detto Ciccio la busta esponente della Sacra Corona Unita, facente capo al fondatore Giuseppe Rogoli.
[...] nell’ultimo decennio quei latitanti abbiano dato vita [...] ad un vero e proprio accordo criminale per lo svolgimento delle attività di contrabbando tra la costa montenegrina e il litorale pugliese [...] proponendosi quali interlocutori affidabili dei grandi trafficanti internazionali tra i quali spicca senza dubbio Gerardo Cuomo. Quest’ultimo, noto come Tony o Sergio appare, alla luce delle propalazioni dei collaboratori Sarno, Stano, Cellamare e Adriano Corti, come uno dei quattro legittimi importatori di sigarette in Montenegro con la collaborazione di Alfred Bossert quale mente finanziaria del sistema addetto al riciclo dei proventi in Svizzera.
[...] si è contestato a Vaso Baosic, capo della polizia di Bar, di aver fornito,
dapprima a Benedetto Stano e successivamente a Santo Vantaggiato e ad altri, notizie di natura riservata concernenti richieste di cattura degli stessi, inoltrate dalle autorità giudiziaria di polizia italiana. Non solo, secondo l’accusa, Baosic Vaso, ricevuta notizia della presenza o della visita di delegazione italiana di polizia, immediatamente avvertiva i capi di queste organizzazioni criminali insediatesi nella cittadina di Bar, favorendone l'allontanamento, e tanto al fine di assicurare il permanere dello stato di latitanza ed il controllo mafioso dell’associazione. Tutto ciò [...] in cambio di danaro e di regali di ingente valore. Insieme a Baosic [...] c’era anche [... ] Djuro Crnojevic [che aveva] fornito il suo contributo di interprete a Vantaggiato nei rapporti con il Baosic, nonché [...] avesse fatto da interprete in una cerimonia di affiliazione di uno slavo al Vantaggiato.
[...] Dalle dichiarazioni dello Stano emerge che Prudentino Francesco, è stata una persona protetta in Montenegro ai massimi livelli, [...] è stato l'unico a non essere restituito dal Montenegro all’Italia con una procedura di espulsione, in quanto al Prudentino è stato consentito di allontanarsi dal Montenegro, tant'è che, come è noto, è rimasto latitante per un altro anno in Grecia e successivamente catturato proprio in questo Paese. Stano rendeva quindi spiegazioni sul perché Prudentino era molto forte in Montenegro "a livello di mafia, a livello con i Giudici, a livello con la polizia, che là la mafia è la polizia, mica siamo noi". In particolare lo Stano riferiva degli agganci di Prudentino con il capo della Polizia, Vaso Baosic, con numerosi magistrati, nonché con un facoltoso imprenditore, conosciuto con il nome di Brano, imparentato con il presidente del Montenegro, Milo Djukanovic.
[...] Zelenica è a nord, ed in essa trovano rifugio, ospitalità e base operativa soprattutto esponenti criminali campani ed in più, per alcuni anni, lo stesso Francesco Prudentino. Bar’, a sud del Montenegro, invece ospita latitanti brindisini e baresi e, in particolare, Giuseppe Cellamare che viene individuato come il re incontrastato del quartiere Carrassi di Bari.
I Laraspata, anche essi emersi nello scenario criminale dopo la metà degli anni '90,
trovano rifugio dapprima a Zelenica e quindi [...] a Bar’ [...]
[...] Nel corso delle indagini è altresì emerso che qualsiasi soggetto si rifugiasse dall’Italia in Montenegro doveva avere un accredito ossia essere legittimato ad entrare quindi "sponsorizzato" da qualche influente criminale italiano.
[...] stretto legame tra i gruppi criminali e le Autorità locali del Montenegro ed i metodi mafiosi adoperati. [...] nonostante ci sia stato quello scontro a fuoco nel quale Cellamare e Porro hanno sparato a Giuseppe De Felice e a Nicola Solazzo [...] incredibilmente sono stati espulsi non gli autori della sparatoria, bensì le vittime.
[...] l’episodio del giovane slavo, capo di un gruppo criminale locale che operava a Bar, che pensò di inserirsi in questo business [...] chiedendo una tangente con una minaccia a Francesco Prudentino, il quale, avrebbe chiesto a Stano di eliminarlo.
Lo Stano, secondo le sue confessioni, fa sparare all’estortore e il cadavere viene nascosto in un giardino, subendo poi una serie di spostamenti a seconda e con riferimento al momento in cui [...] una serie di persone hanno successivamente deciso di collaborare con la giustizia, proprio per il timore che [...] ciascuno potesse rivelare il luogo ove il cadavere era sepolto.
Fonte: publicintegrity.org
[...] emerge dagli atti come la penisola Balcanica fosse divenuta rifugio privilegiato per taluni appartenenti alle associazioni mafiose già operanti nel territorio nazionale, consentendo da un lato il controllo e la direzione di ingenti traffici internazionali di generi di contrabbando, di armi e di sostanze stupefacenti, dall’altro l’indisturbata latitanza di pericolosissimi promotori e dirigenti delle dette associazioni mafiose.
[...] In particolare [...] è emerso l'insediamento delle associazioni mafiose in due cittadine del Montenegro, Bar’ e Zelenica, dove si trovava il gruppo composto, fra gli altri, dai latitanti Benedetto Stano, arrestato nel novembre 1996 e poi divenuto collaboratore di giustizia, Santo Vantaggiato - ucciso nel settembre 1998 - entrambi affiliati alla Sacra Corona Unita (frangia di Salvatore Buccarella), Francesco Sparaccio, anch'egli aderente alla SCU, Giuseppe Cellamare, esponente di un pericoloso clan operante nel quartiere Carrassi a Bari poi arrestato e divenuto collaboratore di giustizia, nonché i fratelli Laraspata, dirigenti dell’omonimo clan calabrese (due dei quali poi arrestati e anch'essi collaboratori di giustizia) ed infine il gruppo di Francesco Prudentino detto Ciccio la busta esponente della Sacra Corona Unita, facente capo al fondatore Giuseppe Rogoli.
[...] nell’ultimo decennio quei latitanti abbiano dato vita [...] ad un vero e proprio accordo criminale per lo svolgimento delle attività di contrabbando tra la costa montenegrina e il litorale pugliese [...] proponendosi quali interlocutori affidabili dei grandi trafficanti internazionali tra i quali spicca senza dubbio Gerardo Cuomo. Quest’ultimo, noto come Tony o Sergio appare, alla luce delle propalazioni dei collaboratori Sarno, Stano, Cellamare e Adriano Corti, come uno dei quattro legittimi importatori di sigarette in Montenegro con la collaborazione di Alfred Bossert quale mente finanziaria del sistema addetto al riciclo dei proventi in Svizzera.
[...] si è contestato a Vaso Baosic, capo della polizia di Bar, di aver fornito,
dapprima a Benedetto Stano e successivamente a Santo Vantaggiato e ad altri, notizie di natura riservata concernenti richieste di cattura degli stessi, inoltrate dalle autorità giudiziaria di polizia italiana. Non solo, secondo l’accusa, Baosic Vaso, ricevuta notizia della presenza o della visita di delegazione italiana di polizia, immediatamente avvertiva i capi di queste organizzazioni criminali insediatesi nella cittadina di Bar, favorendone l'allontanamento, e tanto al fine di assicurare il permanere dello stato di latitanza ed il controllo mafioso dell’associazione. Tutto ciò [...] in cambio di danaro e di regali di ingente valore. Insieme a Baosic [...] c’era anche [... ] Djuro Crnojevic [che aveva] fornito il suo contributo di interprete a Vantaggiato nei rapporti con il Baosic, nonché [...] avesse fatto da interprete in una cerimonia di affiliazione di uno slavo al Vantaggiato.
[...] Dalle dichiarazioni dello Stano emerge che Prudentino Francesco, è stata una persona protetta in Montenegro ai massimi livelli, [...] è stato l'unico a non essere restituito dal Montenegro all’Italia con una procedura di espulsione, in quanto al Prudentino è stato consentito di allontanarsi dal Montenegro, tant'è che, come è noto, è rimasto latitante per un altro anno in Grecia e successivamente catturato proprio in questo Paese. Stano rendeva quindi spiegazioni sul perché Prudentino era molto forte in Montenegro "a livello di mafia, a livello con i Giudici, a livello con la polizia, che là la mafia è la polizia, mica siamo noi". In particolare lo Stano riferiva degli agganci di Prudentino con il capo della Polizia, Vaso Baosic, con numerosi magistrati, nonché con un facoltoso imprenditore, conosciuto con il nome di Brano, imparentato con il presidente del Montenegro, Milo Djukanovic.
[...] Zelenica è a nord, ed in essa trovano rifugio, ospitalità e base operativa soprattutto esponenti criminali campani ed in più, per alcuni anni, lo stesso Francesco Prudentino. Bar’, a sud del Montenegro, invece ospita latitanti brindisini e baresi e, in particolare, Giuseppe Cellamare che viene individuato come il re incontrastato del quartiere Carrassi di Bari.
I Laraspata, anche essi emersi nello scenario criminale dopo la metà degli anni '90,
trovano rifugio dapprima a Zelenica e quindi [...] a Bar’ [...]
[...] Nel corso delle indagini è altresì emerso che qualsiasi soggetto si rifugiasse dall’Italia in Montenegro doveva avere un accredito ossia essere legittimato ad entrare quindi "sponsorizzato" da qualche influente criminale italiano.
[...] stretto legame tra i gruppi criminali e le Autorità locali del Montenegro ed i metodi mafiosi adoperati. [...] nonostante ci sia stato quello scontro a fuoco nel quale Cellamare e Porro hanno sparato a Giuseppe De Felice e a Nicola Solazzo [...] incredibilmente sono stati espulsi non gli autori della sparatoria, bensì le vittime.
[...] l’episodio del giovane slavo, capo di un gruppo criminale locale che operava a Bar, che pensò di inserirsi in questo business [...] chiedendo una tangente con una minaccia a Francesco Prudentino, il quale, avrebbe chiesto a Stano di eliminarlo.
Lo Stano, secondo le sue confessioni, fa sparare all’estortore e il cadavere viene nascosto in un giardino, subendo poi una serie di spostamenti a seconda e con riferimento al momento in cui [...] una serie di persone hanno successivamente deciso di collaborare con la giustizia, proprio per il timore che [...] ciascuno potesse rivelare il luogo ove il cadavere era sepolto.
Fonte: publicintegrity.org
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Montenegro Connection: Cuomo e Di Emidio
Stralci dalle dichiarazioni di Gerardo Cuomo, dai verbali della "Montenegro Connection".
PM: Quali sono i politici montenegrini che percepivano denaro, e dove?
GC: Uno è Branko Perovic, Ministro della Finanza.
PM: Come fa a saperlo?
GC: Perché lui è venuto a Lugano da me. Lui prima era in contatto con Ciro Mazzarella
PM: Lei sa che ha percepito del danaro?
GC: Sicuro, lui ed anche Milo Djukanovic.
PM: Come fa a saperlo?
GC: Io con Milo Djucanovic ci ho parlato direttamente.
PM: DELLA TORRE dice: "Sì, tutto ciò che andava al Montenegro erano tasse".
GC: Bugie!
PM: Perché?
GC: Le tasse erano di 30 dollari che si facevano pagare alla Zeta Trans, tutti gli altri soldi che noi pagavamo... 80.000 casse che portavamo, invece ne pagavamo 100.000, sono già 20.000 casse, lei moltiplichi per 60, facciamo 6,1 milione e 260.000 dollari, già in più che lei paga; poi ci sono 30 dollari, ne pagavamo 60, sono altri 30 dollari; questi altri 30 dollari per 100.000 casse, sono altri 3 milioni e passa, sono 4 milioni e 260.000, che se li dividevano i politici, e 30 dollari erano per mantenere in piedi la dogana, la Zeta Trans e gli operai che c'erano lì; che la smetta di racconta puttanate!
Stralci dalle dichiarazioni di Vito Di Emidio, dai verbali della "Montenegro Connection".
PM: Franco Sparaccio aveva preso in mano la situazione a Bar?
VDE: Sì, però, quando ho ammazzato Santino che sono andato sul porto, ho chiamato Franco Sparaccio e gli ho detto: "Vedi che ho ammazzato Santino, vedi che adesso siamo soci tutti e due, mi raccomando". E me ne sono andato. Io ho preso la situazione in mano. Io poi ho mandato Francesco Volpe, poi ho mandato mio cognato, Giuseppe Tedesco, e stavano là tutti insieme loro. Poi sono salito e me ne sono andato a Tivat.
PM: Ma è stato lei a prendere contatti con Francesco Prudentino?
VDE: No, mio fratello ho mandato io. Ho detto a mio fratello: "Parla con Ciccio, vedi, manda a quel paese Franco, l'importante che lui mi trova una sistemazione..."...
PM: Perché lei ha mandato suo fratello da Francesco Prudentino?
VDE: Perché Ciccio era una persona forte in Montenegro, era lui quello che comandava là. Lui stava sotto a Brano, era una persona...
PM: Brano chi?
VDE: Brano, non so come sia il cognome, è una persona di Niksic, è molto prudente come persona. [...] Non so che attività fa, però è molto amico di Milo Djucanovic, il Presidente del Montenegro. Non so se una figlia di questo Brano o qualcosa del genere è sposata con il capo della DIA, non so se è DIA o se è polizia speciale, c'era una parentela.
Fonte: publicintegrity.org
PM: Quali sono i politici montenegrini che percepivano denaro, e dove?
GC: Uno è Branko Perovic, Ministro della Finanza.
PM: Come fa a saperlo?
GC: Perché lui è venuto a Lugano da me. Lui prima era in contatto con Ciro Mazzarella
PM: Lei sa che ha percepito del danaro?
GC: Sicuro, lui ed anche Milo Djukanovic.
PM: Come fa a saperlo?
GC: Io con Milo Djucanovic ci ho parlato direttamente.
PM: DELLA TORRE dice: "Sì, tutto ciò che andava al Montenegro erano tasse".
GC: Bugie!
PM: Perché?
GC: Le tasse erano di 30 dollari che si facevano pagare alla Zeta Trans, tutti gli altri soldi che noi pagavamo... 80.000 casse che portavamo, invece ne pagavamo 100.000, sono già 20.000 casse, lei moltiplichi per 60, facciamo 6,1 milione e 260.000 dollari, già in più che lei paga; poi ci sono 30 dollari, ne pagavamo 60, sono altri 30 dollari; questi altri 30 dollari per 100.000 casse, sono altri 3 milioni e passa, sono 4 milioni e 260.000, che se li dividevano i politici, e 30 dollari erano per mantenere in piedi la dogana, la Zeta Trans e gli operai che c'erano lì; che la smetta di racconta puttanate!
Stralci dalle dichiarazioni di Vito Di Emidio, dai verbali della "Montenegro Connection".
PM: Franco Sparaccio aveva preso in mano la situazione a Bar?
VDE: Sì, però, quando ho ammazzato Santino che sono andato sul porto, ho chiamato Franco Sparaccio e gli ho detto: "Vedi che ho ammazzato Santino, vedi che adesso siamo soci tutti e due, mi raccomando". E me ne sono andato. Io ho preso la situazione in mano. Io poi ho mandato Francesco Volpe, poi ho mandato mio cognato, Giuseppe Tedesco, e stavano là tutti insieme loro. Poi sono salito e me ne sono andato a Tivat.
PM: Ma è stato lei a prendere contatti con Francesco Prudentino?
VDE: No, mio fratello ho mandato io. Ho detto a mio fratello: "Parla con Ciccio, vedi, manda a quel paese Franco, l'importante che lui mi trova una sistemazione..."...
PM: Perché lei ha mandato suo fratello da Francesco Prudentino?
VDE: Perché Ciccio era una persona forte in Montenegro, era lui quello che comandava là. Lui stava sotto a Brano, era una persona...
PM: Brano chi?
VDE: Brano, non so come sia il cognome, è una persona di Niksic, è molto prudente come persona. [...] Non so che attività fa, però è molto amico di Milo Djucanovic, il Presidente del Montenegro. Non so se una figlia di questo Brano o qualcosa del genere è sposata con il capo della DIA, non so se è DIA o se è polizia speciale, c'era una parentela.
Fonte: publicintegrity.org
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Montenegro Connection: Laraspata e Cellamare
Stralci dalle dichiarazioni di Tommaso Laraspata, dai verbali della "Montenegro Connection".
TL: Allora tramite questa persona della pizzeria, disse a me: "Tommaso, prendi 10 milioni ed andiamo in Caserma, vediamo se ti faccio collegare con questo, diciamo: Tieni, questi sono 10 milioni per le elezioni". Allora proprio io con questa persona gli ho dato 10 milioni a Vaso e dissi io: "Tieni Vaso, fai per le elezioni, so che ti servono i 10 milioni". E lui, per non trovarsi di sotto, chiamò a Dragan -altro
Capo della Polizia- e disse: "Tieni, Dragan, questi qua sono per il football, perché per le elezioni stiamo già a posto". E li passò a Dragan. Io dissi: "Per me è lo stesso." e gli lasciai 10 milioni per il pallone e li detti a Dragan; però non sono mai entrato con lui in confidenza.
...
PM: Ma lei era latitante pure?
TL: Io? Sì.
PM: E beh, e l'ispettrice non sapeva che pure lei era latitante?
TL: Ma tutti sapevano, però ci lasciavano stare. Perché quando arrivavano i fax a Podgorica, Podgorica trasmetteva a Bar' da Vaso e Vaso diceva: "Nascondetevi per un paio di giorni che verrà la Polizia di Bari ad ispezionare per i latitanti".
Stralci dalle dichiarazioni di Giuseppe Cellamare, dai verbali della "Montenegro Connection".
GC: ... Milosevic voleva i soldi sulle sigarette, mentre Milo non li dava. E Milosevic voleva il potere, voleva Momir, e noi... e Milo ci disse che se vinceva lui ci faceva stare.., potevamo stare tranquilli per altri cinque anni, ci mandò a dire.
PM: Uhm.
GC: Mentre Momir ci mandò a dire per un altro, tramite Djuro, che se eleggevano lui.., lui diceva che ci doveva far arrestare e cose, ma era bugia, dice... si accordava anche lui.
PM: Senta, ma questa idea di fare il traffico delle sigarette in Montenegro a chi è venuta?
GC: A _Ciccio la bussola_. _Ciccio la bussola_ ha preso l'esclusiva anni fa, è stato il primo, ha preso l'esclusiva...
Cellamare (o chi ha verbalizzato) riporta scorrettamente il soprannome di Francesco Prudentino: Ciccio la busta.
GC: So che lui versò... quasi un paio di miliardi per prendere l'esclusiva in Montenegro delle sigarette. E all'epoca, quando è iniziato il contrabbando con il Montenegro, le sigarette le poteva vendere solo _Ciccio la bussola_ perché aveva l'esclusiva proprio dal Governo, solo che doveva vendere più di, non so, 30.000 casse al mese o alla settimana.
PM: Ma l'accordo originario è stato fatto con il Montenegro o con la Jugoslavia?
GC: Col Montenegro, col Montenegro.
Fonte: publicintegrity.org
TL: Allora tramite questa persona della pizzeria, disse a me: "Tommaso, prendi 10 milioni ed andiamo in Caserma, vediamo se ti faccio collegare con questo, diciamo: Tieni, questi sono 10 milioni per le elezioni". Allora proprio io con questa persona gli ho dato 10 milioni a Vaso e dissi io: "Tieni Vaso, fai per le elezioni, so che ti servono i 10 milioni". E lui, per non trovarsi di sotto, chiamò a Dragan -altro
Capo della Polizia- e disse: "Tieni, Dragan, questi qua sono per il football, perché per le elezioni stiamo già a posto". E li passò a Dragan. Io dissi: "Per me è lo stesso." e gli lasciai 10 milioni per il pallone e li detti a Dragan; però non sono mai entrato con lui in confidenza.
...
PM: Ma lei era latitante pure?
TL: Io? Sì.
PM: E beh, e l'ispettrice non sapeva che pure lei era latitante?
TL: Ma tutti sapevano, però ci lasciavano stare. Perché quando arrivavano i fax a Podgorica, Podgorica trasmetteva a Bar' da Vaso e Vaso diceva: "Nascondetevi per un paio di giorni che verrà la Polizia di Bari ad ispezionare per i latitanti".
Stralci dalle dichiarazioni di Giuseppe Cellamare, dai verbali della "Montenegro Connection".
GC: ... Milosevic voleva i soldi sulle sigarette, mentre Milo non li dava. E Milosevic voleva il potere, voleva Momir, e noi... e Milo ci disse che se vinceva lui ci faceva stare.., potevamo stare tranquilli per altri cinque anni, ci mandò a dire.
PM: Uhm.
GC: Mentre Momir ci mandò a dire per un altro, tramite Djuro, che se eleggevano lui.., lui diceva che ci doveva far arrestare e cose, ma era bugia, dice... si accordava anche lui.
PM: Senta, ma questa idea di fare il traffico delle sigarette in Montenegro a chi è venuta?
GC: A _Ciccio la bussola_. _Ciccio la bussola_ ha preso l'esclusiva anni fa, è stato il primo, ha preso l'esclusiva...
Cellamare (o chi ha verbalizzato) riporta scorrettamente il soprannome di Francesco Prudentino: Ciccio la busta.
GC: So che lui versò... quasi un paio di miliardi per prendere l'esclusiva in Montenegro delle sigarette. E all'epoca, quando è iniziato il contrabbando con il Montenegro, le sigarette le poteva vendere solo _Ciccio la bussola_ perché aveva l'esclusiva proprio dal Governo, solo che doveva vendere più di, non so, 30.000 casse al mese o alla settimana.
PM: Ma l'accordo originario è stato fatto con il Montenegro o con la Jugoslavia?
GC: Col Montenegro, col Montenegro.
Fonte: publicintegrity.org
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Arresto di Santo La Causa
Santo La Causa, indicato come uno dei trenta latitanti di massima pericolosità, é stato arrestato dai carabinieri che hanno interrotto un vertice ad alto livello di cosa nostra catanese.
Tra i nomi degli altri arrestati spicca il nome di Carmelo Puglisi, inserito nella lista dei primi 100 latitanti in Italia, ricercato per gli attentati compiuti nei cantieri di Andrea Vecchio.
Il La Causa sarebbe il reggente degli Ercolano-Santapaola, famiglia di cui il Puglisi sarebbe un personaggio di alto livello.
Gli altri nomi fatti per i partecipanti al vertice sono: Vincenzo Enzo Aiello, considerato vicino a Benedetto Nitto Santapaola; Francesco Patania e Venerando Cristaldi, fratello di Salvatore, e Saro Tripodo, che sarebbero tutti e tre ai vertici di Picanello; Sebastiano Laudani, ritenuto ai vertici dei Mussu di ficurinia; Ignazio Barbagallo, che sarebbe responsabile per i Santapaola nella zona di Camporotondo, San Pietro Clarenza e Belpasso. Antonino Botta sarebbe un semplice fiancheggiatore che avrebbe messo a disposizione la villa ad Agro di Belpasso dove si é tenuto il vertice.
Fonti: rainews24, apcom, repubblica, catania oggi
Tra i nomi degli altri arrestati spicca il nome di Carmelo Puglisi, inserito nella lista dei primi 100 latitanti in Italia, ricercato per gli attentati compiuti nei cantieri di Andrea Vecchio.
Il La Causa sarebbe il reggente degli Ercolano-Santapaola, famiglia di cui il Puglisi sarebbe un personaggio di alto livello.
Gli altri nomi fatti per i partecipanti al vertice sono: Vincenzo Enzo Aiello, considerato vicino a Benedetto Nitto Santapaola; Francesco Patania e Venerando Cristaldi, fratello di Salvatore, e Saro Tripodo, che sarebbero tutti e tre ai vertici di Picanello; Sebastiano Laudani, ritenuto ai vertici dei Mussu di ficurinia; Ignazio Barbagallo, che sarebbe responsabile per i Santapaola nella zona di Camporotondo, San Pietro Clarenza e Belpasso. Antonino Botta sarebbe un semplice fiancheggiatore che avrebbe messo a disposizione la villa ad Agro di Belpasso dove si é tenuto il vertice.
Fonti: rainews24, apcom, repubblica, catania oggi
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Montenegro Connection: Crnojevic e Porro
Stralci dalle dichiarazioni di Djuro Giuro Crnojevic, dai verbali della "Montenegro Connection".
PM: Che cosa faceva Bobo, a parte il Ministro?
DC: Aveva l'ufficio delle sigarette.
PM: Quindi aveva una attività di import-export di sigarette?
DC: Sì, Bobo-Company, mi ricordo bene.
PM: Come si chiama l'ufficio?
DC: Bobo-Company.
PM: Ah. Bobo-Company.
DC: Proprio voleva far notare il nome suo.
PM: Dove l'aveva?
DC: Nel centro di Bar', vicino alla nave, al traghetto, a 100 metri; proprio in
centro.
...
PM: E sa se ha degli interessi in Italia il signor Bobo?
DC: So adesso che sua figlia è sposata con Franco.
PM: Con Franco ...?
DC: Non lo so il cognome.
PM: Quale Franco?
DC: Franco che sta con Santino, quello più grosso, ma il più anziano.
PM: Ah, il Franco che sta in Montenegro?
DC: Sì.
PM: E' barese o brindisino?
DC: Brindisino.
Stralci dalle dichiarazioni di Orazio Porro, dai verbali della "Montenegro Connection".
OP: Non lo so, dottò, Milo o Milosevic... non lo so dire in slavo, comunque il Presidente, Milo. Stavano facendo le votazioni Milo e Momo e Santino voleva che vinceva Milo perché Milo dava la copertura, Momo...
PM: Come fa a dire che dava la copertura?
OP: Ho sentito parlare da loro con questo _Giuro_... che se vinceva Milo... perché Momo era contrario alle sigarette ed ai latitanti, era contrario a questo; invece Milo no: Milo voleva questo.
PM: Perché?
OP: Perché lui sta nel business di questo.
PM: Lei come fa a dirlo?
OP: Perché delle sere io ho fatto le cene con loro.
PM: Con chi?
OP: Con il fratello di Milo...
...
PM: Come si chiama?
OP: Dottò, sono nomi slavi, però... non me li faccia dire, però lo conosco benissimo. Allora sono andato a cena due volte con il fratello del Presidente Milo.
PM: Chi eravate?
OP: Mi portava Santino, eravamo: io, Santino, Marcello e Maurizio, solo noi quattro.
PM: Chi stava oltre a voi quattro, il fratello di Milo?
OP: Il fratello di Milo e due, questi non so che fanno da killer, da autisti, questi vanno sempre armati, non so cosa... li conosco però non so cosa... sono poliziotti.
...
OP: [...] Però so che lui [Santino Vantaggiato] ha un passaporto... adesso come si dice, quei passaporti che non si possono toccare le persone? [...] Diplomatici! Che lui questo passaporto l'ha avuto dal Presidente Milo. [...] e lo doveva far avere a me e a Pinuccio Cellamare.
Fonte: publicintegrity.org
PM: Che cosa faceva Bobo, a parte il Ministro?
DC: Aveva l'ufficio delle sigarette.
PM: Quindi aveva una attività di import-export di sigarette?
DC: Sì, Bobo-Company, mi ricordo bene.
PM: Come si chiama l'ufficio?
DC: Bobo-Company.
PM: Ah. Bobo-Company.
DC: Proprio voleva far notare il nome suo.
PM: Dove l'aveva?
DC: Nel centro di Bar', vicino alla nave, al traghetto, a 100 metri; proprio in
centro.
...
PM: E sa se ha degli interessi in Italia il signor Bobo?
DC: So adesso che sua figlia è sposata con Franco.
PM: Con Franco ...?
DC: Non lo so il cognome.
PM: Quale Franco?
DC: Franco che sta con Santino, quello più grosso, ma il più anziano.
PM: Ah, il Franco che sta in Montenegro?
DC: Sì.
PM: E' barese o brindisino?
DC: Brindisino.
Stralci dalle dichiarazioni di Orazio Porro, dai verbali della "Montenegro Connection".
OP: Non lo so, dottò, Milo o Milosevic... non lo so dire in slavo, comunque il Presidente, Milo. Stavano facendo le votazioni Milo e Momo e Santino voleva che vinceva Milo perché Milo dava la copertura, Momo...
PM: Come fa a dire che dava la copertura?
OP: Ho sentito parlare da loro con questo _Giuro_... che se vinceva Milo... perché Momo era contrario alle sigarette ed ai latitanti, era contrario a questo; invece Milo no: Milo voleva questo.
PM: Perché?
OP: Perché lui sta nel business di questo.
PM: Lei come fa a dirlo?
OP: Perché delle sere io ho fatto le cene con loro.
PM: Con chi?
OP: Con il fratello di Milo...
...
PM: Come si chiama?
OP: Dottò, sono nomi slavi, però... non me li faccia dire, però lo conosco benissimo. Allora sono andato a cena due volte con il fratello del Presidente Milo.
PM: Chi eravate?
OP: Mi portava Santino, eravamo: io, Santino, Marcello e Maurizio, solo noi quattro.
PM: Chi stava oltre a voi quattro, il fratello di Milo?
OP: Il fratello di Milo e due, questi non so che fanno da killer, da autisti, questi vanno sempre armati, non so cosa... li conosco però non so cosa... sono poliziotti.
...
OP: [...] Però so che lui [Santino Vantaggiato] ha un passaporto... adesso come si dice, quei passaporti che non si possono toccare le persone? [...] Diplomatici! Che lui questo passaporto l'ha avuto dal Presidente Milo. [...] e lo doveva far avere a me e a Pinuccio Cellamare.
Fonte: publicintegrity.org
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Montenegro Connection: Benedetto Stano
Stralci dalle dichiarazioni di Benedetto Stano, dai verbali della "Montenegro Connection".
BS: 300 mila lire il capo della Polizia li prende, non la segretaria! Non lo puoi sapere meglio di me, guarda. Quelli... poi altri stipendi vogliono. Mi ero stancato a stare in Montenegro, mi sono stancato. Poi devo fare delle rivelazioni sopra a _Ciccio_, ma mi devo riservare perché c'è la ragazza là, _Ciccio_ è molto forte là, molto.
PM: Cosa intende quando dice "è molto forte"?
BS: A livello di mafia, a livello con i Giudici, a livello con la Polizia... che là la mafia è la Polizia, mica siamo noi!
Ciccio sarebbe poi Francesco Prudentino, meglio noto come Ciccio la busta.
PM: Perché stanno tutti a Zelenica questi napoletani: che hanno a Zelenica, dove lavorano?
BS: Tutte le sigarette arrivano a Zelenica.
PM: Dove vengono messe?
BS: Nei depositi.
PM: Di chi sono questi "depositi"?
BS: Del Governo, si paga il Governo pure, eh.
PM: Quanto?
BS: 40 dollari ogni cassa. Il Governo ormai i soldi...
PM: Chi paga?
BS: Attraverso l'agenzia.
PM: Qual'è l'agenzia?
BS: La Zeta-Trans. ...soldi a non finire! Milo adesso non lo può toccare più
nessuno, ha vinto di nuovo le elezioni, in assoluto.
Il Milo che ha vinto le elezioni é Milo Djukanovic.
CC: Invece la benzina con la quale rifornivate gli scafi da chi l'acquistava?
BS: La compravamo là.
CC: Da chi?
BS: Dal governo Jugoslavo.
[...]
BS: Una volta stavo io per parlare di un mio problema, Milo Djukanovic stava all'Hotel a Podgorica, sotto c'è il Casinò e sopra c'è l'Hotel; poi venne Brano, sarebbe un mafioso del Montenegro e...
PM: "Brano" è parente a Djukanovic?
BS: Sì, mi sembra che sono compari, cugini, non ricordo bene, comunque hanno
molta stima fra tutti e due: si vedono sempre, si parlano sempre... Io chiesi un piacere a questo Brano, siccome mi avevano cacciato dal Montenegro: gli chiesi di poter ritornare nuovamente al Montenegro e chiesi un favore a _Ciccio_ [Francesco Prudentino]. _Ciccio_ mi rispose: "Va bene adesso ne parlo con Brano, poi ci incontriamo e ne parlo con Milo Djukanovic". "Va bene". Io ho preso appuntamento con _Ciccio_, sono andato a... all'albergo. _Ciccio_ non c'era ed è venuto Brano. E' venuto BRANO e dopo un'oretta è venuto Milo con 3-4 guardie del corpo e si sono messi a parlare dicendomi che poi avrebbero visto il mio problema.
[...]
BS: ...Prudentino conosce Brano; Brano è imparentato con Milo Djukanovic, essendo grande mafioso di là, là funziona tutto così: là sono tutti mafiosi. Là funziona così: Milo Djukanovic un altro mafioso è! Funziona così. Addirittura Prudentino ha fatto fare, come io so, una tubazione di acqua da Podgorica a Niksic, al paese di Brano.
Fonte: publicintegrity.org
BS: 300 mila lire il capo della Polizia li prende, non la segretaria! Non lo puoi sapere meglio di me, guarda. Quelli... poi altri stipendi vogliono. Mi ero stancato a stare in Montenegro, mi sono stancato. Poi devo fare delle rivelazioni sopra a _Ciccio_, ma mi devo riservare perché c'è la ragazza là, _Ciccio_ è molto forte là, molto.
PM: Cosa intende quando dice "è molto forte"?
BS: A livello di mafia, a livello con i Giudici, a livello con la Polizia... che là la mafia è la Polizia, mica siamo noi!
Ciccio sarebbe poi Francesco Prudentino, meglio noto come Ciccio la busta.
PM: Perché stanno tutti a Zelenica questi napoletani: che hanno a Zelenica, dove lavorano?
BS: Tutte le sigarette arrivano a Zelenica.
PM: Dove vengono messe?
BS: Nei depositi.
PM: Di chi sono questi "depositi"?
BS: Del Governo, si paga il Governo pure, eh.
PM: Quanto?
BS: 40 dollari ogni cassa. Il Governo ormai i soldi...
PM: Chi paga?
BS: Attraverso l'agenzia.
PM: Qual'è l'agenzia?
BS: La Zeta-Trans. ...soldi a non finire! Milo adesso non lo può toccare più
nessuno, ha vinto di nuovo le elezioni, in assoluto.
Il Milo che ha vinto le elezioni é Milo Djukanovic.
CC: Invece la benzina con la quale rifornivate gli scafi da chi l'acquistava?
BS: La compravamo là.
CC: Da chi?
BS: Dal governo Jugoslavo.
[...]
BS: Una volta stavo io per parlare di un mio problema, Milo Djukanovic stava all'Hotel a Podgorica, sotto c'è il Casinò e sopra c'è l'Hotel; poi venne Brano, sarebbe un mafioso del Montenegro e...
PM: "Brano" è parente a Djukanovic?
BS: Sì, mi sembra che sono compari, cugini, non ricordo bene, comunque hanno
molta stima fra tutti e due: si vedono sempre, si parlano sempre... Io chiesi un piacere a questo Brano, siccome mi avevano cacciato dal Montenegro: gli chiesi di poter ritornare nuovamente al Montenegro e chiesi un favore a _Ciccio_ [Francesco Prudentino]. _Ciccio_ mi rispose: "Va bene adesso ne parlo con Brano, poi ci incontriamo e ne parlo con Milo Djukanovic". "Va bene". Io ho preso appuntamento con _Ciccio_, sono andato a... all'albergo. _Ciccio_ non c'era ed è venuto Brano. E' venuto BRANO e dopo un'oretta è venuto Milo con 3-4 guardie del corpo e si sono messi a parlare dicendomi che poi avrebbero visto il mio problema.
[...]
BS: ...Prudentino conosce Brano; Brano è imparentato con Milo Djukanovic, essendo grande mafioso di là, là funziona tutto così: là sono tutti mafiosi. Là funziona così: Milo Djukanovic un altro mafioso è! Funziona così. Addirittura Prudentino ha fatto fare, come io so, una tubazione di acqua da Podgorica a Niksic, al paese di Brano.
Fonte: publicintegrity.org
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Premesse alla Montenegro Connection
Nella premessa dell'investigazione "Montenegro Connection" della DIA si indica come obiettivo la dimostrazione delle responsabilità penali di Milo Djukanovic e ai suoi collaboratori nel coinvolgimento in una associazione di tipo camorristico mafioso.
Il Montenegro governato da Milo Djukanovic sarebbe diventato la Tortuga dell’Adriatico, paradiso dei traffici illeciti, dove veniva garantita impunità ai malavitosi che potevano usare come basi logistiche i porti di come Bar e Cattaro, con le autorità che scortavano le merci illecitamente trafficate.
Gli investigatori considerano concluso il periodo, essendo stata debellata l'organizzazione criminale con la cattura e la condanna dei suoi capi promotori e dirigenti. A capo dell'organizzazione sarebbe stato identificato Gerardo Cuomo, che é stato perciò condannato nel 2004 a 7 anni e 4 mesi di reclusione.
Come stralcio della Montenegro Connection si é tenuto in Svizzera un processo denominato "Montecristo" che ha visto coinvolti i seguenti personaggi, ritenuti a vario titolo responsabili di riciclaggio e sostegno ad un’organizzazione criminale: Franco Della Torre, Paolo Savino, Roland Rebetez, Luis Angel Garcia Cancio, Jurg Hermann Graf, Patrick Monnier, Alfred Bossert, Michele Antonio Varano, Pietro Virgilio.
Le dimensioni del fenomeno sono state tali che non sarebbe possibile che il Djukanovic non ne fosse stato a conoscenza. Si nota anche come flussi di denaro proveniente dalla cosiddetta "tassa sul transito" venivano usate da personaggi governativi.
Fonte: publicintegrity.org
Il Montenegro governato da Milo Djukanovic sarebbe diventato la Tortuga dell’Adriatico, paradiso dei traffici illeciti, dove veniva garantita impunità ai malavitosi che potevano usare come basi logistiche i porti di come Bar e Cattaro, con le autorità che scortavano le merci illecitamente trafficate.
Gli investigatori considerano concluso il periodo, essendo stata debellata l'organizzazione criminale con la cattura e la condanna dei suoi capi promotori e dirigenti. A capo dell'organizzazione sarebbe stato identificato Gerardo Cuomo, che é stato perciò condannato nel 2004 a 7 anni e 4 mesi di reclusione.
Come stralcio della Montenegro Connection si é tenuto in Svizzera un processo denominato "Montecristo" che ha visto coinvolti i seguenti personaggi, ritenuti a vario titolo responsabili di riciclaggio e sostegno ad un’organizzazione criminale: Franco Della Torre, Paolo Savino, Roland Rebetez, Luis Angel Garcia Cancio, Jurg Hermann Graf, Patrick Monnier, Alfred Bossert, Michele Antonio Varano, Pietro Virgilio.
Le dimensioni del fenomeno sono state tali che non sarebbe possibile che il Djukanovic non ne fosse stato a conoscenza. Si nota anche come flussi di denaro proveniente dalla cosiddetta "tassa sul transito" venivano usate da personaggi governativi.
Fonte: publicintegrity.org
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L'oggetto della Montenegro Connection
La DIA ha condotto l'investigazione detta Montenegro Connection avente come oggetto attività di indagine sul conto di:
In particolare Milo Djukanovic, prima in quanto Capo del Governo, poi come Presidente della Repubblica ed infine ancora come Capo del Governo del Montenegro in concorso con altri avrebbe concesso per mezzo di Corrado Bianchi a Franco Della Torre, entrambi svizzeri, la licenza di importazione in Montenegro di 100.000 casse di tabacchi lavorati esteri, pari a 1000 tonnellate al mese.
In seguito, in intesa con il Della Torre, la licenza veniva divisa in quattro concessioni, rilasciate al Cuomo, Varano, Garcia Cancio e Llorens, alla cui morte subentrava il Monnier.
Avrebbe concesso in uso aziende pubbliche per garantire la logistica necessaria allo svolgimento delle operazioni.
Avrebbe consentito l'attracco dei motoscafi nei porti di Zelenika e Bar per il trasporto di armi da guerra, tabacchi, stupefacenti e clandestini.
Avrebbe consentito la fornitura di carburante ai mezzi.
Avrebbe partecipato alla costituzione della società Montenegro Tabak Transit che controllava il traffico, facendo riferimento alla società panamense Santa Monica S.A., facente capo al Della Torre, incassando una "tassa di transito" che veniva depositata in diversi conti su svariate bance svizzere per poi essere smistate in conti in banche di Cipro, Germania, Austria, Grecia, Slovacchia, Panama, Regno Unito, Stati Uniti.
Avrebbe protetto cittadini italiani dai provvedimenti di cattura emessi dall'Autorità Giudiziaria italiana, in particolare nei confronti di: Francesco Prudentino, Costantino Sarno, Raffaele Laraspata, Tommaso Laraspata, Umberto Vitellaro, Giuseppe Cellamare, Benedetto Stano, Santo Vantaggiato, Antonio Pagano, Francesco Sparaccio, Bruno Rillo, Cesario Monteforte, Carmine Taurisano, Donato Laraspata, Enrico Rispoli, Giuseppe Tedesco, Maurizio Coffa, Erminio Cavaliere, Domenico Colucello, Diego Vastarella, Fabio Riso, Giovanni Sardella, Leonardo Cucinelli, Massimo Buccolieri, Raffaele Nacci, Francesco Alfarano, Marcello Cincinnato, Rocco Montalto, Carmine Condussi, Salvatore Sodano, Ferdinando Lago, Mario Orso, Umberto D'Arienzo, Salvatore Borrelli, Salvatore Puglia, Fausto Conte, Rocco Conte, Vito Simini, Giovanni Leone.
Avrebbe promosso, costituito e diretto una associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi.
Avrebbe ottenuto vantaggi economici dai reati sopra elencati. In particolare Djukanovic avrebbe ottenuto somme da Benedetto Stano e dai fratelli Laraspata in occasione delle elezioni montenegrine dell'autunno '96.
Dusanka Pesic, Miroslav Ivanisevic, Renzo Galfetti e Clemente Biondi avrebbero agevolato l'associazione a delinquere sopra inquadrata, unitamente a Veselin Barovic, Branko Vujosevic e Paolo Savino, e d'intesa con Milo Djukanovic.
Fonte: publicintegrity.org
- Milo Djukanovic, domiciliato presso il Palazzo del Governo del Montenegro;
- Dusanka Pesic, vedova di defunto Janko Jeknic, già Ministro degli Affari Esteri del Montenegro;
- Miroslav Ivanisevic, Ministro delle Finanze del Montenegro;
- Renzo Galfetti, avvocato svizzero;
- Clemente Biondi, avvocato napoletano;
In particolare Milo Djukanovic, prima in quanto Capo del Governo, poi come Presidente della Repubblica ed infine ancora come Capo del Governo del Montenegro in concorso con altri avrebbe concesso per mezzo di Corrado Bianchi a Franco Della Torre, entrambi svizzeri, la licenza di importazione in Montenegro di 100.000 casse di tabacchi lavorati esteri, pari a 1000 tonnellate al mese.
In seguito, in intesa con il Della Torre, la licenza veniva divisa in quattro concessioni, rilasciate al Cuomo, Varano, Garcia Cancio e Llorens, alla cui morte subentrava il Monnier.
Avrebbe concesso in uso aziende pubbliche per garantire la logistica necessaria allo svolgimento delle operazioni.
Avrebbe consentito l'attracco dei motoscafi nei porti di Zelenika e Bar per il trasporto di armi da guerra, tabacchi, stupefacenti e clandestini.
Avrebbe consentito la fornitura di carburante ai mezzi.
Avrebbe partecipato alla costituzione della società Montenegro Tabak Transit che controllava il traffico, facendo riferimento alla società panamense Santa Monica S.A., facente capo al Della Torre, incassando una "tassa di transito" che veniva depositata in diversi conti su svariate bance svizzere per poi essere smistate in conti in banche di Cipro, Germania, Austria, Grecia, Slovacchia, Panama, Regno Unito, Stati Uniti.
Avrebbe protetto cittadini italiani dai provvedimenti di cattura emessi dall'Autorità Giudiziaria italiana, in particolare nei confronti di: Francesco Prudentino, Costantino Sarno, Raffaele Laraspata, Tommaso Laraspata, Umberto Vitellaro, Giuseppe Cellamare, Benedetto Stano, Santo Vantaggiato, Antonio Pagano, Francesco Sparaccio, Bruno Rillo, Cesario Monteforte, Carmine Taurisano, Donato Laraspata, Enrico Rispoli, Giuseppe Tedesco, Maurizio Coffa, Erminio Cavaliere, Domenico Colucello, Diego Vastarella, Fabio Riso, Giovanni Sardella, Leonardo Cucinelli, Massimo Buccolieri, Raffaele Nacci, Francesco Alfarano, Marcello Cincinnato, Rocco Montalto, Carmine Condussi, Salvatore Sodano, Ferdinando Lago, Mario Orso, Umberto D'Arienzo, Salvatore Borrelli, Salvatore Puglia, Fausto Conte, Rocco Conte, Vito Simini, Giovanni Leone.
Avrebbe promosso, costituito e diretto una associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi.
Avrebbe ottenuto vantaggi economici dai reati sopra elencati. In particolare Djukanovic avrebbe ottenuto somme da Benedetto Stano e dai fratelli Laraspata in occasione delle elezioni montenegrine dell'autunno '96.
Dusanka Pesic, Miroslav Ivanisevic, Renzo Galfetti e Clemente Biondi avrebbero agevolato l'associazione a delinquere sopra inquadrata, unitamente a Veselin Barovic, Branko Vujosevic e Paolo Savino, e d'intesa con Milo Djukanovic.
Fonte: publicintegrity.org
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Hermes: Antonio Padovani
Dall'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP nell'ambito dell'operazione Hermes: la figura di Antonio Antonino Padovani
Gli investigatori sono sicuri di aver raccolto elementi tali da provare che il Padovani abbia investito consistenti capitali in società riconducibili a Grasso o comunque strumentali alla acquisizione di Sale Bingo in cui Grasso avrebbe poi provveduto ad installare le sue macchine, e che partecipi alla gestione delle società Emozioni srl, Word Like srl e Figli delle Stelle tre srl per mezzo di Loriana Polizzi. Viene considerato l'omologo di Renato Grasso.
Si indicano i suoi trascorsi considerati illuminanti all'interno della vicenda corrente.
Nel procedimento penale 648/05 (Potenza) in cui é stato coinvolto Vittorio Emanuele di Savoia e appartenenti a organizzazioni mafiose, tra cui Rocco Migliardi, legato alla mafia catanese, il Padovani viene indicato come in grado di influenzare le decisioni di Francesco Tarantino dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato di Messina.
Nel procedimento penale 2137/2000 (Catania) il Padovani viene indicato, assieme al fratello germano Vincenzo, come contiguo a esponenti della criminalità organizzata catanese quali: Francesco Crisafi, Domenico Garufi, Vincenzo Garufi, Alfonso Buonaurio, Giuseppe Smecca, Giuseppe Interdonato, Pasquale Arizzi, Mario La Mastra, Carmelo Cutrona, alcuni dei quali ai vertici della famiglia catanese "Cosa Nostra Etnea". In particolare si notava che il 13 maggio 2004, il Padovani partecipava con il fratello Carmelo al matrimonio del narcotrafficante Massimiliano Pafumi. Si fa notare che il padre della sposa, Antonino Trombino, sarebbe riconducibile ai Pillera–Cappello–Miano.
Il Padovani é stato arrestato in data 07 dicembre 2000 assieme a Roberto Vacante, genero di Salvatore Coluccio Santapaola (cugino di Benedetto Nitto Santapaola), per associazione per delinquere di tipo mafioso ed altro.
Nel procedimento penale nr. 2844/00 (Catania), il Padovani é denunciato per associazione mafiosa, gioco d'azzardo e frode informatica in concorso, in particolare, con il clan siracusano degli Urso-Bottaro, degli Aparo e quello di Antonino Trigila.
Infine, é stato raggiunto da un ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Caltanissetta il 7 gennaio 2009. In questo caso il Gip sottolinea la contiguità dell'indagato ai Santapaola di Catania ed il patto tra il Padovani e i Madonia, finalizzato all'apertura di numerose sale scommesse tra Gela e Niscemi che avrebbe assunto Marco Barbieri quale responsabile dell'area siciliana, genero di Giuseppe Piddu Madonia.
Fonte: SOS Impresa
Gli investigatori sono sicuri di aver raccolto elementi tali da provare che il Padovani abbia investito consistenti capitali in società riconducibili a Grasso o comunque strumentali alla acquisizione di Sale Bingo in cui Grasso avrebbe poi provveduto ad installare le sue macchine, e che partecipi alla gestione delle società Emozioni srl, Word Like srl e Figli delle Stelle tre srl per mezzo di Loriana Polizzi. Viene considerato l'omologo di Renato Grasso.
Si indicano i suoi trascorsi considerati illuminanti all'interno della vicenda corrente.
Nel procedimento penale 648/05 (Potenza) in cui é stato coinvolto Vittorio Emanuele di Savoia e appartenenti a organizzazioni mafiose, tra cui Rocco Migliardi, legato alla mafia catanese, il Padovani viene indicato come in grado di influenzare le decisioni di Francesco Tarantino dell'Amministrazione dei Monopoli di Stato di Messina.
Nel procedimento penale 2137/2000 (Catania) il Padovani viene indicato, assieme al fratello germano Vincenzo, come contiguo a esponenti della criminalità organizzata catanese quali: Francesco Crisafi, Domenico Garufi, Vincenzo Garufi, Alfonso Buonaurio, Giuseppe Smecca, Giuseppe Interdonato, Pasquale Arizzi, Mario La Mastra, Carmelo Cutrona, alcuni dei quali ai vertici della famiglia catanese "Cosa Nostra Etnea". In particolare si notava che il 13 maggio 2004, il Padovani partecipava con il fratello Carmelo al matrimonio del narcotrafficante Massimiliano Pafumi. Si fa notare che il padre della sposa, Antonino Trombino, sarebbe riconducibile ai Pillera–Cappello–Miano.
Il Padovani é stato arrestato in data 07 dicembre 2000 assieme a Roberto Vacante, genero di Salvatore Coluccio Santapaola (cugino di Benedetto Nitto Santapaola), per associazione per delinquere di tipo mafioso ed altro.
Nel procedimento penale nr. 2844/00 (Catania), il Padovani é denunciato per associazione mafiosa, gioco d'azzardo e frode informatica in concorso, in particolare, con il clan siracusano degli Urso-Bottaro, degli Aparo e quello di Antonino Trigila.
Infine, é stato raggiunto da un ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Caltanissetta il 7 gennaio 2009. In questo caso il Gip sottolinea la contiguità dell'indagato ai Santapaola di Catania ed il patto tra il Padovani e i Madonia, finalizzato all'apertura di numerose sale scommesse tra Gela e Niscemi che avrebbe assunto Marco Barbieri quale responsabile dell'area siciliana, genero di Giuseppe Piddu Madonia.
Fonte: SOS Impresa
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